Viaggio nell'Italia insolita e misteriosa
- Ivano Barbiero
- 13 ore fa
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Rimini, Federico Fellini nella città dei suoi sogni
di Ivano Barbiero

C'è ancora tanta Rimini nel taccuino del nostro viaggiatore che la settimana scorsa ci aveva inoltrato nei misteri della Domus del Chirurgo, millenaria casa romana individuata casualmente sul finire degli anni Ottanta del Novecento ed aperta alla visite sul finire del 2007.[1] In questa seconda sosta, Ivano Barbiero ci porta alla scoperta di qualcosa di più contemporaneo, a guardare molto da vicino un grande del Novecento, il regista Federico Fellini, cui Rimini ha dato i natali il 20 gennaio 1920 e che dal regista è stata messa al centro della sua narrazione in più film. Oggi, la città racconta quello che si può definire una sorta di eponimo nel Fellini Museum, polo museale diffuso su tre sedi, Castel Sismondo, Palazzo del Fulgor e piazza Malatesta. Cominciamo la visita.
C’è poco da fare: a Rimini, da qualunque parte si giri, si sente la presenza sognatrice del grande Federico Fellini che qui è nato il 20 gennaio del 1920, un martedì. A partire dalla scultura sorprendente della rinocerontessa su una barca, che staziona all’ingresso del Palazzo del Fulgor e che richiama il finale del suo film “E la nave va”. Regista, sceneggiatore, fumettista e scrittore, nella sua carriera Fellini ha realizzato 19 film, lasciando opere ricche di satira, caratterizzate da uno stile onirico e visionario e velate di una sottile malinconia.

Candidato 12 volte al Premio Oscar, ne ha vinti quattro come migliore pellicola in lingua straniera, mentre nel 1993 gli è stato conferito il quinto alla carriera. Ha vinto inoltre due volte il Festival di Mosca, la Palma d’Oro al Festival di Cannes e il Leone d’Oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia. Tra l’altro gli è stato intitolato anche l’aeroporto internazionale cittadino. Il logo dell’aerostazione, così come quello della Fondazione a suo nome, riporta la caricatura del regista, di profilo, con cappello nero e sciarpa rossa, ed è opera del regista Ettore Scola. Non è solo per questi motivi che la sua città di nascita ha voluto dedicargli il Fellini Museum, un polo museale diffuso dedicato alla sua opera e al suo immaginario. Un’enorme esposizione che si articola in tre sedi principali: Castel Sismondo, Palazzo del Fulgor e Piazza Malatesta; ciascuno di questi luoghi con caratteristiche uniche che offrono un’esperienza immersiva nel mondo dell’indimenticato artista.

Castel Sismondo ospita senza dubbio la parte più emozionale. Le sedici sale dell’antica Rocca Malatestiana accolgono infatti allestimenti che permettono una profonda immersione nella poetica e nell’universo di Federico Fellini. Nelle sale del quattrocentesco maniero sono restituite le atmosfere dei suoi film: la fontana di Trevi dove si immerge Anita Ekberg ne “La dolce vita”; la nebbia dove si perde il nonno in “Amarcord”; il pontile da dove si affacciano i protagonisti de “I vitelloni”; i confessionali di “8½” dove amici e collaboratori del regista raccontano qualcosa di lui. Grazie all’utilizzo di tecnologie avanzate, come installazioni multimediali, si permette ai visitatori di esplorare il suo immaginario.
In dettaglio: la prima sala è dedicata alle sue origini e ai suoi esordi con la sua produzione giovanile come scrittore satirico, giornalista e disegnatore di vignette e caricature. Al centro della sala una “filza” di fogli sospesi simboleggia il metodo di archiviazione cartacea dell’epoca. Sono esposti disegni e riferimenti a personaggi come Pinocchio, Bibì e Bibò e alle tavole di Antonio Rubino per il “Corriere dei Piccoli”. Nella seconda sala c’è un omaggio a Giulietta Masina, moglie e musa di Fellini, con un fregio continuo e animato di primi piani, dalla sua interpretazione di Gelsomina nel film “La Strada,” (1954, premio Oscar come migliore film straniero) e altri ruoli significativi. Sullo sfondo un motocarro “Ercole-Guzzi” che richiama lo stesso film.

