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Viaggio nell'Italia insolita e misteriosa

Il Cristo velato a Napoli


di Ivano Barbiero


Lasciato agosto alle spalle, riprendono i viaggi [1] - siamo alla trentaseiesima tappa - nel mistero di Ivano Barbiero che oggi ci porta nei vicoli napoletani per guardare da vicino un'opera artistica di grande pregnanza emotiva: il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino custodito nel Museo Cappella Sansevero, conosciuto anche come Santa Maria della Pietà o Pietatella, luogo di culto familiare che risale al Cinquecento.


Una delle opere più belle che avrete occasione di vedere nella vostra vita, considerata uno dei più grandi capolavori della scultura di tutti i tempi, in grado di lasciare senza fiato per la maestria con cui è stata realizzata. Non stiamo esagerando, il Cristo Velato, di Giuseppe Sanmartino, che si trova a Napoli nel Museo Cappella Sansevero, vale certamente il viaggio per andarlo ad ammirare. Per riuscirci dovrete addentrarci nei vicoli odorosi, chiassosi e movimentati del centro antico, sino a via Francesco De Sanctis 19/21, che in realtà è un vicolo, a poca distanza dalla piazza San Domenico. Quasi di sicuro dovrete sottoporvi a una lunga coda, sperando che i posti contingentati non siano già stati tutti esauriti.


La Cappella San Severo, nota anche come Santa Maria della Pietà o Pietatella, fu fondata alla fine del Cinquecento da Giovan Francesco di Sangro (1590) come cappella funeraria della famiglia; ed è stata rinnovata dal figlio Alessandro (1608-13). Fu poi decorata (1749-66) da Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero, rampollo di un casato discendente da Carlo Magno, vissuto fra il 1710 e il 1771; personaggio estremamente eclettico e poliedrico, noto per i suoi contributi in vari campi come l’alchimia, l’esoterismo, la scienza e l’arte.

Quando si parla di lui come “maestro dell’Arte Regia”, ci si riferisce sia alla sua profonda conoscenza e pratica dell’alchimia, sia alle scienze occulte che erano spesso associate alla Massoneria e alle tradizioni esoteriche.

Egli concepì e mise in opera l’affascinante progetto iconografico, attualmente visibile nel museo, chiamando a lavorare presso di sé artisti rinomati e sovrintendendo personalmente a tutte le fasi della lavorazione. La cappella San Severo è infatti un gioiello del patrimonio artistico internazionale. Creatività barocca e orgoglio dinastico, bellezza e mistero s’intrecciano creando qui un’atmosfera unica, un po’ fuori dal tempo. Il principe intese realizzare un mausoleo nobiliare, contemporaneamente un tempio iniziatico, in cui trasfuse la sua poliedrica personalità di mecenate, inventore, letterato, editore e Gran Maestro della Massoneria del Regno di Napoli. L’Arte Regia, o “Arte Reale”, è un termine che si riferisce all’alchimia e alla ricerca della pietra filosofale, simbolo della perfezione spirituale e materiale.

Raimondo di Sangro era coinvolto in queste pratiche e aveva creato un circolo esoterico noto come” Rosa d’Ordine Magno”, che univa conoscenze egizie, pitagoriche e cabalistiche.

Personaggio di per sé singolare, astronomo e filosofo, uomo d’armi, il principe ideò e produsse numerosi pezzi di artiglieria. Nel 1739, per esempio, concepì un archibugio in grado di sparare, sia a polvere, che ad aria compressa. Inventò anche una “lampada perpetua” utilizzando ossa dei crani umani e ricreò in laboratorio il cosiddetto miracolo di San Gennaro, utilizzando un amalgama di oro e mercurio misto a cinabro, dello stesso colore del sangue coagulato. Ma non solo, il suo esordio come inventore si data nel 1729 quando, ancora allievo presso i Gesuiti (terminerà gli studi nel 1730), dimostrò il proprio “maraviglioso intelletto” con l’invenzione di un palco pieghevole per le rappresentazioni teatrali.

Di lui la fantasia popolare napoletana ha fatto un essere da leggenda. Si racconta che “tesseva senza ordigni stoffe mai viste; con le mani riduceva in polvere marmi e metalli: entrava in mare con la sua carrozza e i suoi cavalli, senza bagnare le ruote”. (Di fatto, il disegno della Carrozza Anfibia progettata dal principe si conserva ancora).

“Per essere un gran signore, un principe, egli riuniva alle arti diaboliche capricci da tiranno, opere di sangue e atti di raffinata crudeltà. Ammazzò nientemeno che sette cardinali, e delle loro ossa costruì sette seggiole, ricoprendone il fondo con la loro pelle”. (B. Croce, Storie e leggende napoletane) e non esitò a tradire i fratelli massoni per salvarsi.

