Viaggio nell'Italia insolita e misteriosa
A Gignese, sul Lago Maggiore, il Museo unico dell’ombrello
di Ivano Barbiero
Ombrellai di tutto il mondo unitevi! Non è la versione climatica di un appello vetero marxista, bensì in forma leggermente scherzosa l'invito a scoprire uno dei più singolari musei esistenti in Italia e all'estero: quello di Gignese, nei pressi di Verbania, che raccoglie ed espone migliaia di ombrelli. Ma non solo. Al suo interno ci sono anche altre cose. Segreti del mestiere, per esempio, tramandati di generazione in generazione. Ma non ci inoltriamo oltre per non svelare le sorprese che ci attendono oggi grazie al racconto del nostro viaggiatore Ivano Barbiero, che da Milano, dove due settimane fa aveva visitato la chiesa di San Bernardino alle Ossa, nota anche come San Bernardino ai morti, ha percorso poche decine di chilometri in linea d'aria, verso nord-ovest, per arrivare appunto a Gignese, quarantaduesima tappa [1] in giro per l'Italia che continua a tenere sempre viva la nostra curiosità.
“Chi desidera veder l’arcobaleno deve imparare ad amare la pioggia”. È una frase del poeta brasiliano Paulo Coelho che si sposa perfettamente con un museo unico al mondo: quello di Gignese, vicino a Verbania, sul Lago Maggiore, dedicato all’ombrello e al parasole. Al suo interno con oltre 1500 pezzi in esposizione viene raccontata la storia di questo oggetto millenario che pare abbia avuto origine in Estremo Oriente, ma anche le vicende e le peripezie degli ombrellai del Vergante e del Mottarone. Si trattava di una forte corporazione di artigiani itineranti dell’Ottocento, dotata di un gergo segreto, il tarùsc, per trasmettere i segreti del mestiere senza essere compresi dai non addetti a questo lavoro. Dal punto di vista etimologico il termine “tarùsc” con molta probabilità deriva dal verbo tedesco “tarnen” che significa mimetizzarsi, mascherarsi, camuffare.
Dal 1976 in via Golf Panorama 4
Questo luogo singolare è stato fondato nel 1939 dall’agronomo Igino Ambrosini, appassionato di storia locale e originario di una famiglia di famosi ombrellai ed ha trovato spazio dapprima nella scuola locale. L’esposizione è stata poi ricostruita nel dopoguerra e dal 1976 ha la sua collocazione su due piani, in via Golf Panorama 4, un edificio dalla pianta particolare che riproduce la sagoma di tre ombrelli affiancati.
Sostenuto dai contributi della Regione Piemonte, del Comune e dall’Associazione Amici del Museo dell’Ombrello, nelle sue stanze accoglie anche impugnature e bastoni e racconta l’evoluzione delle mode che hanno influenzato dall’800 a oggi lo stile di questo utilissimo accessorio. Vi sono inoltre diversi pezzi storici, ombrelli che sono appartenuti a pittori e cardinali, personaggi famosi come Giuseppe Mazzini, e il parasole della Regina Margherita, la cui famiglia era solita villeggiare a Stresa.
Nel settore del Museo dedicato alla vita degli ombrellai si possono inoltre ammirare i rudimentali attrezzi delle antiche botteghe che permettono di compiere un autentico viaggio nella memoria di altri tempi attraverso volti, strumenti e luoghi di lavoro che hanno caratterizzato la produzione di questo oggetto. Qui sono raccolte immagini, testimonianze e curiosità di un lavoro antico che gli ombrellai nati in queste terre hanno saputo far conoscere ed apprezzare in tutto il mondo. Il termine "ombrellai del Verbano" si riferisce a questi artigiani che, a partire dal XIX secolo, hanno contribuito allo sviluppo di un'industria che combinava abilità artigianali con la produzione di accessori di alta qualità. Questi artigiani sono noti per la cura nei dettagli e per l'utilizzo di materiali pregiati, e la loro attività è stata strettamente legata al turismo che fioriva nella regione, visto che il Lago Maggiore era una meta ambita da nobili e borghesi.
Dal Verbano a Parigi e poi nel mondo...
Il mestiere degli ombrellai ha avuto una certa notorietà nel corso degli anni, ma, come molti altri mestieri tradizionali, ha visto un progressivo declino a causa della produzione industriale di massa e dei cambiamenti nei gusti e nelle esigenze dei consumatori. Oggi, alcuni discendenti di questi artigiani continuano a mantenere viva la tradizione, cercando di preservare l'arte dell'ombrello fatto a mano, mentre altri hanno indirizzato la loro attività verso la produzione di oggetti simili o altre forme di artigianato.
