Ursula von der Leyen: ora l'Europa ha la sua Bismark
Aggiornamento: 4 ore fa
di Vice

Ursula Gertrud Albrecht, coniugata von der Leyen, è nata in Belgio da padre tedesco funzionario pubblico presso la commissione europea, l'8 ottobre 1958. Un mercoledì.[1] In quello stesso giorno, con una edizione straordinaria di quattro giornali capitolini, veniva annunciata la morte di Papa Pio XII. Notizia falsa diventata autentica il giorno dopo, quando alle 3:52 i medici constatavano la fine dell'agonia di Papa Pacelli, il cui pontificato era durato 19 anni, durante i quali aveva caldeggiato e sostenuto l'unione politica dei cattolici in Italia, come in Francia e in Germania. In quest'ultimo Paese, nell'ottobre del 1958, il cattolico e presidente incontrastato dell'Unione Cristiana-Democratica (CDU) Konrad Adenauer era al suo nono anno di cancellierato.
L'anno prima, alle elezioni in cui aveva letteralmente schiacciato gli avversari, il presidente del partito bavarese Josep Baumgarten si era lasciato sfuggire questa elegia da brivido sul carisma esercitato dal Cancelliere sui tedeschi: "Ein Volk, ein Reich, ein Fuhrer". Una sintesi estremamente coerente, peraltro, con la richiesta di riarmo che Adenauer continuava ad avanzare dall'inizio degli anni Cinquanta, insieme con la fine della denazificazione che impediva a milioni di tedeschi di partecipare alla vita politica della Germania occidentale, ma non agli Stati Uniti e ai servizi segreti occidentali di reclutare ex gerarchi nazisti per contrastare il comunismo. Richiesta, quella del riarmo, reiterata anche alla vigilia del 25 aprile del 1959, nell'incontro con il presidente del consiglio italiano, Antonio Segni, nella casa di proprietà del Cancelliere a Cadenabbia, sul lago di Como.
Non deve quindi stupire la predisposizione europeista della presidente della Commissione europea, eletta nelle file della CDU, alla parola "riarmo": è nel suo Dna politico. Né deve stupire, quindi, il discorso con cui ha spiegato a un'aula semivuota del Parlamento europeo che "la pace nella nostra Unione non può più essere data per scontata. [...] Quindi, questo è il momento della pace attraverso la forza". Contro chi, è facile indovinarlo: la Russia di Putin. La stesso che da tre anni martella l'Ucraina, 44 milioni di abitanti, senza riuscire a piegarla, mentre potrebbe aggredire e mettere a ferro e a fuoco l'Europa, un continente che conta oltre 500 milioni di abitanti, una Nato che continua a aumentare i suoi arsenali convenzionali e nucleari, due eserciti all'interno dell'Alleanza atlantica (Gran Bretagna e Francia) dotati del potere di deterrenza atomica, un paese di confine ad est, come la Polonia, le cui forze armate hanno raggiunto un potenziale bellico di prim'ordine. A rigore storico, aggiungiamo, per definire anche il perimetro del passato tra aggrediti e aggressori, che si parla della stessa Russia in cui le armate naziste dilagarono il 22 giugno 1941, con l'intenzione di eliminare gli Untermenschen, i sub-umani dell'Est, e alle quali l'alleato fascista Benito Mussolini, che si pregustava un'altra vittoria da condividere con il minimo prezzo, concedeva il Csir, il Corpo di spedizione italiano in Russia: 62.000 uomini, 83 aerei, 4.600 animali da soma, sella e tiro e 5.500 automezzi su un totale di circa tre milioni di uomini appartenenti alle potenze dell'Asse.
