Viaggio nell'Italia insolita e misteriosa.
Il labirinto della Masone, oasi di pace e di meraviglie
di Ivano Barbiero
Ventiquattresima tappa del nostro infaticabile viaggiatore. Dopo aver girovagato in Toscana, osservato Siena, valicato l'Appennino per spostarsi in Emilia e infilarsi nel racconto degli Orsanti[1], Ivano Barbiero rimane in terra emiliana, e vi si ferma per entrare, nel vero senso della parola, in una singolare opera nata in provincia di Parma, a Fontanellato, dalla volontà di un noto editore, Franco Maria Ricci.
All’ingresso vi consegnano un braccialetto che dovete allacciarvi al polso. In caso di difficoltà ad uscire, potete contattare il numero di telefono riportato sulla striscia azzurra di carta comunicando il numero rosso del percorso più vicino a voi per venire recuperati. Stiamo parlando del Labirinto della Masone, un parco culturale costruito nel 2015 a Fontanellato, in provincia di Parma, da Franco Maria Ricci, grafico, editore e designer italiano. Un dedalo costituito da bambù di specie diverse, che si si estende per sette ettari, per uno sviluppo di oltre tre chilometri. Una struttura intricata costruita in modo tale che chi vi entra faccia fatica ad uscirne e che è la più grande al mondo di questo genere.
Oltre al labirinto, in quest’area è ospitata, la collezione d’arte di Franco Maria Ricci. Una raccolta eclettica e curiosa con circa 400 opere, che vanno dal Cinquecento al Novecento e che ne riflettono il suo gusto personale. In questi stessi ambienti si trovano inoltre la sua casa editrice, una biblioteca che comprende anche tutti i libri curati da lui in oltre cinquant’anni di attività e lo spazio per le mostre temporanee. In questo periodo c’è quella bellissima e affascinante mostra di Ferit Orhan Pamuk, scrittore e saggista turco, insignito del Premio Nobel della Letteratura il 12 ottobre 2006.
Un tuffo nel Rinascimento
Il Labirinto della Masone viene considerato da molti un compendio di tutte le diverse configurazioni che queste strutture hanno assunto nel corso della loro storia millenaria. Altrettanto affascinanti sono le piante di bambù utilizzate per creare i vari percorsi, sono poco meno di trecentomila, appartenenti a venti specie diverse, alte tra i tre e i 15 metri. Si tratta di suggestive gallerie vegetali che incorniciano i corridoi del labirinto e che offrono ai visitatori riparo e la sensazione di trovarsi immersi in una dimensione sospesa, irreale. Bambù dal fusto maculato, striato, giallo e di molti altri colori, rivelano d’un tratto, scorci sorprendenti e inaspettati, grazie anche alle diverse dimensioni raggiunte dalle diverse tipologie di piante. All’interno del parco bivi e vicoli ciechi disorientano il visitatore, chiamato a scegliere la via giusta da percorrere: come accadeva nei giardini-labirinto del Rinascimento. In questo caso l’uscita coincide con la Piramide, posta al centro della struttura, una piccola cappella che evoca con la sua presenza l’antico legame tra Labirinto e Fede e dove sul pavimento vi è un ulteriore labirinto.
Interrogato sulle ragioni di una scelta così insolita per la realizzazione di quest’opera, Ricci raccontava di come l’amore per i bambù fosse nato quando un giardiniere giapponese gli suggerì di arricchire il giardino della sua dimora milanese con un boschetto di questa specie. Entusiasta del risultato decise di ripetere l’esperimento e di piantare un giardino analogo sulle terre che circondavano la sua casa di campagna. Infatti, a differenza del bosso, pianta tradizionalmente impiegata nella realizzazione dei giardini-labirinto, il bambù (appartenente alla famiglia delle graminacee) cresce e si propaga ad una velocità sorprendente. Inoltre, non si ammala, non perde le foglie, e a causa della sua impaziente crescita assorbe grandi quantità di anidride carbonica, lasciando a noi l’ossigeno.
