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Viaggio nell'Italia insolita e misteriosa

Aggiornamento: 20 lug

Il Parco dei Mostri di Villa Bomarzo (seconda parte)


di Ivano Barbiero


Si conclude oggi, 6 luglio, come anticipato sabato scorso, il passaggio a Villa Bomarzo, in provincia di Viterbo. Per il nostro instancabile "scovatore" di luoghi misteriosi e arcani [1] il Parco dei Mostri si è rivelato particolarmente impegnativo per la dimensione di questo complesso monumentale, che si estende su una superficie di tre ettari. Ma non solo. Contenere le emozioni, raccoglierle e distillarle dinanzi alla grandiosità delle opere diventa complicato, perché, come ha scritto Tullio Zevi nel suo Barocco Illuminismo, "a Bomarzo la finzione scenica è travolgente; l'osservatore non può contemplare perché vi è immerso, in un ingranaggio di sensazioni (…), capace di confondere le idee, di sopraffare emotivamente, di coinvolgere in un mondo onirico, assurdo, ludico ed edonistico (…)".

Il Parco è visitabile tutti i giorni con orario continuato, dalle 8 al tramonto. E con quest'ultima indicazione, immergiamoci insieme con Ivano Barbiero nello spirito che l'ideatore della struttura, il principe Pier Francesco (detto Vicino) Orsini, volle dedicare in primo luogo a sua moglie, Giulia Farnese.


Appena varcata la soglia, ci ritroviamo di fronte a due Sfingi che sono simbolicamente a guardia del Parco. Entrambe recano sul basamento iscrizioni di benvenuto in endecasillabi. Quella a sinistra recita:


“CHI CON CIGLIA INARCATE

ET LABBRA STRETTE

NON VA PER QUESTO LOCO,

MANCO AMMIRA

LE FAMOSE DEL MONDO MOLI SETTE


Ovvero:

“Chi non attraversa assorto e in silenzio

questo luogo non apprezza neanche le famose

sette meraviglie del mondo”.


L’iscrizione di destra dice invece:

“TU CH’ENTRI QUA PON MENTE PARTE A PARTE

ET DIMMI POI SE TANTE MERAVIGLIE

SIAN FATTE PER INCANTO O PUR PER ARTE”.


Che significherebbe:

“Tu che entri qui rifletti attentamente

 e poi dimmi se tutte queste meraviglie

siano fatte per sbalordire o oppure per arte”.


Non molto distante dalle Sfingi, si trova il primo vero mostro: Proteo (oppure Glauco), un immenso mascherone antropomorfo con la bocca spalancata sormontato da un grande globo di pietra sulla cui cima è posta una piccola torre. C’è poi un grande masso, il Mausoleo, all’apparenza informe, che in realtà è modellato per sembrare il frontone di una tomba etrusca le cui decorazioni ricalcano quelle della Tomba Ildebranda, uno dei monumenti più celebri della necropoli etrusca di Sovana e uno dei più importanti dell’intera Etruria.

Il viaggio prosegue passando per la più grande statua presente nel parco: Ercole e Caco (nella foto in basso a sinistra), denominato anche il Colosso. Rappresenta la lotta di due giganti e accanto a loro altre rappresentazioni di guerrieri che sono state erose nel corso degli ultimi secoli. Accanto si trova un’iscrizione, sempre in endecasillabi, che esalta questo gruppo statuario guerrieri.



“Se Rodi altier già fu del suo colosso

pur di questi il mio bosco ancho si gloria

e per più non poter fo quant’io posso”.


Intendendo con questa epigrafe:

 “Se Rodi si vantò del suo colosso

Anche il mio bosco si gloria di questo

E non potendo di più, faccio quel che posso”.



