Una strage fascista: 18 dicembre 1922
Aggiornamento: 9 ore fa
di Vice
Domani mattina, davanti alla lapide commemorativa, di fronte alla stazione di Porta Susa, Torino, con in testa il suo Gonfalone di città medaglia d'oro della Resistenza, ricorderà nella piazza omonima i martiri della violenza fascista del 18 dicembre 1922: undici vittime, secondo le statistiche al ribasso dell'epoca, centinaia i feriti e gli aggrediti dalla furia squadrista. Un ricordo che si ripropone da domenica 16 dicembre 1945, quando per la prima volta dal giorno della Liberazione gli antifascisti torinesi si ritrovarono alla Camera del Lavoro per commemorare le vittime e scoprire il busto raffigurante dell'allora segretario della Fiom, l'anarchico Pietro Ferrero, vittima designata della premeditazione omicida fascista, l'uomo che gli industriali consideravano il nemico numero uno.
La prima commemorazione: 16 dicembre 1945
Davanti a centinaia di persone, bandiere abbrunate, quella domenica 16 dicembre 1945, prese la parola Maurizio Garino, l'anarchico amico di Ferrero, suo coetaneo, che lo aveva accompagnato nell'ultimo viaggio insieme ad appena altre quindici persone, e che per anni ne conservò il portafoglio, ritrovato con la tessera della Croce verde in quel che rimaneva dei suoi vestiti che ricoprivano un corpo reso deturpato, sfigurato, martoriato dall'asfalto, dopo essere stato legato a un camion e trascinato lungo corso Galileo Ferraris, fino al monumento a Vittorio Emanuele II. I fascisti diedero un saggio del terrore che erano in grado di scatenare con la complicità della Corona e dagli apparati statali.
Il 18 dicembre 1922 si consumò una delle più feroci stragi compiute dal Fascismo che esercitò con estrema violenza e assoluto disprezzo delle leggi il potere appena conquistato, quaranta giorni dopo la Marcia su Roma delle camicie nere e l'incarico di formare il governo al cavaliere Benito Mussolini. La feccia nera, al comando di Piero Brandimarte, un ex ufficiale dell'esercito, la cui impunità è assicurata dal quadrumviro Cesare De Vecchi, scatena il terrore nella caccia al "rosso", approfittando di un episodio di sangue in cui non vi è nulla di politico, se non un'azione di gratuita prepotenza finita male, molto male per due fascisti, Giuseppe Dresda e Lucio Bazzani, che muoiono in ospedale.
Immediatamente la vendetta fascista fa leva su quell'episodio. E' una autentica resa dei conti che si giova della disparità di forze in campo e dell'inerzia di polizia e carabinieri: gli squadristi sono sempre in tanti, armati, esaltati e assetati di sangue, un branco che si avventa spesso su persone del tutto estranee alla politica, ignare di ciò che è accaduto. Una vendetta cieca, anche nelle sue molteplici sfaccettature e casualità Il 18 dicembre 1922 è una nuttata d'incubi che non passa mai per Torino.
Tutto questo è stato portato in scena dalla compagnia Baracca&Burattini sabato scorso al Teatro Vittoria con la pieces “Gli altri li troveranno nei fossi”. [1] Uno spettacolo che ha realizzato un prologo suggestivo alla commemorazione di domani, con un testo che ha riportato lo spettatore indirettamente alle voci delle vittime, alle loro vite spezzate, in ultimo a quegli undici nomi - Pietro Ferrero, Carlo Berruti, Cesare Pochettino, Matteo Chiolero, Erminio Andreoni, Andrea Chiomo, Matteo Tarizzo, Leone Mazzola, Evasio Becchio, Giovanni Massaro, Angelo Quintagliè - fissati sul marmo di una lapide, che a ragione devono essere considerati il cordone ombelicale che ha tenuto vivo il senso della Resistenza, al traguardo del suo 80esimo nel 2025.
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