Una storia d'altri tempi: Giorgio Rinaldi, la spia sovietica di Torino
Aggiornamento: 22 nov 2023
di Enrico Bassignana
Dalla seconda decade del novembre 1967, l'attenzione dei quotidiani italiani era calamitata dal processo "De Lorenzo-Espresso" in corso a Roma. Lo scontro penale opponeva il querelante Giovanni De Lorenzo, ex generale e comandante del Sifar, il servizio segreto militare, e dell'Arma dei Carabinieri, ai due giornalisti, Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi, che nell'aprile dello stesso anno, con un titolo-bomba sul settimanale l'Espresso, avevano denunciato un presunto manovre golpistiche in Italia: «Finalmente la verità sul Sifar. 14 luglio 1964: complotto al Quirinale. Segni e De Lorenzo preparavano il colpo di Stato». In quello stesso aprile del 1967, le paure di un attentato alla democrazia si materializzavano in Grecia per il putsch militare attuato dai colonnelli Geōrgios Papadopoulos, Nikolaos Makarezos e Stylianos Pattakos che detronizzava la monarchia di re Costantino.
Ma, in sedicesimo, la cronaca oscura, contorta e misteriosa degli eventi di quei mesi, aveva riservato un spazio eclatante anche a Torino, dove a marzo era stata sgominata dal controspionaggio militare (Sid, così rinominato dopo lo scandalo Sifar) una rete di spionaggio a favore dell'Urss e arrestate tre persone: il paracadutista Giorgio Rinaldi, sua moglie, titolare di una "bottega" al Borgo Medioevale del Valentino e il loro autista. Era l'affaire Rinaldi, che sul finire dell'anno sarebbe approdato nelle aule del Tribunale. Quella vicenda, che nel 2021 ha avuto una sorta di remake con protagonista l'ufficiale di Marina Walter Biot, arrestato per spionaggio a favore della Russia, è ritornata con tutto il fascino di un'autentica spy story sull'ultimo numero di Torino Storia, con un articolo di Enrico Bassignana che ne ripropone una sintesi per la Porta di Vetro.
Il mio nome è Rinaldi. Giorgio Rinaldi. Un personaggio poliedrico: nato a Torino nel 1928 e morto ad Asti nel 1988 è stato partigiano, campione di paracadutismo, scrittore, pittore. E soprattutto spia: dal settembre 1956 al marzo 1967 Rinaldi è uno dei più efficienti agenti segreti del Gru, l’equivalente militare del Kgb sovietico. Uno 007 sotto la Mole, insomma: e infatti Torino è spesso luogo per contatti con altre spie o per il passaggio di informazioni segrete.
Nato in una famiglia della borghesia torinese, dopo l’8 settembre 1943, giovanissimo, si unisce a un gruppo di partigiani attivo nell’Astigiano con il nome di battaglia «Neri».
Nel primo dopoguerra si dedica al paracadutismo sportivo. In quel periodo viene avvicinato da un ex partigiano sovietico, che nel 1956 lo ingaggia come spia. Viene addestrato a Mosca, dal Gru (Direzione centrale per le informazioni) e poi inizia a operare sul campo. Il suo compito è quello di crearsi contatti in aeroporti militari spagnoli, per recuperare materiale segreto sulla collaborazione tra Spagna e Stati Uniti. Rinaldi approfitta dalla sua fama di addestratore (nel 1958 diventa direttore del Centro civile di paracadutismo, a Torino) e di sportivo, che lo vede impegnato tra Spagna, Italia e Svizzera. Nel 1957, anche se non in modo ufficiale, supera il primato europeo di caduta libera senza ossigeno; nel 1963 fa suo il titolo di caduta libera con ossigeno, lanciandosi da 9200 metri.
L’attività di spionaggio procede a gonfie vele, assai apprezzata dai sovietici che, a un certo punto, lo nominano tenente colonnello dell’Armata Rossa.
Ma a un certo punto qualcosa va storto: nel 1965 un militare spagnolo tradisce Rinaldi e sua moglie, Angela Maria Antoniola, detta Zarina. I due vengono arrestati per spionaggio politico-militare nel marzo 1967, e condannati al termine di un processo tanto clamoroso quanto discusso: 15 anni per Rinaldi, 11 per Zarina (che nel frattempo è diventata sua moglie) e 10 per un loro complice. La zarina Rinaldi muore libera, colpita da emorragia cerebrale, all'età di 63 anni il 12 febbraio del 1978 .
Sebbene più volte sollecitato, Rinaldi rifiuta di chiedere la grazia. Non si ritiene colpevole. Fin dall'arresto aveva dichiarato che aveva agito non per soldi ma per convinzione ideologica. Per lui otterrà clemenza l’avvocato Bianca Guidetti-Serra, che si appella al presidente Giovanni Leone: per quello che ha continuato a definirsi “spia sovietica prigioniera” le porte del carcere si aprono nell’agosto 1973.
Le sue peripezie sono descritte in un libro autobiografico dal titolo «Talnik (nascondiglio), storie vissute nello spionaggio sovietico» stampato dall'editore Landoni nel 1976.
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