Si potrà obiettare che la Germania non ha cambiali di pagare, soprattutto all'Unione Sovietica, regime totalitario quanto quello hitleriano, le cui differenze, secondo alcuni, sono minime, in particolare nel confronto tra il sistema concentrazionario dei lager e quello dei gulag. Se poi ci si inoltra nell'esegesi della nascita del nazismo, la lettura dei testi dello storico tedesco Ernst Nolte, autore della tesi del nazismo come reazione al comunismo, non può che rafforzare il sentimento che nulla sia dovuto dalla Germania. Tantomeno all'Italia, che pur superando per amore dell'Europa il motto "un tedesco buono è un tedesco morto", nel denunciare le stragi naziste, dall'eccidio di Cefalonia a Boves, alle Fosse Ardeatine, a Marzabotto e decine di altre insieme con le migliaia di partigiani e civili uccisi e impiccati, ha chiesto la condanna dei criminali di guerra e implicitamente confermato che le cambiali naziste non si estinguono, né si scontano. E, forse, è probabile, anzi è molto probabile, che il pensiero sia condiviso dai cittadini russi, ai quali l'uso della parola "forza" pronunciato dalla signora von der Leyen, potrebbe avere causato più di un rigurgito fastidioso e provocato echi sgradevoli. Anche se guidati da un autocrate che li fa cittadini di un paese in cui la democrazia vive più di un distinguo e si traduce con più sfumature.
Memoria del passato. Dalla Russia a Torino, ai giorni successivi all'8 settembre 1943, quando arrivò a presidiare manu militari la città il 2° Reggimento corazzato Panzer-Grenadier della I Divisione Leibstandarte SS Adolf Hitler. Che non era un reparto qualunque, ma formato, come ricorda lo storico torinese Nicola Adduci, da "circa 3mila uomini ben equipaggiati, dall'aspetto minaccioso e impressionante, ossuti e verdi come ramarri, scrive Cesare Pavese; si trattava di truppe appena giunte dal fronte russo, abituate dunque più di altre a una violenza cieca e senza freni. [...] Anche se non vi erano stati fino a quel momento concreti episodi di aggressività da parte dei torinesi, gli invasori si resero subito protagonisti di una fitta trama di sparatorie, esecuzioni e atti di violenza gratuita con il duplice scopo di punire l'alleato traditore e amplificare il clima di terrore già esistente nei loro confronti".[2]
Ora, con un salto nel presente, anche se si può convenire che la Presidente della commissione europea non abbia trattenuto nulla del passato nazista, neppure liofilizzato, meno si è rassicurati, paradossalmente, dalle sue capacità di lettura delle esigenze militari, considerati i suoi precedenti non del tutto entusiasmanti. Nel 2015, prima ministra della difesa nella storia tedesca dal 2013, fu criticata dall'opposizione e da alcuni esperti per l'acquisto di 138 elicotteri da guerra per la Bundeswehr, costati 8,5 miliardi, che manifestavano numerosi problemi tecnici e criticità.[3]
Inoltre, Spiegel riferì di avarie ai motori degli NH90 che avrebbero provocato un incidente, e di un software difettoso con rischio di cortocircuiti causati da difetti di progettazione. Anomalie persistenti che comunque indussero alla sospensione temporanea le operazioni di volo per l'intera flotta. Gli Stati maggiori di Marina ed Esercito chiarirono che l'acquisto fosse "urgente per rimpiazzare i velivoli obsoleti".
Le commesse militari non sono le uniche zone d'ombra che attraversano la biografia della Presidente della commissione europea, laddove dal web si attinge l'accusa di plagio della sua tesi di laurea e, di recente, il cosiddetto Pfizergate, all'epoca dei vaccini anticovid.
Comunque, per risolverla con una battuta di Totò, non sono altro che "bazzecole, quisquilie, pinzellacchere" se paragonate agli 800 miliardi di euro, altrettanti "urgenti" da spendere (come gli elicotteri?) che, forse, meriterebbero ben altra competenza e riflessioni. Magari è quello che domani, 15 marzo, penserà la piazza per l'Europa.
Note
[2] Nicola Adduci, L'occupazione di Torino, 10-30 settembre 1943, in Che il silenzio non sia silenzio, Museo Diffuso della Resistenza, Istoreto, 2015
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