Gli ombrellai italiani, in particolare quelli provenienti dalla zona del Lago Maggiore, si sono diffusi in diverse nazioni nel corso degli anni, portando la loro tradizione artigianale all'estero. Uno dei principali paesi in cui gli ombrellai italiani sono arrivati è stata la Francia, in particolare a Parigi, dove hanno trovato un pubblico sofisticato e appassionato di prodotti artigianali di alta qualità. Gli artigiani italiani si stabilirono in città come Parigi, che all'epoca era un importante centro di moda e cultura.
Oltre alla Francia, gli ombrellai italiani si sono diffusi anche in altre nazioni europee come la Svizzera e la Germania, nonché in alcune zone dell'America Latina e in Nord America, dove l'arte della produzione di ombrelli ha trovato un buon mercato, soprattutto tra l'élite borghese e aristocratica. Questa diffusione si è avuta soprattutto nel XIX e all'inizio del XX secolo, quando il turismo e l'esportazione di prodotti artigianali erano molto più sviluppati. Gli ombrellai italiani sono quindi riusciti a farsi conoscere in numerosi paesi, consolidando la reputazione dell'Italia come un centro di eccellenza artigianale.
Marchio artigianale, simbolo di eleganza
La famiglia più famosa tra gli ombrellai italiani è stata quella dei Mariani. La loro azienda fu fondata nel XIX secolo e si distinse per la qualità dei suoi ombrelli, diventando famosa anche all'estero. La tradizione degli ombrellai Mariani fu tramandata di generazione in generazione, contribuendo a rendere il mestiere degli ombrellai un'arte riconosciuta a livello internazionale. La qualità dei loro ombrelli fu apprezzata anche da personaggi illustri dell'epoca, e il marchio fu simbolo di eleganza e artigianalità.
Oggi, la famiglia Mariani non è più attivamente coinvolta nella produzione di ombrelli, ma la tradizione e il nome sono ancora ricordati e celebrati come un prodotto di qualità e artigianato legato alla storia degli ombrellai del Verbano.
Le vetrine del Museo dell’ombrello e del Parasole ospitano 200 esemplari che consentono al visitatore di seguire l’evoluzione dei tipi e delle mode, dai primi del ‘900 fino ai nostri giorni. Al piano terreno sono esposti i vari materiali di copertura: trine, sete, cotoni, fibre sintetiche, così come stecche, fusti di legno e metallo, osso e altro ancora. Si rimane incantati anche dalle bellissime impugnature intagliate nel legno e quelle realizzate con materiali preziosi come oro e argento e con smalti dipinti a mano o madreperla. Per non parlare della seta pregiata d’artus (o artusc), associata alla città di Como, con cui venivano realizzati gli ombrelli più pregiati. Si trattava di una seta lucida e finemente lavorata che richiedeva un’abilità artigianale, facendo di questi prodotti degli oggetti molto ricercati.
Al piano superiore si vedono invece le foto di moda e i documenti storici che descrivono l’uso del parasole, degli ombrelli, oltre a quello che riguardava il commercio degli artigiani ombrellai: dalle foto dei pionieri, alla collezione degli attrezzi del mestiere, contenitori di pelle o di legno e i materiali necessari alla riparazione degli ombrelli. Tantissimi oggetti curiosi per i profani che facevano parte della vita di tutti i giorni dei “lusciat”, gli ombrellai ambulanti, oltre a diverse fatture contabili delle fabbriche di tutta Italia che commissionavano a quel tempo i lavori. Questo mestiere particolarmente diffuso nel Vergante trova altri riconoscimenti in alcuni monumenti dedicati agli ombrellai presenti nei comuni limitrofi come Brovello-Carpugnino e Nebbiuno.
Un idioma per difendere i segreti del mestiere
articolare il pannello dedicato al gergo specifico, già sopra richiamato, tarùsc, con il quale gli ombrellai comunicavano tra di loro. Questo gergo ha avuto parecchie influenze nel dialetto locale e in quello delle feste e festività che non erano solo occasioni ludiche o religiose, ma momenti ricchi di una forte connotazione sociale e culturale.
