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Un libro per voi: "Uno come tanti", storia di giudici e di giustizia malata

di Vice


Con la magistratura sotto attacco mediatico, devitalizzata, secondo l'associazione che la rappresenta, da una cripto riforma che ne riduce la capacità operativa e che tende a minarne l'unità, le pagine de "Uno come tanti", romanzo ultimo di Ennio Tomaselli[1], finiscono per inchiodare il lettore ben oltre la trama che si attorciglia sulla figura di un ex giudice, Matteo Lorusso, scomparso e ritrovato, con suoi affetti e amici. Questi ultimi, personaggi tutt'altro di contorno, ma insieme a lui in trincea, per sconfiggere nemici antichi con la memoria perennemente votata alla vendetta.

L'autore non rinuncia, infatti, a una serie di riflessioni, alcune anche scomode per la stessa magistratura, nel ripercorrere la vita professionale del co-protagonista, l'altro è il figlio desideroso di ripercorrere le orme paterne, che si sovrappone alla storia passata e alla cronaca attuale del nostro Paese.

Il verbo attorcigliare, poi, non deve suonare come una presa di distanza critica, anche se Tomaselli, torinese, ex magistrato, mai si sottrae al desiderio quasi spasmodico di voler impreziosire la narrazione con riferimenti storici e culturali diretti o indiretti, sul cui sfondo interagisce costantemente il passato, come abbiamo anticipato, che somma il terrorismo alla criminalità organizzata e per effetto di trascinamento la corruzione, geograficamente saldato al presente sull'asse centrale Piemonte-Calabria. Lo sforzo intellettuale però non sempre premia e fino in fondo, rispetto alle precedenti prove di Tomaselli, da Messa alla prova a Un anno strano e soprattutto Fronte Sud, la qualità del testo di circa 320 pagine, che in più passaggi dà la sensazione, per usare una metafora, di ritrovarsi come compresso e deformato in una enorme valigia.

Avvertito il lettore, il romanzo tuttavia merita attenzione per il fascino intrigante da noir che riesce a emanare e per la descrizione dei suoi personaggi che sono vivificati da una trama dall'esito tutt'altro che scontato. Trama che fa baricentro, soprattutto emotivo per le implicazioni e i risvolti connessi, sul concorso per l'ingresso in magistratura di Fabrizio Martini, torinese trentenne, che scopre di avere un padre naturale (Matteo Lorusso) diverso da quello con cui è vissuto e da cui è stato educato: un "cambio" di identità che gli sconvolgerà la vita fino a un rovesciamento di 180 gradi contrassegnato di pericoli, di scoperte, di dolori, ma anche di grandi amori.

Il piano sequenza letterario, e qui si ritorna sopra, porta l'autore a non disdegnare "primi piani" sulla condizione della giustizia italiana, con severi giudizi sulla magistratura affidati alla parole del padre di Fabrizio, Matteo: "Giustizia giusta non è solo uno slogan, perché è vero che c'è anche quella ingiusta, per tante ragioni, compreso come pensano e operano certi magistrati". E sugli effetti delle inchieste di terrorismo e mafia negli anni Ottanta: "Le mega indagini e i maxi processi furono fondamentali, ma generarono dinamiche e anche alcuni storture che, in forme diverse, sono ancora attuali. Mentre del terrorismo la prima cosa da dire è che durò a lungo, più di quanto i giovani, mediamente, ritengono adesso. La seconda che i terrorismo, come anche il crimine organizzato, ritornano continuamente, in un certo senso ci sono e ci saranno sempre, anche se e quando non li vedi arrivare". (pag. 308). Riflessioni anticipate da una rivisitazione retrospettiva su quelle inchieste: "Molti colleghi avevano una sensibilità troppo scarsa rispetto alle rovine personali e familiari che potevano scaturire da indagini fatte già allora con il sistema della pesca a strascico, imputando un sacco di gente di cui una parte non trascurabile sarebbe stata poi assolta, spesso dopo periodi più o meno lunghi di galera. Insufficiente sensibilità nei confronti della presunzione d'innocenza ma, paradossalmente, anche delle vittime: spesso, con testimoni, le ultime ruote del carro che doveva comunque tirare diritto, al di là delle critiche e di qualche voce autocritica".

Non siamo dinanzi a un atto d'accusa, ma con più probabilità a un indispensabile invito a fare posto a una rivisitazione critica di metodi discutibili, indebiti poteri e gravi episodi di malcostume che hanno contribuito a impaludare la fiducia dei cittadini nei confronti dei magistrati da cui forze avverse e contrarie hanno approfittato e continuano ad approfittare.


[1] Ennio Tomaselli, Uno come tanti, Manni Editore, 2024, p. 336


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