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Un libro per voi: "Pino, il centauro Chirone e la politica bogianen"

Aggiornamento: 5 giorni fa

di Maria Grazia Cavallo


Alle 18.30 di oggi, 30 settembre, presso il Caffè Letterario Fiorio, in via Po 8 a Torino, sarà presentato il libro di Giuseppe De Michele "Pino, il Centauro Chirone e la politica bogianen" (Impremix edizioni, 250 pagine).

All'incontro, promosso dall'Associazione Culturale Vitaliano Brancati, parteciperanno i parlamentari Anna Rossomando e Mauro Laus, il più volte deputato Giorgio Merlo e Gianna Pentenero, capogruppo Pd in Consiglio regionale del Piemonte.

A moderare gli interventi Giovanni Firera, presidente dell'Associazione Culturale Vitaliano Brancati.


Conoscere Pino De Michele, sentirlo parlare, osservarlo mentre si rapporta con gli altri può richiamare alla mente la metafora di Mancuso[1] sul valore delle persone. E’ come osservare un giardino o un vigneto ben coltivati: “l’occhio riconosce all’istante la qualità della fatica profusa; allo stesso modo quando si sente parlare o si osserva in azione un essere umano è sufficiente poco per rendersi conto della qualità della sua interiorità e intravedere le erbacce o i frutti saporiti che essa nasconde”.

Si coglie, infatti, quanto lavoro interiore è stato fatto: “… lo sradicamento delle erbacce e delle malapiante che, chissà perché e chissà da dove, spuntano spesso dentro di noi… l’assidua coltivazione del terreno in cui riposa il seme del più autentico sé – per farlo fiorire e fruttificare”.

Si può immediatamente  intuire la fatica spesa  per dissodare, nutrire, seminare il terreno, per coltivare e far fiorire piante e raccoglierne i frutti.

Ebbene, credo che chiunque conosca Pino possa aver condiviso, fin dal primo incontro, questa sensazione. Oggi, la lettura della sua autobiografia ci conferma quanto di lui avevamo intuito, e che lui stesso ci ha dimostrato nel tempo. Perché Pino “convince senza promettere” , attraverso la coerenza del suo agire.

È perciò importante conoscere il racconto della sua vita, osservata dal suo punto di vista: ce ne offre l’ “interpretazione autentica”.

Il libro di Pino è così variegato e ricco di spunti di riflessioni, da poter essere letto a diversi livelli e da prospettive diverse, soprattutto alla luce di questi giorni nostri. Noi qui scegliamo di seguire il percorso dell’uomo dal Sud al Nord e l’evoluzione del suo impegno politico riformista e progressista, tuttora in fermento.


Dal nord al sud: il "confino" degli antifascisti

S’intrecciano poesia e ricordi nella descrizione di un’Italia “altra” e “diversa”: quella del Sud negli anni del dopoguerra fra depressione economica e voglia di ricominciare con estrema dignità.[2]

Un’Italia frenata e stremata, ma non messa in ginocchio dalla scarsità di risorse del Sud. Pino ci parla di San Giorgio Lucano, dove è nato. Della laboriosa operosità degli abitanti di quel  “paese di confino”: che - fra gli esiliati politici al tempo del fascismo - aveva ospitato anche la torinese, dirigente del partito comunista, Camilla Ravera. Oltre a lei (poi nominata senatrice a vita da Pertini) molti altri politici del Nord Italia soggiornarono in quella comunità al  margine – scrive Pino - “in una regione già ai margini, come del resto tutto il Meridione d’Italia”.

Un paese ospitale verso gli sfollati e accogliente, ma povero. Scarsamente agricolo, ove i contadini s’ingegnavano a strappare “orti, piccoli vigneti, campi di grano e piante da frutto” a terreni scoscesi, argillosi e difficilmente irrigabili. E poi bottegai, artigiani volenterosi: una popolazione vitale che però non riusciva a trattenere l’esodo dei giovani verso altre città del Sud, ma soprattutto verso il Nord Italia e l’estero. Ancora oggi è così, scrive Pino : l’esodo continua, “pur in un contesto socio-economico in movimento”.

 

Immigrazione ed emigrazione: ieri o oggi

Anzi: merita un’attenta riflessione questa emigrazione di oggi dal Sud. Non soltanto verso il Nord, ma ormai da tutta Italia verso l’estero. Di emigrazione colta oggi si tratta: fenomeno che in qualche modo depaupera anche il patrimonio culturale e le prospettive di sviluppo della nostra Nazione, che sembra non offrire più prospettive ai giovani.

