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Una giustizia che funzioni è davvero nelle corde di Nordio?

Mauro Nebiolo Vietti

di Mauro Nebiolo Vietti


Se ne parla in piazza, sui giornali, nei salotti, è un argomento di gran moda, ma, stranamente nessuno affronta aspetti banali della giustizia (mai che mai da ieri, cioè dai titoli sulle indagini che investono Giorgia Meloni e tre ministri del governo indagati per l'affaire Almasri) che non rendono voti, ma che risolverebbero alcuni nodi gordiani.

Cominciamo da questi; una parte del PNRR sarebbe destinato a finanziare una giustizia più rapida perché l’attuale lentezza vanifica le aspettative di nuovi investimenti e ci allontana dall’Europa. L’organico previsto è di quasi diecimila magistrati, ma ne mancano millecinquecento, problema di cui nessuno si occupa; ad organico pieno forse i processi sarebbero più veloci, anche se il numero rimane insufficiente (in Francia, a parità di popolazione, il numero dei magistrati è il doppio rispetto all’Italia). Curiosamente il ministro della giustizia Carlo Nordio non predispone bandi speciali per recuperare i vuoti di organico, nessuno lo sollecita e così un problema, suscettibile di una soluzione banale, compromette il buon funzionamento della giustizia.

Il tutto a tacere della riforma Cartabia, ove si prevede che i giudici di pace assumano cause non più fino a 5.000,00 euro, ma a 10.000,00; forse non sarà rispettoso, ma occorrerebbe spiegarle che i giudici di pace non ci sono e neppure sono previsti bandi per selezionarne di nuovi. La maggior parte si è ritirata ed i pochi rimasti rinviano le udienze di due o tre anni in attesa di nuovi arrivi che non ci saranno perché nessuno se ne occupa. Evidentemente si tratta di problemi noiosi per il politico; Nordio e Cartabia puntano alla nunciazione del principio che merita l’applauso della platea (tanto sono convinti che chi applaude non capisce).

Nordio, in particolare, ha svolto tutta la sua carriera come pubblico ministero, ma la categoria deve averlo trattato male, isolato, schernito, bullizzato, perché il suo livore nei confronti dei pubblici ministeri sta lievitando e poi è grave che un ministro della giustizia dica bugie; racconta che la separazione delle carriere non è finalizzata a porre il PM sotto il controllo dell’esecutivo, ma in questo è smentito da Salvini che, appena assolto dall’accusa di sequestro di persona per la vicenda Open Arms, ha dichiarato che se la separazione delle carriere fosse stata già operativa il PM non l’avrebbe indagato (sottolineando così che il potere esecutivo non l’avrebbe permesso).

Ma se i politici sono seriamente intenzionati a danneggiare la giustizia, le picconate più serie arrivano dai magistrati. La Costituzione protegge l’indipendenza della magistratura riconoscendo l’autogoverno, ma i giudici hanno utilizzato tale prerogativa per scimmiottare i politici nei giochi correntizi e, poiché non hanno la capacità diabolica del politico di razza, si fanno sempre beccare nelle manovre scorrette, nelle promozioni non meritate e nella protezione di colleghi che dovrebbero essere sanzionati per comportamenti irregolari. Palamara ha scritto anche un libro per illuminarci sui giochi di potere di basso rango che rappresentano l’ossatura centrale del CSM, di cui è stato non esimio protagonista, peraltro.

Alla lunga l’opinione pubblica percepisce questa situazione di decadenza con la conseguenza che, diffondendosi a livello sociale una disistima nei confronti della categoria, la politica ne approfitta per affermare un primato in un settore dove la politica non dovrebbe avere alcun ruolo.

Molti magistrati sono critici nei confronti della loro categoria e reagiscono non partecipando alla discussione interna, ma così ottengono gli stessi effetti di chi, in occasione delle elezioni, non va a votare.

Il non voto (per l’elettore) o la non partecipazione (per il magistrato) non ha effetti neutri, ma esprime una rinunzia ad identificarsi, una scelta che rasenta la viltà favorendo il prevalere di chi persegue scopi personali o trasversali.

I magistrati che oggi si sono ritirati sull’Aventino devono invece iscriversi alle correnti (ciascuno secondo le proprie opinioni) e portare al loro interno un dibattito nuovo che emargini gradualmente i vecchi schemi; si tratta di un processo di trasformazione ovviamente lento, ma l’alternativa è la situazione attuale.

 

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