Per tornare alla cappella, il principe la decorò con degni e fantastici monumenti, a partire dal capolavoro senza discussioni, il Cristo Morto o Velato di Giuseppe Sanmartino o Sammartino (celebre anche come creatore di presepi), realizzato nel 1753.

Il corpo del Salvatore, disteso e nudo, è ricoperto da un velo leggerissimo, letteralmente trasparente, così che le forme traspaiono in un modo meraviglioso. Naturalmente il velo è di marmo e fa parte integrante della statua. Sanmartino era rinomato per il suo virtuosismo tecnico e la capacità di rendere il marmo quasi trasparente. Altre sue opere si trovano nella Cattedrale di Monopoli (statue a grandezza naturale di San Giuseppe e San Michele Arcangelo), decorazioni nella Chiesa della Nunziatella, oggi annessa alla Scuola Militare omonima, otto statue di grandi dimensioni per la cattedrale di Taranto, sculture a Foggia, altre sculture e decorazioni a Martina Franca e a San Severo.

La prima opera di rilievo che Raimondo di Sangro, fece portare a compimento nella sua cappella fu, nel 1749, la decorazione della volta con la “Gloria del Paradiso”, il cui autore, Francesco Maria Russo, si servì di colori inventati dallo stesso principe. Altre meraviglie di puro virtuosismo che qui si possono ammirare sono “Il Disinganno”, “Santa Rosalia” e “Amor Divino”, di Francesco Queirolo, il “Monumento a Cecco di Sangro” e il “Dominio di sé stessi” (di Francesco Celebrano), e la “Pudicizia” di Antonio Corradini. In realtà si tratta di una donna nuda sotto un lievissimo velo, una delle statue più licenziose che si conoscano.

Scendendo infine in una sorta di sottoscala, obbligatorio per uscire infine all’aria aperta, si accede a una stanza pomposamente denominata “Appartamento della Fenice” e si vedono giocoforza, in due grandi vetrine, le “Macchine anatomiche” realizzate dal medico palermitano Giuseppe Salerno.

Sono due scheletri, in posizione eretta, ravvolti nella rete completa delle vene e delle arterie, che sembrano solidificate; una sorta di processo di “metallizzazione” che narrano sempre le leggende, fosse stato inventato dal principe e di cui si sarebbe perso il segreto. Si racconta anche che Raimondo di Sangro iniettò una sostanza alchemica a due servi - un uomo e una donna di colore che subì un taglio cesareo - ancora in vita, per far sì che la circolazione sanguigna agevolasse l’irrorazione della sostanza fino alla periferia. Un’anonima guida settecentesca aggiunge che ai piedi della donna era posto “il corpicciolo d’un feto” accanto al quale vi era addirittura la placenta aperta legata al feto dal cordone ombelicale. Resti del feto erano visibili ancora fino a pochi decenni fa, finché non furono trafugati.

In realtà il sistema circolatorio di queste due “macchine” è frutto di una ricostruzione effettuata con diversi materiali, fra cui cera d’api e alcuni coloranti. Stupisce, ad ogni modo, la riproduzione del sistema arterovenoso fin nei vasi più sottili, che dimostra conoscenze anatomiche estremamente avanzate per l’epoca, tanto che un gruppo di ricercatori ha di recente suggerito l’ipotesi che, ai fini della ricostruzione, siano stati precedentemente effettuati esperimenti iniettivi.

Queste realizzazioni vanno inserite nell’ampio spettro di sperimentazioni e interessi del principe di Sansevero, che si occupò anche di medicina. D’altra parte, lo scheletro della donna era su una pedana e si faceva “girare d’ogni intorno per osservarsene tutte le parti”. Particolare che fa capire come egli lo avesse ideato quale oggetto di studio.

Non va dimenticato, tuttavia, il suo intento - andato a buon fine - di “meravigliare gli osservatori”, contemporanei e posteri”, né è priva di suggestioni l’originaria collocazione delle Macchine nell’Appartamento della Fenice, uccello quest’ultimo legato al mito della Resurrezione e dell’immortalità.


Note

Note


[1]

In:

https://www.laportadivetro.com/post/viaggio-nell-italia-insolita-e-misteriosa-24;

https://www.laportadivetro.com/post/viaggio-nell-italia-insolita-e-misteriosa-23;

https://www.laportadivetro.com/post/viaggio-nell-italia-insolita-e-misteriosa-21;




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