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Viaggio nell'Italia insolita e misteriosa

Passeggiata al "Cimitero delle Capuzzelle", incrocio tra devozione e superstizione


di Ivano Barbiero*


Si rimane a Napoli per la trentasettesima tappa dei viaggi nel misteri italiani.[1] Dopo la visita al Cristo velato di Giuseppe Sanmartino custodito nel Museo Cappella Sansevero, Ivano Barbiero ci propone l'ingresso in uno dei quartieri più caratteristici e famosi (per motivi vari) dell'ex capitale del Sud, il Rione Sanità, per condividere la riapertura del Cimitero delle Fontanelle, meglio noto come Cimitero delle Capuzzelle.


Se avrete occasione di visitare Napoli a partire dai primi mesi del 2025, non dimenticate di fare un salto al Rione Sanità per assistere alla riapertura del Cimitero delle Fontanelle, noto in napoletano come ‘e Funtanelle. Situato al numero 80 dell’omonima via, questo luogo è anche conosciuto come il “Cimitero delle Capuzzelle” o delle “Anime pezzentelle”. È un sito unico e affascinante, scavato nel tufo e suddiviso in navate come una chiesa, dove superstizione e devozione si incontrano in un modo forse unico al mondo.

Il cimitero, un ex-ossario, si estende per oltre 3.000 metri quadrati e contiene i resti di un numero imprecisato di persone. Secondo studi effettuati con il geo-radar, si stima che vi siano i resti di circa un milione di individui, molti dei quali vittime della peste del 1656 e del colera del 1836. Il nome deriva dalla presenza, in tempi remoti, di fonti d’acqua che erodevano il tufo, creando valloni ideali per l’estrazione di questo materiale. Le leggi del Regno di Napoli del 1600 vietavano di cavare tufo “intra moenia”, quindi si estraeva “extra moenia” proprio in questa zona.

La via Fontanelle rappresenta il vecchio impluvio, lungo il quale si trovano numerose cave che fino al secolo scorso fornivano materiali da costruzione per tutta la città. Oggi, queste cave sono utilizzate per vari scopi, come depositi di olive, vetrerie, magazzini di marmi, spazi per piccole fabbriche, cantine e garage.

L’origine dell’ossario risale al XVI secolo, quando Napoli fu colpita da tre rivolte popolari, tre carestie, tre terremoti, cinque eruzioni del Vesuvio e tre epidemie. In questo luogo isolato vennero raccolti i cadaveri delle vittime. A metà del 1600, una colata di fango e detriti provocò una voragine nella strada delle Fontanelle, che fu riempita con materiali di demolizione. Questo ci fa capire che la zona era ben conosciuta e utilizzata dai salmatari, operai specializzati nella gestione delle salme.

Questi lavoravano spesso di notte per evitare il panico tra la popolazione, raccogliendo e seppellendo i corpi nelle cave di tufo. In caso di epidemie, quando nelle chiese non c’era più posto, i salmatari disseppellivano i corpi e li scaricavano nelle vecchie cave abbandonate.

Attualmente, nel cimitero delle Fontanelle si contano circa 40.000 anime, ma si ipotizza che sotto gli strati portati alla luce dagli studiosi vi siano ancora quattro o cinque metri di teschi minuziosamente impilati. In alcuni punti del pavimento, lastre di vetro permettono di vedere le ossa nel terreno sottostante.

Il nome “Cimitero dei Pezzentelli” deriva dal fatto che qui si trovano i resti di persone povere, chiamate “anime pezzentelle”, che non potevano permettersi una degna sepoltura. I teschi, o “capuzzelle”, venivano adottati e curati dai napoletani, creando un legame unico tra i vivi e i morti.

Ogni persona sceglieva un cranio specifico, che diventava parte integrante della sua famiglia. In cambio di attenzioni e cure, il cranio offriva protezione e, possibilmente, anche aiuti economici.

L’ossario rimase abbandonato fino al 1872, quando don Gaetano Barbati, con l’aiuto di alcune donne, decise di riordinare i resti, tutti anonimi ad eccezione di due scheletri: quello di Filippo Carafa, Conte di Cerreto dei Duchi di Maddaloni, morto il 17 luglio 1797, e quello di Donna Margherita Petrucci, nata Azzoni, morta il 5 ottobre 1797. Entrambi riposano in bare protette da vetri. Il religioso divise il cimitero in tre parti: nella Navata dei Preti mise le ossa provenienti dalle chiese; nella Navata degli Appestati sistemò i resti delle vittime delle epidemie; e nella Navata dei Pezzentelli collocò i resti dei più poveri.

Il culto dei morti al Cimitero delle Fontanelle fu particolarmente vivo durante la Seconda guerra mondiale e nel primo dopoguerra, anni che avevano diviso famiglie, allontanato parenti e provocato morti, disgrazie e miseria. Ogni lunedì, centinaia di donne vestite di nero e con un lungo velo entravano in processione nell’ossario con un lumino in mano. Per i Greci, la luce era il simbolo della vita eterna. Le pie ponevano quel lumino davanti a un teschio, quello che avevano “adottato”, in attesa di ricevere, durante il sonno, notizie del proprio caro partito per la guerra e mai ritornato.