Tarùsc, da cui prende il nome l’idioma dei lusciat (gli ombrellai), rimanda al nome di un leggendario gnomo timido e un po’ scontroso che abita a fianco del monte Mottarone e nei boschi limitrofi. La tradizione fiabesca lo indica come un piccolo personaggio di una cinquantina di centimetri vestito di verde con una folta barba rossa e con le scarpe dello stesso colore che ama i rospi in particolare. Indossa anche un copricapo a forma di tricorno che all’occorrenza utilizza come borsa da viaggio. Il suo rifugio preferito sono le cascate del torrente San Paolo sopra Belgirate. Ama combinare piccoli scherzi, come far inciampare le persone ed emettere strani fischi. Per neutralizzarlo è sufficiente rovesciare ogni sera un sacchetto di riso o di segale e poiché il Tarùsc è un essere molto ordinato perderà tutta la notte a raccogliere e a rimettere in ordine il tutto. Anche se viene descritto come uno spiritello di indole selvatica e insofferente ai visitatori, in passato ha avuto contatti con gli uomini ed ha insegnato loro a costruire gli ombrelli.
Gli ombrellai erano ambulanti che per la maggior parte conducevano una vita di stenti, ma le famiglie si aiutavano tra loro anche nei casi di avversità, come malattia e morte. I ragazzini venivano affidati agli ombrellai più esperti per imparare almeno un mestiere e costoro provvedevano al loro sostentamento, per misero che fosse. Proprio la povertà li rendeva gelosissimi del loro mestiere, pressoché unica fonte di reddito per la famiglia. Per questo motivo inventarono un linguaggio particolare, una sorta di codice, per non farsi capire dagli estranei e cautelarsi da una possibile concorrenza, difendendo così i segreti del loro mestiere. Questa lingua era un insieme di parole provenienti dal dialetto del Vergante, ma anche dalla lingua tedesca, francese e spagnola. Un linguaggio costruito ed elaborato nell’arco di quattrocento anni, girando in quasi tutti gli stati europei, fino in Russia ed anche in Sud America. Adulti e ragazzini vivevano come nomadi gridando a gran voce “donne, donne. à ghè l’ombrelè!”, portando a tracolla la “barsèla”, la cassetta nella quale erano riposti tutti i “sápitt”, i ferri del mestiere: forbici, rocchetti di refe, pezze varie, bastoni di legno. Con questi oggetti cucivano, limavano, intagliavano il legno, incollavano, sagomavano stoffe, dalla seta al cotone. Riparavano i vecchi ombrelli rendendoli nuovamente utilizzabili e se si fosse trattato di confezionarne di nuovi allora sarebbe stata davvero festa grande.
Piccolo dizionario per orientarsi...
Oggi questo idioma è una lingua storica, ma sino agli anni Sessanta del XX secolo era parlato in tutti i paesi del Vergante, a Stresa e a Gignese. Vi sono norme che ne regolano la dizione e la scrittura e che si rifanno ad altre lingue (arabo, ebraico, francese, tedesco, inglese, portoghese, piemontese) oppure che richiamano modi di dire diversi, relativi a luoghi, etimologie, significati simbolici, termini per indicare lo straniero e svariate locuzioni.
Questi alcuni esempi. Dal tedesco: bergna = denaro (da bergen: mettere al sicuro, nascondere, come il denaro); bull = paese; bulla = città (da Burg: paese, città); casèr = capo (da Kaiser: colui che comanda); gnùfèl = bambino, ragazzino (da gnufel: piccolo, debole); músa = minestra (da Mus: pappa, passata); cartòfel = patata (da Kartoffel: patata); sciabà = bere; tràmpul = salame con possibile collegamento con trampel = sciocco.
Vi sono poi vocaboli dal significato simbolico, poiché traggono origini da assonanze o da similitudini. Ecco alcuni esempi: mànja = moglie, donna (da maniglia o manégía: palo di sostegno, qualcuno di cui fidarsi); pastón = risotto (come il pastone per gli animali); feriò = mantello (mantello da ferraiolo); piulàt = ubriacone (frequentatore di osterie).
Queste invece alcune caratteristiche locuzioni: il casèr del rundèl = Dio, il capo, il padrone del mondo; il casèr di casèr = il re, l’imperatore, il capo dei capi; il casèr di zúrla = il papa, il capo dei preti; il casèr di bull= il sindaco, il capo della città; il casèr di mànji = il sindaco delle donne (essendo emigrati per lavoro tutti gli uomini, in paese erano rimaste solo le donne ed il sindaco aveva autorità solo su esse).
Non molto distante da Gignese, a Massino Visconti, nel centro del paese, è possibile ammirare il monumento dedicato agli ombrellai. È stato realizzato nel 1972 dallo scultore Luigi Canuto, a ricordo dei molti “lusciàt” che, dalla fine del Settecento fino ai primi del Novecento, praticarono questo durissimo e affascinante mestiere.
Note
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https://www.laportadivetro.com/post/viaggio-nell-italia-insolita-e-misteriosa-23;
https://www.laportadivetro.com/post/viaggio-nell-italia-insolita-e-misteriosa-21;
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