Nella terza sala si esplora l’uso del dolly, (il carrello su cui si monta una macchina da presa e che scorre su binari), strumento cinematografico preferito e fondamentale nell’espressività felliniana. Un camioncino azzurro, ispirato a “Roma”, monta un dolly con proiettori che mostrano sequenze iconiche come quelle de “La dolce vita” e “8½”.
La quarta sala è composta da quattro installazioni che evocano il rapporto di Fellini con il mare della sua città natale, mentre la quinta analizza il celebre film “La dolce vita” che ha segnato un’epoca, evidenziando come abbia catturato la fragilità dell’apparente trionfo economico del boom italiano. Una enorme sagoma della Ekberg sdraiata occupa tutta la sala mentre tre grandi schermi ripropongono le scene salienti del film, tra cui quella memorabile dell’attrice svedese che entra nella fontana di Trevi e chiama “Marcello! Come here!”.

La sesta sala è invece dedicata ai provini e agli aspiranti attori e presenta uno “specchio magico” che attiva una galleria di immagini delle “buste” in cui Fellini conservava le candidature di chi voleva tentare la carriera cinematografica. Fra le migliaia di aspiranti attori si nota anche un giovanissimo Alvaro Vitali (che tanti anni dopo sarebbe esploso cinematograficamente nel ruolo di Pierino).
Nella settima sala troviamo invece i costumi di scena, un’esposizione di abiti iconici, come quelli de “Il Casanova”, che valsero a Danilo Donati il suo secondo Oscar, presentati attraverso monitor che animano i costumi statici. Nella stanza successiva, incentrata sulle Pubblicità Fantastiche, vengono proiettati degli spot e i filmati commerciali realizzati dal regista assieme a sequenze inventate per i suoi film, mescolando sapientemente realtà e fantasia.
La sala nove, della Letteratura e dell’Esoterismo, offre una pausa nel percorso espositivo, con la voce della poetessa Rosita Copioli che racconta l’interesse di Fellini per la letteratura, i fumetti e le scienze occulte. La Decima sala permette invece di sfogliare virtualmente “Il Libro dei Sogni” del regista, attraverso un’interazione simbolica, soffiando su una piuma sospesa.

L’undicesima sala esalta la connessione tra la filmografia del regista riminese e la musica, con un focus e un tributo particolare al compositore Nino Rota, che scrisse diverse colonne sonore felliniane. Qui un’enorme sfera d’acciaio, ispirata a” Prova d’orchestra”, domina la sala. La numero 12, chiamata “Sala dei Confessionali”, ospita appunto quattro strutture proprio a forma di confessionale che raccolgono testimonianze audio dei collaboratori e amici di Fellini, svelando retroscena della sua carriera.
La tredicesima sala simbolizza lo scorrere del tempo attraverso il movimento di un’altissima altalena e di schermi che ondeggiano sul soffitto, mentre la sala successiva mostra virtualmente il fondo fotografico legato al grande Federico, inclusi scatti durante la realizzazione dei film e fotografie iconiche e numerosi scatti dei “paparazzi” (termine nato da “La dolce vita”).
La Sala 15, soprannominata “Biblioteca Immaginaria”, espone virtualmente dei suoi scritti e la sua attività cinematografica, creando una biblioteca grande quanto il mondo; una sorta di enciclopedia infinita del suo genio cinematografico. La Sala 16, infine, chiude il percorso con un’installazione che riassume il suo travolgente impatto culturale, ovvero il “Diario dello Tsunami Fellini”.