Anticamente il labirinto era per lo più unicursale, ovvero costituito da un unico involuto percorso che conduceva inesorabilmente al suo centro. In seguito, è diventato sinonimo di tracciato multiviario o multicursale. Il più antico labirinto in una chiesa cristiana è quello della Basilica di San Vitale, a Ravenna. Durante il dodicesimo e il tredicesimo secolo un tracciato a forma di labirinto, sempre unicursale, iniziò a essere raffigurato nella pavimentazione interna delle cattedrali gotiche, come nel caso del duomo di Siena e delle cattedrali di Chartres, Reims e Amiens in Francia. Questi labirinti rappresentano il cammino simbolico dell’uomo verso Dio e spesso il centro del dedalo rappresentava la “città di Dio”. Questa struttura era per molti simbolo del pellegrinaggio o del cammino di espiazione; spesso i tracciati che si trovano ancora in molte chiese venivano percorsi durante la preghiera e avevano la validità di un pellegrinaggio per chi non poteva intraprendere un vero viaggio. Non a caso, il passaggio attraverso il labirinto era chiamato anche “pellegrinaggio”.
Il borgo della cultura di Franco Maria Ricci
Tutti gli edifici del Labirinto della Masone sono stati progettati da Pier Carlo Bontempi, architetto di Parma noto e attivo su un piano internazionale. Sono stati costruiti utilizzando dei mattoni fatti a mano, materiale tipico del territorio padano, in modo da creare armonia tra le strutture architettoniche e il paesaggio circostante. Nell’estate del 2005 sono invece stati piantati i primi bambù mentre nel 2010 è iniziato il cantiere degli edifici e i lavori sono terminati nel 2015 con l’inaugurazione poi avvenuta il 29 maggio di quell’anno.
Il percorso che muove verso il centro di questo intrico di fogliame è tipico di quelli classici, di cui quello cretese a sette spire è l’esempio più noto, mentre la pianta quadrata dell’area percorribile rimanda a quelli romani.
Il perimetro è a forma di stella che ricalca quello che fu adottato da Vespasiano Gonzaga Colonna a Sabbioneta, nel Mantovano, dalla Repubblica Veneta a Palmanova in Friuli e dal generale e ingegnere militare francese Vauban, una delle maggiori figure della Francia del Re Sole. Proprio guardando a questa tradizione, Ricci ha immaginato la sua “cittadella”, il suo personale borgo della cultura con la sua piazza e la sua chiesa.
“Da bambino amavo i labirinti - raccontava Ricci che è morto all’età di 83 anni, il 10 settembre 2020 a Fontanellato - Poi questi ricordi si sono sedimentati e, a un certo momento, sono tornati fuori”.
L'influenza di Jorge Luis Borges
Ricci pensò per la prima volta di costruirne uno proprio negli anni Ottanta, in seguito all’incontro e alla collaborazione con Jorge Luis Borges, scrittore argentino che per la sua casa editrice diresse la collana La Biblioteca di Babele. “Lui era ossessionato da queste strutture, le citava continuamente nei suoi racconti. Borges rimase ospite a casa mia per venti giorni, negli anni Ottanta, e fu allora che iniziai a pensare di costruirne uno vero”.
L’idea iniziò a prendere forma concreta agli inizi degli anni Duemila, grazie all’incontro con Davide Dutto, allora giovane studente torinese di architettura. “Dutto mi aveva proposto un affascinante progetto editoriale, da me accettato con entusiasmo”. L’idea era di ricostruire con l’uso di nuovi software, l’isola di Citera, il luogo descritto nel più prezioso tra i libri a stampa: l’Hipnerotomachia Poliphili, pubblicato a Venezia nel 1499 da Aldo Manuzio. Il volume “Il giardino di Polifilo” rivelò così un’immagine smagliante di quel luogo incantato e immaginario”.