Da San Giorgio Lucano comincia e si snoda la vita di Pino, un percorso nutrito sempre, nelle sue radici, dal ricordo di quel mondo coeso e fortemente dignitoso delle origini; alimentato dalla forza dei legami familiari, ma anche dall’urgenza caparbia di costruire una propria, autonoma strada. Pino è giovanissimo quando  segue il padre a Torino e - in attesa di veder riunita tutta la famiglia - viene  ospitato da familiari molto accudenti che li avevano preceduti nella città industriale che prometteva futuro.

Era questa la modalità abituale in cui si esprimeva la bella solidarietà della gente del Sud in quegli anni: certamente di speranza, ma anche difficili. Infatti l’incontro fra gente ancora così diversa per mentalità e  abitudini – eppure dello stesso popolo – fu tutt’altro che semplice a causa delle reciproche diffidenze e perché l’integrazione  non era stata in qualche modo “preparata” da una narrazione che ne indicasse i benefìci.

Cosicché l’approccio fra le speranze di chi arrivava e si sentiva ospite e le diffidenze istintive di chi era chiamato ad ospitare -  ma senza ancora saperlo fare - fu, per così dire, del tutto empirico: fra slanci di generosità ed errori.

Per impreparazione, le istituzioni non erano pronte a gestire quel fenomeno migratorio così eccezionale. Certo, anch’esse nel tempo si sarebbero “attrezzate”.  Ma chi, fin dal principio, ci riusciva d’istinto, erano “le persone che sapevano unire le persone”: appunto, come Pino. Lui - proponendosi attraverso l’istinto dialogante, l’interesse per gli altri e una solida  cultura  – era percepito come esempio affidabile: punto di riferimento a garanzia di buoni rapporti.


Italiani che hanno saputo unire gli italiani

Era importante - in quegli anni in cui, fatta l’Italia, fatti gli Italiani [3] occorreva ancora unirli in un rapporto di conoscenza reciproca e di dialogo - che vi fossero persone capaci di unire il nostro popolo, che era ancora quello dei dialetti.

Pino, per la sua parte , è  fra gli italiani che hanno contribuito ad unire gli italiani. Ed anche per tale aspetto, la sua biografia è paradigmatica oggi, mentre diventa epocale l’esigenza di trasformare le problematiche dell’emigrazione da e verso l’Italia in opportunità diverse, e  prospettive di crescita per tutti: per chi “c’è” e per chi “arriva”. Ma torniamo a seguire Pino nel suo percorso.

Grazie a certe sue qualità - di serietà, di volontà , di preparazione – alla sua intelligenza sociale ed all’amabilità del tratto, Pino supera ogni diffidenza:  “ci mette del suo“ quanto a impegno. Ricorda che alle scuole salesiane si distingueva come il più bravo in latino, il migliore nelle gare scolastiche, il capitano della squadra pluripremiata , il cerimoniere delle S. Messe cantate ( ruolo privilegiato, riservato ai preti). Godeva della fiducia dei suoi compagni, per i quali era un punto di riferimento, ed era al contempo “il beniamino dei professori”. Insomma: un leader fin da ragazzo e non a caso : perché arricchiva le sue qualità innate attraverso l’istruzione e l’istinto alla mediazione sociale.

Durante gli studi, grazie alle sue personali caratteristiche di serietà, alla capacità di impegnarsi, all’essere amabile e dunque amato da tutti, visse anni “entusiasmanti” come lui stesso scrive. “Avevo trovato amici e compagni… riuscivo a far emergere le mie doti di ragazzo di campagna prima e di strada poi, abituato ad arrangiarsi e a difendersi da solo…”.

Si dice che le persone non cambino nel corso della vita, comunque vadano le cose. Non credo che si tratti di una regola certa: ma questo è certamente vero per Pino. Quell’adolescente entusiasta e caparbiamente motivato degli anni ’60, già allora era un leader. E tale lo  ritroviamo alla facoltà di Architettura negli anni ’70: studente lavoratore, ma anche imprenditore e già padre di famiglia. Pino aveva cominciato a lavorare col padre – da quello consigliato e, in qualche modo, instradato. Ma sempre più stava rendendosi via via autonomo: rispettosamente, ma assertivamente cominciava a distaccarsene. Al contempo era diventato il referente politico di gruppi universitari: “punto di riferimento dei professori e degli studenti lavoratori”. Ebbe così  modo di conoscere la realtà degli enti pubblici, la macchina amministrativa, cominciò ad  impegnarsi  in confederazioni artigianali ed imprenditoriali.

