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Ivano Barbiero

Viaggio nell'Italia insolita e misteriosa

Aggiornamento: 5 ott

Visita d’incanto alla Reggia di Caserta patrimonio dell’umanità UNESCO

 

di Ivano Barbiero


Da Napoli a Caserta: si sposta di poco più di trenta chilometri Ivano Barbiero per la trentottesima tappa del suo viaggio nell'Italia dei misteri.[1] Questa volta, taccuino e macchina fotografica puntano su una delle meraviglie architettoniche e storiche del Bel Paese: la Reggia di Caserta, costruita a cavallo tra i secoli XVIII e il XIX. Luogo incantevole e di straordinaria bellezza, ripetutamente ricercato da registi e sceneggiatori per le ambientazioni cinematografiche, racchiude anche i segreti di una dinastia, quella dei Borboni, che tra luci ed ombre ha segnato la storia italiana fino al 1860.  


Si scende dal treno e la Reggia di Caserta è proprio di fronte a voi. Bella, maestosa, affascinante e sfavillante, la più bella al mondo. Prima ancora di entrare nella sontuosa dimora, che era il palazzo reale dei Borbone di Napoli, si rimane colpiti già dall’esterno dalla sua grandiosità. Non per niente, assieme all’Acquedotto Carolino e al Belvedere di san Leucio, è stata dichiarata patrimonio dell’umanità Unesco. Basti dire che nel 2023 è stata visitata da oltre un milione di visitatori, attratti da stanze e interni di grandissimo valore, un parco infinito quanto lussureggiante e ben curato e un giardino inglese di incredibile bellezza.

Passeggiando nelle sue stanze, di chiara impostazione barocca, che vi faranno rievocare gli sfarzi e i lussi di un tempo passato, vi sembrerà addirittura nell’inconscio di avere già visto questi ambienti senza saper che spiegazione dare. Forse perché la reggia di Caserta è stata utilizzata come ambientazione in moltissimi film, tipo due episodi della saga di Guerre Stellari e anche per altre pellicole cinematografiche quali Mission Impossible III, Angeli e Demoni, Donne e Briganti, Ferdinando I° re di Napoli, Il pap’occhio, Sing-Sing, Li chiamarono…briganti! Ferdinando e Carolina, Io speriamo che me la cavo e Giovanni Paolo II.

Voluta da Carlo di Borbone, la posa della prima pietra della Reggia avvenne il 20 gennaio 1752, su progetto dell’architetto e pittore Luigi Vanvitelli, a cui seguirono nei lavori, il figlio Carlo e altri architetti che la portarono a compimento nel 1845 (ma in realtà, anche se incompleta, cominciò ad essere abitata dal 1789). Qualche numero può dare l’idea della sua imponenza: ci sono oltre 1200 stanze, 34 scale, mentre le finestre sono 1742 e tutte disposte secondo un ordine rigoroso. La superficie è di 47mila metri quadrati, che la rende di gran lunga la residenza reale più estesa del mondo. La lunghezza è di 247 metri mentre la larghezza è di 190 e l’altezza di 41 metri.

La forma è rettangolare con quattro cortili interni smussati ognuno con una lunghezza di 74 metri per una larghezza di 52; nel punto d’incontro tra i due bracci, dove nel progetto originario doveva sorgere una cupola, si trova una lanterna. I piani sono cinque, terreno, mezzanino, piano nobile, secondo piano e attico, oltre a un piano sotterraneo, illuminato tramite feritoie, che ospitava cantine, cucine e officine. Le finestre della facciata principale sono 245 e ci sono tre ingressi; quello principale è caratterizzato ai lati da quattro basi: avrebbero dovuto ospitare quattro statue mai eseguite raffiguranti Magnificenza, Clemenza, Giustizia e Pace. Una quinta statua raffigurante Carlo III avrebbe dovuto essere alloggiata nella nicchia sovrastante il portone principale: c’è però un’epigrafe con le date di costruzione della reggia e commemora anche la memoria di Carlo e Ferdinando IV.

Nel progetto originario erano previste ai quattro angoli della facciata quattro torri, mai realizzate, che l’avrebbero fatta assomigliare al monastero madrileno dell’Escorial. Nella piazza doveva giungere un viale, lungo 15 chilometri, che collegava il palazzo direttamente a Napoli, anch’esso parzialmente realizzato. Nel cantiere della reggia furono utilizzati operai e schiavi (nel 1760 si contavano oltre 2mila uomini).