L’adozione di un teschio richiedeva un preciso rituale: il cranio veniva pulito e lucidato, poggiato su fazzoletti ricamati, adornato con lumini e fiori. Si aggiungeva poi un rosario al “collo” del teschio per formare un cerchio. Successivamente, il fazzoletto veniva sostituito da un cuscino, spesso ornato di ricami e merletti. Alla “capuzzella” veniva attribuito un nome e una storia. Per poterlo incontrare in sogno, bisognava dare “rifrisco”, cioè sollievo con preghiere e suffragi. Le anime del Purgatorio, pur nella certezza del Paradiso, sono in una fase di espiazione e soffrono. Poiché l’unico mezzo di contatto tra i vivi e i morti era il sogno, i teschi erano lasciati all’aperto e non coperti con lapidi, in modo che potessero apparire liberamente.

Molto utili erano i segni che potevano venire dalle anime. Un primissimo segnale era il sudore, ovvero la condensa da umidità. Se ciò si fosse verificato, sarebbe stato segno di grazia ricevuta. Se il teschio non avesse sudato, questo sarebbe stato interpretato come una sofferenza dell’anima abbandonata e un cattivo presagio. In questo caso, si chiedeva soccorso a Gesù e, soprattutto, alla Madonna. In generale, in sogno, a tutte le capuzzelle adottate venivano richieste grazie e favori. Se queste venivano concesse, la “capuzzella” veniva onorata con una sepoltura più degna: una cassetta, una scatola, una sorta di tabernacolo, secondo le disponibilità economiche dell’adottante. Se, però, la fiducia era mal riposta, il teschio veniva abbandonato e sostituito con un altro.

Ancora oggi, un teschio particolarmente noto per il fenomeno del sudore è quello di donna Concetta, insolitamente e costantemente lucido. Probabilmente, ciò è dovuto all’eccessiva umidità del luogo, ma per i devoti si tratta di acqua purificatrice. Secondo la tradizione, anche donna Concetta esaudisce delle grazie e, per verificarlo, basta toccarla e vedere se la propria mano si bagna.

Tra i tanti teschi venerati, uno dei più famosi è quello soprannominato Fratello Pasquale, noto per dare in sogno i numeri vincenti al lotto. Sebbene la sua identità reale sia sconosciuta, i devoti gli hanno attribuito questo nome. Spesso, lasciavano offerte come fiori, candele e monete vicino al suo teschio, sperando di ottenere favori e protezione.

Un’altra leggenda famosa è quella del Capitano con l’occhio nero. Secondo la tradizione, una promessa sposa, molto devota al teschio del capitano, si recava spesso a chiedere una grazia. Il suo fidanzato, geloso delle attenzioni rivolte al teschio, un giorno la accompagnò e colpì il teschio con un bastone, deridendolo e invitandolo al loro matrimonio. Il giorno delle nozze, un carabiniere si presentò alla cerimonia e accecò lo sposo. Togliendosi il mantello, rivelò di essere uno scheletro. I due innamorati e gli invitati morirono sul colpo.

Negli anni Sessanta, durante il Concilio Vaticano II, il parroco della chiesa delle Fontanelle, don Vincenzo Scancamarra, preoccupato per il feticismo legato al culto delle “anime pezzentelle”, chiese consiglio all’arcivescovo di Napoli, il cardinale Corrado Ursi. Il 29 luglio 1969, un decreto del Tribunale ecclesiastico proibì il culto individuale delle capuzzelle, considerato pagano, permettendo solo una messa mensile per le anime del Purgatorio e una processione ogni 2 novembre, giorno della commemorazione dei defunti. Nonostante ciò, fu il progressivo oblìo devozionale a far scivolare il cimitero nel dimenticatoio, mantenendo però intatto il suo fascino.

Come avrete intuito, la particolarità di questo sito non risiede solo in ciò che si vede, ma nelle storie, aneddoti e curiosità che lo circondano.

Infine, nella Chiesa di Santa Maria del Purgatorio ad Arco, vi è una “capuzzella” con il velo da sposa, quella di Lucia, venerata come intercessore per ottenere amore e favori sentimentali. Invece, nella Chiesa di Santa Luciella, situata in un caratteristico vicolo che porta lo stesso nome della vergine, è custodito un teschio con orecchie particolarmente sensibili. Si crede che possa esaudire i desideri con maggiore precisione grazie alla sua straordinaria capacità uditiva.


*Ivano Barbiero è nato a San Benedetto Po in provincia di Mantova, ma torinese di adozione, poiché vive nel capoluogo piemontese dall’età di tre anni. Giornalista professionista ha lavorato per 35 anni per l’Editrice La Stampa (Stampa Sera, La Stampa, Torinosette) scrivendo di Spettacoli, Cronaca, Teatro, Arte e Musica. Per vent’anni cronista di nera, dal 1980 al 1982 è stato Presidente del Gruppo Cronisti Piemonte e Valle d’Aosta. Nel 2011 ha curato la mostra storica fotografica al Borgo Medievale del Valentino “Torino, la città che cambia (1880-1930)”, visitata da aprile ad ottobre da oltre 180mila visitatori. Appassionato di gastronomia, coltiva peperoncini piccanti, oltre ad avere numerosi esemplari di orchidee e piante grasse. Possiede una collezione di oltre 350 esemplari di elefantini in miniatura. Da piccolo sognava di riparare gli orologi dei campanili.


Note


[1] In:

https://www.laportadivetro.com/post/viaggio-nell-italia-insolita-e-misteriosa-24;

https://www.laportadivetro.com/post/viaggio-nell-italia-insolita-e-misteriosa-23;

https://www.laportadivetro.com/post/viaggio-nell-italia-insolita-e-misteriosa-21;


 


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