Non molto distante dal gruppo dei giganti troviamo il gruppo formato da una enorme tartaruga, che ha sopra il guscio tondeggiante la statua di un Nike senza ali, personaggio della mitologia greca, personificazione della vittoria. La statua aptera, ovvero senza ali, si spiegherebbe col fatto che la dea rappresentata in questo modo non avrebbe mai dovuto lasciare la città e quindi anche questo luogo. Oltre alla Nike c’è però anche la raffigurazione di una grossa balena che emerge dalla terra e i due animali sembrano osservarsi reciprocamente. Da sempre la tartaruga è simbolo di longevità e stabilità e il complesso appresenta quindi l’unione tra la terra e il cielo. Tutto il gruppo scultoreo starebbe a significare la purificazione e la donna sopra la tartaruga sarebbe il punto massimo di questa purificazione.


Altrettanto simbolica è la Fontana di Pegaso, il cavallo alato che venne alla luce nel momento stesso in cui Perseo tagliò la testa di Medusa. Il cavallo simboleggia la passionalità e l’impetuosità istintiva; stati d’animo che possono essere dominati dalla volontà spirituale dell’uomo rappresentato dalle sue ali.

Poco distante troviamo invece l’Albero-statua, un tronco di larice che è stato scolpito su un masso-

Nuovi spostamenti e nuove meraviglie: ecco Ninfeo e Venere sulla Conchiglia, una grande vasca che ricalca i ninfei di età greco-romana, ornata dalle tre Grazie e da tre ninfe, una colossale statua di Venere su una immensa conchiglia e poco distanti alcune figure di delfini. Nei pressi ritroviamo un altro ambiente di matrice classica; il Teatro che in realtà è la riproduzione abbastanza piccola di un’esedra del palcoscenico: Nell’antichità questo spazio scoperto, delimitato ad una struttura semicircolare, era spesso dotata di sedili e fungeva da luogo di ritrovo e conversazione.

Una delle maggiori attrazioni del parco è senza dubbio la Casa pendente, costruita su un masso inclinato e volutamente sbilenca. La sua particolarità è che gli interi hanno una pendenza irregolare, poiché il pavimento non è a 90 gradi rispetto ai muri. Tutto ciò crea un senso di smarrimento e perdita dell’equilibrio in chi vi entra. Curioso notare come a Brighton, in Inghilterra, nella contea dell’East Sussex, abbiano utilizzato questa idea di base costruendo una casetta inclinata e totalmente rovesciata, sia all’esterno che all’interno.

In origine si ritiene che la casa pendente di Bomarzo fosse proprio all’entrata del Bosco delle Meraviglie. Su una facciata della casa si può ancora leggere:


“ANIMUS QUIESCENDO FIT PRUDENTIOR ERGO”.

“L’animo tacendo diviene più assennato”.


Per arrivare alla maestosa statua di Nettuno, si deve percorrere un grande piazzale ornato da enormi vasi di pietra che un tempo recavano iscrizioni attualmente illeggibili. Il dio dei mari è adagiato su un letto d’acqua ed ha un delfino tra le braccia. Poco distante c’è una ninfa gigantesca che dorme, poggiata sinuosa su un braccio.

Cerere, dea celle messi è madre di Proserpina è rappresentata anch’essa in grande formato e reca un cesto di spighe sul capo, nelle mani una fiaccola e la cornucopia, il corno dell’abbondanza, simbolo mitologico di cibo e abbondanza. Attorno vi sono diverse creature boschive.


Altrettanto simbolico e foriero di apparente allegria è il maestoso elefante che reca sulla schiena una grossa torre e nella proboscide sorregge un legionario romano, quasi volesse stritolarlo. Questa rappresentazione sembra un chiaro riferimento all’impresa di Annibale durante le guerre puniche.

Che dire poi del drago, meglio una viverna? Questa creatura leggendaria veniva rappresentata come un rettile alato bipede con la parte posteriore simile a un serpente con la coda uncinata. Lo spaventoso mostro rettiliforme sta lottando contro tre animali che oggi non sono più riconoscibili. Così, tra stupori, sorprese e divertimento, si arriva finalmente alla figura più celebre del parco, l’Orco, un grande faccione di pietra con la bocca spalancata, sulle cui labbra si può leggere la scritta: “OGNI PENSIERO VOLA”.