Il parco, suddiviso in giardino all’italiana e giardino inglese, ha una superficie di 120 ettari e una lunghezza di poco inferiore ai tre chilometri. L’imponente acquedotto Carolino, lungo 41 chilometri, venne realizzato nello stesso periodo di costruzione della Reggia per alimentare il complesso di San Leucio e poter assicurare al parco con i relativi corsi d’acqua - le fontane, le vasche e la pescheria - il necessario approvvigionamento idrico, compresi il giardino inglese e il bosco di San Silvestro.

La Peschiera Grande fu realizzata dall’architetto Francesco Collecini il bacino di 270 per 105 metri fu scavato per una profondità di tre metri e mezzo da schiavi e condannati ai lavori forzati. In queste acque si allevavano trote, carpe, cefali e anguille destinati al commercio e alla tavola del re. La Peschiera era anche un luogo di svago per il giovane re Ferdinando IV che in queste acque vi simulava imponenti battaglie navali e arrembaggi con dei modellini di navi. Poco distante, c’era il quartiere dei Liparoti, i marinai dell’isola di Lipari, incaricati del mantenimento delle numerose imbarcazioni in miniatura del complesso.

Il giardino all’italiana, che ha come modello ispirante la reggia di Versailles ed il palazzo reale spagnolo della Granja de San Ildefonso, fu affidato al geniale botanico tedesco John Andreas Graefer e comprende anche il cosiddetto bosco vecchio. Il giardino inglese, che ha una superficie di 23 ettari, fu voluto dalla regina Maria Carolina; contiene esemplari di piante provenienti anche dal Giappone, Cina e Australia e numerose statue lungo i vari sentieri. Da visitare anche il Bagno di Venere, oasi di rara bellezza dove fra le piante fa capolino una statua della dea. Si dice che fu la stessa Maria Carolina a volere la realizzazione del Bagno e che secondo studiosi avrebbe riferimenti esoterici e massonici.

Nella reggia, il 22 maggio 1859, morì Ferdinando II, re delle Due Sicilie. E l’anno successivo, il 21 ottobre 1860. da questo palazzo Giuseppe Garibaldi scrisse al re Vittorio Emanuele II di Savoia per consegnargli la provincia della Terra di Lavoro; si trattava di una regione storico-geografica dell’Italia meridionale, comprendente la gran parte della Campania antica, oltre ad alcuni settori del Lazio e del Sannio.

Degli arredamenti e degli affreschi si occuparono i principali artisti del regno. Uno degli aneddoti più noti è relativo alla catalogazione degli oggetti d’arte, da parte di funzionari piemontesi, dopo l’annessione ufficiale nel 1860 del Regno delle Due Sicilie. Di fronte ad un oggetto mai visto prima, un ufficiale sabaudo annotò: “strano oggetto sconosciuto a forma di chitarra”. Era il bidet.

Altrettanto curiosa è la “sedia volante”, ovvero il primo ascensore italiano progettato dall’architetto Gaetano Genovese. Fu costruita nel 1844 per eliminare la difficoltà di salire da un piano all’altro. Era una sedia di legno che poteva salire o scendere grazie ad un meccanismo azionato a braccia che innescava due ruote dentate al cui interno passavano delle corde. Non solo, vi erano delle lancette che sfruttando lo stesso meccanismo degli orologi indicavano anche il piano.

Tra il ‘700 e l’800 una delle tradizioni napoletane che raccolse il massimo successo fu senza dubbio il presepe. Una consuetudine subito condivisa da Re Carlo che contribuì ad incentivarla allestendo un presepe all’interno della reggia, nella Sala Ellittica che era stata utilizzata dapprima come teatrino domestico per i principini.

Ogni Natale, principesse e dame di corte si dilettavano ad allestire il presepe reale che aveva una lunghezza di 40 metri. Già nelle settimane precedenti le donne confezionavano gli abiti delle figure realizzando nel complesso 1200 statuette di terracotta, che venivano sistemate rispettando un ordine preciso. La particolarità di questa rappresentazione erano le scene di vita, più che di Betlemme, della città di Napoli e dei suoi dintorni.

Tuttora nella Sala Ellittica vi sono centinaia di statue del presepe, protette da cristalli, che permettono di ammirare con quale precisione e minuzia erano confezionate queste figure. Oltre alla scena della natività con Gesù, Maria e Giuseppe in una grotta e la carovana dei Georgiani, si può osservare la taverna napoletana con i musici, il pascolo del bestiame, il mercato, le scene di vita quotidiana con numerosissime figure del mondo popolare e contadino. Nel complesso è tutta la reggia che lascia a bocca aperta perché ogni stanza, ogni spazio regala sempre nuove sorprese.

