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Andrea Surbone

Utopia e spazi del sistema per la riduzione dell’orario di lavoro

Aggiornamento: 7 set 2022


di Andrea Surbone


Dunia Astrologo come sempre espone con chiarezza i contorni del tema - la riduzione dell'orario di lavoro - nel suo articolo di ieri, 5 settembre, su La Porta di Vetro. Tema che ci accomunò, insieme a Pietro Terna, in un volume uscito tre anni fa per Meltemi e che prendeva le mosse esattamente da Intelligenza artificiale e non-occupazione.

Vorrei, allora, riproporre, allargandolo ai lettori, il Battibecco (la parte II del libro, nella quale Dunia, Pietro e io discutemmo reciprocamente i nostri saggi); si ripresenta qui, per l’appunto, il medesimo schema: da una parte la militanza, che porta ognuno di noi a battersi per ciò in cui crede e con il fine di migliorare la situazione attuale; dall’altra il libero pensiero che porta tutti noi, invece, anche in altre direzioni e senza soggezioni, né legami necessariamente stretti con la situazione attuale.


Che quest’ultima, infatti, presenti un quadro ormai esiziale, sia dal punto di vista sociale sia da quello ambientale, è sotto gli occhi di chiunque. Urgono, pertanto, sia la militanza sia il libero pensiero. Il rapporto dell’uomo con il lavoro è un – se non il – tema centrale della costruzione della società umana, dal delegare dello schiavismo al diretto coinvolgimento dell’ora et labora benedettino, dalla gioiosa utopia anarchica de L’Abolizione del lavoro[1] alla ferma rivendicazione terrena della dignità umana di Papa Francesco; fino al compromesso contemporaneo che vede uno schiavismo rivisitato - il lavoro dipendente[2] - e liftato in abbinamento a un sostegno statale - il welfare -.

Il tema, tuttavia, è anche un altro: ha ancora senso tentare di aggiustare la situazione attuale? Il continuo susseguirsi di crisi economiche piccole e grandi, personali e globali, e di crisi sociali, compresa una guerra con pesantissimi riflessi economici planetari e ambientali, dovrebbe portarci a ritenere l’attuale situazione non più migliorabile a livello di sistema; e, probabilmente, nemmeno più a livello di quotidianità, se non per minimi aggiustamenti.


Il tetto - il welfare - sta rovinosamente franando e le fondamenta - il sistema del credito con il suo capitale da accumulazione, sia essa privata o collettiva - sono ormai fradice, marce: che senso ha dare il bianco in salotto[3]? Dobbiamo forse arrenderci, cercando di tirare a campare il più possibile? No, non è questo il messaggio positivo che desidero dare e per il quale mi batto, come militante e soprattutto come pensatore: l’umanità ha ancora infinito pensiero libero a disposizione. Per cambiare realmente paradigma e tornare a lottare per il futuro e credere in esso, inteso come percorso incessante di miglioramento.

[1] Bob Black, L’abolizione del lavoro, Ed. Nautilus, Torino 1992. [2] Compresi i nuovi lifting dello spostamento da lavoratore dipendente a imprenditore di sé stesso; si veda, per esempio, Sorry We Missed You di Ken Loach. [3] Nello scantinato - il sud del mondo - si sa: non si fanno lavori di manutenzione, non è economico, non ha senso.

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