La bocca di questo mostro antropomorfo è anche l’accesso ad una camera scavata nel tufo; all’interno sono collocate delle panche e un tavolo. La conformazione interna della sala fa sì che le voci ed i suoni rimbalzino sulle pareti creando a tratti un eco dall’effetto inquietante se non addirittura spaventoso.

L’uscita da questo antro da incubo regala ulteriori momenti di allegria.  Come è il caso del vaso gigante, la panca etrusca e l’ariete. Queste tre figure sono a poca distanza l’una dall’atra, Dapprima c’è una gigantesca anfora decorata da una testa di gorgone, mostro della mitologia greca che aveva ali d’oro, mani di bronzo e al posto dei capelli serpenti e chiunque la guardasse direttamente negli occhi rimaneva pietrificato. Altrettanto inquietante è l’ariete seduto, anche se molto rovinato. La panca ricalca anch’essa la forma di un triclinium etrusco o romano, ed è posta dentro una nicchia che riporta la seguente iscrizione.


“VOI CHE PEL MONDO GITE ERRANDO VAGHI

DI VEDER MARAVIGLIE ALTE ET STUPENDE

VENITE QUA DOVE SON FACCE HORRENDE

ELEFANTI; LEONI; ORSI; ORCHI ET DRAGHI”.


In questa carrellata mitologica forse non poteva proprio mancare Proserpina la regina dell’Ade o degli Inferi, versione romana della dea greca Persefone o Kore. La statua è molto rovinata ed è raffigurata come una donna a braccia aperte che ha la particolarità che il suo vestito è in realtà una grande panca su cui si può sostare per riposarsi. A pochi passi c’è Cerbero, il cane dotato di tre teste posto a guardia dell’Oltretomba. Alle spalle di questi due personaggi c’è il piazzale delle pigne, così nominato perché delimitato da sculture che riprendono il Pignone assieme ad altri simboli a forma di ghianda. Inevitabilmente il pensiero corre a un simbolo posto all’interno dei Musei Vaticani e risalente al II secolo dopo Cristo.

Tra un rimando e l’altro, di fronte al palazzo delle pigne, si trovano altre due mostruose sculture: l’Echidna, ritratta come una donna colossale con due code di serpente al posto delle gambe e che richiama molto all’iconografia medievale della sirena, e la Furia, una donna con coda e ali di drago. Tra loro, quasi volessero rabbonirle, due leoni accucciati, che in realtà sono i figli dell’Echidna. Da notare che il simbolo del leone è presente anche nello stemma di Viterbo.


Il nostro itinerario si conclude con la visita al piccolo Tempio, che si trova leggermente discosto dal percorso principale del parco. Questa costruzione fu realizzata vent’anni dopo rispetto al resto del parco, in onore della moglie di Vicino Orsini. Il tempio riprende diverse forme architettoniche: quella classica (frontone, colonnato e vestibolo) e quella rinascimentale (cupola). La particolarità di quest’ultima costruzione è di essere stata modellata sulla base di quella di Santa Maria del Fiore a Firenze. L’interno però è in realtà costituito da una piccolissima aula circolare, nella quale la famiglia Bettini, che ha restaurato il complesso, ha posto una lapide alla memoria di Tina Severi e di Giancarlo Bettini.

Da segnalare infine che il principe Vicino Orsini morì il 28 gennaio 1585, all’età di 61 anni, a Bomarzo, e fu sepolto nella Chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta.


Note


[1] In:

https://www.laportadivetro.com/post/viaggio-nell-italia-insolita-e-misteriosa-24;

https://www.laportadivetro.com/post/viaggio-nell-italia-insolita-e-misteriosa-23;

https://www.laportadivetro.com/post/viaggio-nell-italia-insolita-e-misteriosa-21;







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