Superato il portone d'ingresso centrale ci si immette nella Galleria interna, chiamata anche Cannocchiale, poiché permette una vista prospettica sul parco con le fontane, sino alla cascata principale del monte Briano. La galleria ha tre navate e quella centrale era utilizzata per le carrozze, mentre le due laterali erano destinate ai pedoni.

Al centro della galleria si trova il vestibolo inferiore, ha pianta ottagonale, che permette di avere una visuale su tutti e quattro i cortili. Da uno di questi, posto sul lato occidentale, si accede a teatrino di corte, progettato da Luigi Vanvitelli come un edificio a sé stante, ma che per volere di Carlo di Borbone venne inglobato all’interno del palazzo.

I lavori di costruzione durarono poco meno di dieci anni e fu inaugurato nel 1769 da Ferdinando IV e Maria Carolina. Fu l’unica parte della reggia ad essere completamente conclusa, anche nelle decorazioni. Si accede tuttora tramite un ingresso centrale, originariamente destinato alla corte, e due laterali, per gli ospiti. Internamente ha una forma a ferro di cavallo con cinque ordini di palchetti adornati da festoni e putti, opera di Gaetano Magri. Al centro è posto il palco reale con un baldacchino sovrastato da una corona

Sul lato destro del vestibolo si apre lo scalone che conduce all'interno del palazzo. Vi sono centosedici gradini in marmo bianco di Carrara ed è composto da una rampa centrale che termina su un pianerottolo, da cui si dipartono altre due rampe parallele che giungono al vestibolo superiore. L'intero ambiente è decorato alle pareti con marmi colorati, con l'aggiunta di colonne in marmo e l'illuminazione è consentita attraverso 24 finestre. La rampa centrale si conclude con due Leoni realizzati da Paolo Persico e Tommaso Solari, che simboleggiano la forza delle armi e della ragione.

La parete di fondo è contraddistinta da tre nicchie che ospitano tre statue in gesso, che in origine dovevano essere in marmo, raffiguranti al centro Maestà Regia, nella figura di Carlo di Borbone che in una mano ha uno scettro che reca sulla punta un occhio aperto a simboleggiare la conoscenza del re su ciò che comanda. Le altre due statue sono quelle denominate Merito, un giovane con in testa una corona d'alloro e spada nel fodero, e Verità, una donna con in mano un sole splendente.

Il vestibolo superiore, replica di quello sottostante, è anch'esso a pianta ottagonale, con ventiquattro colonne. Queste sono ripartite in otto colonne centrali di forma trapezoidale e sorreggono la volta e sedici colonne in ordine ionico. In epoca borbonica, al di sopra della volta del vestibolo, sedeva l'orchestra destinata con la sua musica ad accogliere gli ospiti al palazzo. Dal vestibolo superiore si ha quindi accesso sia alla cappella Palatina consacrata il 25 dicembre 1784 e conserva sull'altare maggiore una tela raffigurante l'Immacolata Concezione, opera di Giuseppe Bonito:

Il cosiddetto Appartamento Murattiano fu allestito quando Gioacchino Murat dimorò nella reggia, agli inizi del XIX secolo in occasione della conquista francese del Regno di Napoli. Gli ambienti sono in stile neoclassico e le pareti tappezzate con sete provenienti dal Belvedere di San Leucio. Il letto è a baldacchino, disegnato da Leonte ed ha decorazioni in scudi e bronzo dorati. I mobili sono in stile Impero, francese e napoletano., tutti arrivati dalla reggia di Portici. Le pitture alle pareti sono opera di Jean-Battiste Wicar.

L’oratorio di Pio IX, in origine oratorio di corte, fu dedicato al papa in occasione della sua visita nel 1850, ospite di Ferdinando II. Nel salottino è conservata la portantina utilizzata dal Santo Padre e alcuni suoi ritratti.

In una sala sono esposti alcuni oggetti a tema musicale, compresa una secrétaire e un mobile a due ante che hanno al loro interno due organi a cilindro realizzati intorno al XIX secolo dal maestro tedesco Anton Beyer; qualcuno li ha considerati come i juke-box dell’epoca dei Borbone.

Altrettanto affascinanti le sale successive dove sono raccolti modellini e meccanismi di giostre che Leopoldo di Borbone aveva fatto costruire per il parco della Villa Favorita di Ercolano, la residenza preferita di Maria Carolina. Nell’ultimo ambiente sono invece custodite due culle reali, una appartenuta a Vittorio Emanuele III di Savoia, disegnata da Domenico Morelli con intagli in legno, un’altra appartenuta a Vittorio Emanuele, Principe di Napoli, costruita con legno di mogano con imbottitura di seta, decorazioni d’argento, coralli e camei, realizzati a Torre del Greco.

