Violenze nascoste sulle donne: dipendenza economica e lavoro
di Laura Pompeo
La Giornata internazionale contro la violenza sulle donne è stata istituita nel 1999 dalle Nazioni Unite. I dati dell’Istat di qualche giorno fa ci dicono che il 38% delle donne ha paura di subire violenza. Sono numeri cresciuti del 7% rispetto a sette anni fa. Così come sono aumentate le denunce. Sicuramente (e drammaticamente) la storia di Giulia Cecchettin è stata uno scossone. Ma abbiamo bisogno di educazione (sessuale, affettiva), che deve parlare ai bambini fin dalla prima età, di azioni, iniziative: occorre parlare il più possibile. Bisogna lavorare sulla discriminazione e sull’acquisizione di consapevolezza circa la pervasività dell’approccio patriarcale.
Ma parlando di violenza, sappiamo che dietro la violenza fisica c’è un accumulo di violenze psicologiche che non trova accesso nei tribunali, che è difficile da dimostrare e che ha diverse ramificazioni. Le denunce non danno contezza di quanto è esteso e radicato il fenomeno, in casa e sul posto di lavoro: il femminicidio è soltanto la punta di un iceberg. Discriminazioni, maltrattamenti, vessazioni, mobbing…: le forme di violenza sono le più differenti e il sommerso è enorme.
Abusi poco visibili
Tra queste, la violenza economica sulle donne è una forma di abuso che, sebbene poco visibile, ha un impatto devastante sulla libertà, sull’autonomia e sulla qualità della vita. Si manifesta mediante strategie messe in atto per controllarne, ridurne o ostacolarne l’indipendenza finanziaria, rendendo le donne dipendenti dal partner o dalla famiglia e frenandone il potenziale di emancipazione. Si attua con varie modalità, tra cui la limitazione dell’accesso a risorse economiche, il controllo sul reddito o sulle spese e il sabotaggio della carriera lavorativa. Tali azioni non solo danneggiano la stabilità economica della donna, ma alimentano anche un senso di insicurezza e di incapacità, minando autostima e autonomia.
Una recente ricerca condotta dal Museo del Risparmio di Torino, con Episteme, ci dice che sono il 18% (una su cinque, ma secondo altre indagini sarebbero addirittura il 30%) le donne che non hanno un conto corrente, né cointestato, né condiviso. Tra quelle che lo possiedono, cioè l’82%, solo il 67% ha un accesso autonomo. Il conto corrente personale è termometro della reale indipendenza economica di un individuo.
Il che si riassume in una sostanziale mancanza di libertà d’azione e reazione, anche di fronte alla violenza di genere: il legame tra dipendenza economica e la possibilità di subire violenza è strettissimo.
Le conseguenze della violenza economica sono profonde e durature, fino a indurre molte donne a restare in relazioni abusanti per paura di non poter sopravvivere finanziariamente da sole. La limitazione delle risorse influisce anche sull’accesso a servizi sanitari e educativi, compromettendo la qualità della vita e il benessere psico-fisico. La violenza economica può estendersi anche dopo la separazione e compromette le prospettive, poiché le vittime accumulano meno risparmi e pensioni e sono più vulnerabili alla povertà anche nella vecchiaia.
Sensibilità e leggi adeguate
Troppo spesso però si parla di indipendenza economica come se fosse un fattore a sé, slegato dalla situazione lavorativa delle donne, quasi scordando che il lavoro è la condizione abilitante a monte di tutto.
È senza dubbio necessario studiare tutte le misure possibili per ridurre i divari retributivi di genere, ma l’equità non è realizzabile se l’Italia è l’ultimo Paese in Europa per tasso di occupazione femminile: le donne che lavorano sono il 53%. Sono molto più precarie degli uomini e spesso guadagnano meno dei mariti/compagni: avere un conto in comune è già un risultato.
Chi oggi non lavora di solito non ha scelto di non farlo. Senza dimenticare chi rinuncia al lavoro per la maternità o per l’accudimento dei genitori anziani: solo l’anno scorso 44.000 donne hanno lasciato l’impiego. A ciò si aggiunge un tema che riguarda tutto il Paese: la sua potenzialità di crescita è ridotta se metà della popolazione femminile non può esprimere il proprio potenziale, creando ricchezza per la nazione nel suo insieme.
Affrontare la violenza economica richiede sensibilizzazione, sostegno e misure legali adeguate. Bisogna fare rete con le istituzioni, con il mondo delle imprese, con il mondo delle banche. È necessario creare percorsi di supporto per le donne che vogliono affrancarsi da situazioni di abuso economico, offrendo loro assistenza finanziaria e consulenza lavorativa, e promuovendo una maggiore consapevolezza sociale su questo tema. Solo comprendendo e combattendo anche questo tipo di violenza si possono promuovere una reale parità di genere e una società più equa e rispettosa dei diritti di tutti.
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