Davanti a Castel Sismondo, Piazza Malatesta è conosciuta anche come Piazza dei Sogni ed offre installazioni evocative. C’è inoltre il “Bosco dei Nomi”, ideato dal poeta Tonino Guerra. È un insieme di fiori di pietra su cui sono incisi i nomi di grandi personaggi del cinema amici di Guerra: Federico Fellini, Giulietta Masina, Marcello Mastroianni, Michelangelo Antonioni, Andrej Tarkovskij, Theo Angelopoulos, Sergej Paradjanov. Questi “fiori” bianchi sono illuminati da tre grandi lanterne in ferro battuto che Guerra ha dedicato allo scrittore russo Lev Tolstoj. Anche questo bosco è inserito in un triangolo verde che ricorda le scene rurali del film “Amarcord” e segna il punto simbolico in cui la prima campagna tocca la città storica.

Nel Palazzo del Fulgor - il cinema dove il futuro regista vide i primi film - un portico dorato protegge l’ingresso. Anche qui è possibile intraprendere un altro viaggio nell’immaginario felliniano attraverso una serie di strumenti visivi e tecnologici e tre “architetture scrigno”: “la Stanza delle Parole”, uno spazio dedicato alle interviste e alle dichiarazioni di Fellini; “Il Cinemino”, ossia una piccola sala cinematografica da 25 posti dove vengono proiettati a rotazione i suoi film e il documentario “La verità della menzogna”. E infine “La Casa del Mago”, un ambiente che esplora l’interesse del Maestro per la magia e l’esoterismo. Sono inoltre ospitati numerosi suoi oggetti personali, come scenografie originali, costumi, fotografie e lettere. Tra le cose più sorprendenti ci sono gli schizzi e i disegni preparatori che egli faceva per i suoi film.
Il museo celebra il Fellini cineasta, ma anche l’uomo, legato indissolubilmente alla sua città natale. C'è infatti anche una sezione che esplora la sua infanzia e la sua formazione artistica a Rimini. Finito il vostro tour sarete anche voi irresistibilmente attratti da vedere ancora una volta la rinocerontessa, magari anche solo per scattare una foto ricordo, e ripensare alla frase “Il latte di rinoceronte è buono”, pronunciata dal giornalista Orlando nel film “E la nave va” del 1983.

Che significato dare a questa affermazione? È un enigma volutamente lasciato senza una spiegazione univoca dal regista. Attraverso i materiali disponibili, possiamo esplorare diverse interpretazioni e il contesto in cui questa affermazione si inserisce. Nel contesto narrativo del finale del film, dopo il naufragio della nave “Gloria N”, il giornalista Orlando si ritrova su una scialuppa di salvataggio con un rinoceronte femmina, precedentemente descritto come "malato di tristezza d'amore". Mentre l'animale mangia placidamente un ciuffo d'erba, Orlando sussurra al pubblico: "Lo sapevate che il rinoceronte dà un ottimo latte?", schermandosi la bocca per non farsi sentire dall'animale. Questa battuta conclude il film senza la parola "Fine", lasciando lo spettatore con un interrogativo aperto.
Fellini ha sempre rifiutato di spiegare compiutamente il significato del latte di rinoceronte, sostenendo che un simbolo autentico "non ha bisogno di spiegazioni". Un esempio perfetto dello stile felliniano, sospeso tra ironia, mistero e profondità psicologica. Come scrisse il semiologo Paolo Fabbri, “una fantasia, se autentica, contiene tutto”. Difatti, Fellini preferiva che il pubblico si interrogasse, piuttosto che ricevere risposte: il latte di rinoceronte, dunque, rimane un invito a navigare nell'ambiguità, accettando che alcune verità siano ineffabili.
Note
https://www.laportadivetro.com/post/viaggio-nell-italia-insolita-e-misteriosa-24;
https://www.laportadivetro.com/post/viaggio-nell-italia-insolita-e-misteriosa-23;
https://www.laportadivetro.com/post/viaggio-nell-italia-insolita-e-misteriosa-21;
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