Ulteriore sorpresa la riserva la camera da letto di Ferdinando IV e c’è anche chi entrando fa gli scongiuri. Infatti, in questa stanza morì il reale, il 22 maggio 1859, in seguito a una misteriosa malattia che fu ritenuta contagiosa. Per questo motivo l'intero mobilio fu bruciato e la sala nuovamente arredata, questa volta con mobili in stile Impero.

Sorprendente anche la biblioteca palatina, lungo il lato orientale del palazzo; venne realizzata in circa tre anni per volere della regina Maria Carolina d'Austria, a cui si aggiunsero integrazioni da parte di Gioacchino Murat e Ferdinando II. I volumi raccolti, circa quattordicimila, vennero ordinati per materie dal politico Francesco Ceva Grimaldi. Gli argomenti trattati spaziano dalla cultura europea a quella napoletane e viennese, dall'archeologia alla matematica, geografia, botanica, zoologia e libretti d'opera, di balli e musica e sui teatri napoletani.

Da segnalare che la costruzione dell’Acquedotto Carolino richiese 16 anni di lavori e fu riconosciuta come una delle opere di maggior interesse architettonico e ingegneristico del XVIII secolo. Preleva le acque dal monte Taburno, dalle sorgenti del Fizzo trasportandola lungo un tracciato che si snoda per lo più interrato per una lunghezza di 38 chilometri. I lavori furono completati nel 1770 con una spesa totale di 622.424 ducati.

Di particolare pregio è il ponte, a tutt’oggi ancora funzionante, che attraversando la Valle di Maddaloni congiunge il monte Longaro con il monte Garzano. Questa costruzione meglio conosciuta come “I ponti della valle” si erge con una struttura possente in tufo a tre ordini di arcate che poggiano su 44 piloni a pianta quadrata; la lunghezza complessiva è di 529 metri e un’altezza massima di 55,80 metri; costruita sul modello degli acquedotti romani. Al momento della sua costruzione era il ponte più lungo d’Europa.

Per quanto riguarda invece il complesso monumentale del Belvedere di San Leucio, considerato anch’esso Patrimonio dell’Umanità Unesco, fu voluto dapprima da Re Carlo di Borbone (raffigurato nel dipinto in basso) a sinistra) e in seguito fece parte del progetto utopico di Re Ferdinando di dar vita ad una comunità autonoma denominata Ferdinandopoli.

Su consiglio del ministro Bernardo Tanucci, Re Carlo mandò i giovani del luogo, in Francia per apprendere l’arte della tessitura, che avrebbero poi lavorato negli stabilimenti reali. Così nel 1778 fu costituita la comunità nota come Real Colonia di San Leucio che aveva uno statuto apposito con leggi e regole valide solo per quella comunità. Uno degli elementi di attrazione erano anche le ore di lavoro, 11, mentre nel resto d’Europa erano 14. Non solo, ai lavoratori delle seterie veniva data una casa all’interno della colonia ed era prevista inoltre la formazione gratuita per i loro familiari. Proprio qui, il re istituì la prima scuola dell’obbligo d’Italia femminile e maschile, che includeva delle discipline professionali.

Le abitazioni progettate secondo le regole urbanistiche dell’epoca (ed ancora oggi abitate) erano dotate di acqua corrente e servizi igienici. Le donne ricevevano dal re una dote per sposare un appartenente della colonia e a disposizione di tutti vi era una cassa comune, chiamata “di carità”, dove ognuno versava una parte dei propri guadagni. L’uomo e la donna godevano di una totale parità, qualunque fosse il lavoro che svolgevano, in un sistema dove il punto cardine era la meritocrazia. La proprietà privata era abolita, garantita l’assistenza ai malati e agli anziani, esaltato il valore della fratellanza. Un esperimento sociale di assoluta avanguardia, mai ripetuto in maniera così genuina neppure nelle successive rivoluzioni francese e marxista.

Re Ferdinando IV di Napoli aveva a cuore questa colonia e progettò di ampliarla come una nuova città a pianta completamente circolare e con una sistema stradale radiale che partiva dal centro con l’intenzione di farne anche una sede reale, senza riuscire però nel suo intento. Nei quartieri del Belvedere promulgò un codice di leggi sociali molto avanzate. Tuttavia, il progettò utopico di Ferdinando IV si concluse quando con l’unità d’Italia tutto venne trasferito nel demanio statale.




Note 


[1] In:

https://www.laportadivetro.com/post/viaggio-nell-italia-insolita-e-misteriosa-24;

https://www.laportadivetro.com/post/viaggio-nell-italia-insolita-e-misteriosa-23;

https://www.laportadivetro.com/post/viaggio-nell-italia-insolita-e-misteriosa-21;


 

 


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