Le scene ottenute da Dutto col computer ricordarono a Ricci il labirinto e l’intenzione da cui era stato sfiorato parlando con Borges di costruirne uno. Fu così che con l’aiuto dell’architetto piemontese si mise al lavoro e nel 2005 venne elaborato il progetto definitivo. Per quanto riguardava la parte botanica, Ricci si affidò ancora a Dutto e ispirandosi ai labirinti raffigurati in due mosaici romani (uno conservato al Museo nazionale del Bardo, a Tunisi, l’altro al Kunsthistorisches Museum di Vienna) ne venne creato uno sul modello del labirinto romano.
Usciti quasi a malavoglia dal dedalo di bambù ci si può incamminare in un altro percorso, altrettanto avvincente, visitando il Museo che ospita la vasta raccolta di Ricci.
Sono circa quattrocento opere fra pitture, sculture, disegni e oggetti della storia dell’Arte italiana ed internazionale che rispecchiano appieno l’eclettismo del collezionista. Si va dalla grande scultura del Seicento a quella neoclassica, ai busti dell’epoca di Napoleone a cui fanno da controcanto le Vanitas, nature morte con teschio, spesso granguignolesche, qualche volta opera di artisti famosi come il pittore universale Jacopo Ligozzi. Non mancano i manieristi (Annibale Carracci, Luca Cambiaso), né artisti legati agli anni d’oro del Ducato di Parma (Ferdinando Boudard, Giuseppe Baldrighi, Pietro Melchiorre Ferrari) né la pittura dell’Ottocento, tra cui spicca Francesco Hayez, uno dei principali esponenti del romanticismo storico. Infine, a documentare gli accostamenti al Novecento, ecco le opere di Adolfo Wildt, Antonio Ligabue, Alberto Savinio unite all’eleganze di epoca Déco.
La mostra dedicata a Orhan Pamuk
L’allestimento non è quello di una quadreria, né quello scientifico di un Museo, procede per associazioni e non si astiene da sottolineare i parallelismi che esistono tra le scelte di editore e quelle di collezionista.
Non è tutto: lungo il percorso si possono ammirare alcuni dei tanti libri pubblicati da Ricci, tutti consultabili, e alcune rare edizioni di volumi stampati, come ad esempio quelli di Giambattista Bodoni e Alberto Tallone.
Altrettanto affascinante è l’ultima sorpresa che questo luogo riserva: la mostra di Orhan Pamuk, dal titolo “Parole e Immagini”. Da più di dieci anni scrive e disegna quotidianamente taccuini,12 dei quali sono esposti e commentati in un percorso scenografico tra le sale espositive. La videoproiezione di interviste allo scrittore-artista, corredate da cortometraggi di Istanbul, permette di addentrarsi nella sua poetica, approfondendone e indagandone il rapporto tra parola e immagine. Fino ad oggi queste immagini colorate, spesso oniriche, sono rimaste sconosciute anche agli estimatori più attenti.
Pamuk è stato il primo autore turco a ricevere il riconoscimento del Nobel con la seguente motivazione: “nel ricercare l’anima malinconica della sua città natale, ha scoperto nuovi simboli per rappresentare scontri e legami tra diverse culture”.
“Ho trascorso la mia vita ad Istanbul - raccontava nel 2003 lo scrittore - sulla riva europea, nelle case che si affacciavano sull’altra riva, l’Asia. Stare vicino all’acqua, guardando la riva di fronte, l’altro continente, mi ricordava sempre il mio posto nel mondo, ed era un bene. E poi, un giorno, è stato costruito un ponte che collegava le due rive del Bosforo. Quando sono salito sul ponte e ho guardato il panorama, ho capito che era ancora meglio, ancora più bello di vedere le due rive assieme. Ho capito che il meglio era essere un ponte tra due rive. Rivolgersi alle due rive senza appartenere”.
In definitiva, il tempo sembra realmente fermarsi, come per magia, quando si visita il Labirinto della Masone. Non importa se si rimane un’ora o un’intera giornata. C’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire. approfondendo vari temi sempre affini alle passioni che hanno guidato l’attività e la vita di Franco Maria Ricci.
Note
[1] In:
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