Dunque: la persona che studia e che si prepara solidamente; il leader che sa dialogare fra persone che lavorano in ambiti diversi. E che può farlo  perché favorito da esperienze concrete , dalla capacità di mettersi all’ascolto delle esigenze e delle proposte di tutti per arrivare a  mediare .

Pino è dunque diventato  quello che è sempre stato. In nuce, lo si poteva già intravedere nel ragazzino lucano che amava il suo mondo, ma lo sentiva troppo ristretto rispetto ai sogni ed alle proprie capacità (“avevo le potenzialità per emergere al mio paese, che amavo e nella mia regione, ma sentivo anche la necessità di una crescita intellettuale”. E si domandava:  “Pino, vuoi essere il primo al tuo paese o tra gli ultimi a Torino?”).


Il riformismo progressista

Il percorso del libro si snoda attraverso l’illustrazione della politica piemontese, inquadrata nel contesto di quella nazionale e della storia europea. Il racconto si svolge dal dopoguerra ad oggi, e promette di prolungarsi – ciò è anche auspicio e interesse dei  lettori – a questi nostri giorni: che sono di disorientamento e di ricerca verso approdi che non possiamo ancora immaginare. Ma l’esigenza che tutti avvertiamo è quella di un rinnovamento radicale.

Al lettore il piacere di leggere. Cogliendo – attraverso le meticolose cronache del Nostro – quanto sia vero che le idee camminano sulle gambe delle persone. In nessun momento, infatti, Pino distoglie l’attenzione dall’importanza delle qualità umane di chi  fa  politica. Non soltanto portando idee, ma elaborandole e proponendole attraverso l’essere, prima di tutto,  persone:  con  esperienza di vita, capaci  di “saper stare al mondo” di confrontarsi dialetticamente con i sostenitori di idee diverse.

Non è forse proprio questo il primo strumento utile a far politica? Il saper dialogare, il saper tessere reti, il saper condurre confronti e non scontri; il saper comprendere il punto di vista degli altri. Ma, per farlo, occorre essere  desiderosi e capaci di  approdare ad un punto comune :che, in qualche modo, appaghi  i diritti, le esigenze, gli interessi, le aspettative e le speranze di tutti.

Se ben gestita, è questa l’essenza della politica: quell’essere cittadini proattivi, capaci di  ascoltare, di interpretare le aspettative di tutti; di farsene carico attraverso azioni concrete e funzionali al risultato. Capaci anche di compromesso, nel senso più nobile del termine: cioè come il saper gestire ed ottimizzare “la coesistenza di opinioni diverse tutte egualmente legittime”[4] riconoscendo valore e dignità all’altro. “Tutto questo presuppone un’etica politica fondata sul senso del dovere che è consapevolezza delle proprie responsabilità”[5].

Tale interpretazione dell’azione politica presuppone interlocutori neutri: che non si sentano gli unici detentori della verità[6] o del giusto, o del bene. E che abbiano – oltre alla visione politica – anche la capacità di  innalzarsi al di sopra dei propri immediati interessi per arrivare a mediare. In queste qualità sta quel lavoro che Pino ha fatto su sé stesso: la “coltivazione” del suo “giardino” di cui abbiamo parlato in esordio.

 

L’intelligenza sociale e politica

Noi qui vogliamo sottolineare -  necessariamente a grandi linee - quanto sia  vero che le idee camminano sulle gambe e attraverso l’apertura mentale, il pensiero informato e la preparazione delle persone. E quanto conti anche “il saper fare” con intelligenza emotiva e sociale; con competenze reali, mettendosi a disposizione della Politica senza godere di aperture di credito “a prescindere”, o di rendite da posizione o da gratificazioni “per dimostrata ubbidienza” a direttive dall’alto.

Ebbene, Pino ha dimostrato sempre queste caratteristiche di uomo libero, di pensiero e di azione. Di uomo del “fare”: capace di “attenzione” ravvicinata alle situazioni ed ai problemi concreti (nel senso weiliano del termine)[7]; di ascolto rispettoso delle differenze; di abilità nel mediare impegnandosi  – prima di agire – nel confronto lealmente “vero” fra le proprie e le altrui posizioni.

Occorre intelligenza emotiva , pazienza e lungimiranza politica per sperimentare  il  confronto alla pari, e l’abile esercizio della mediazione per arrivare perfino  al compromesso.

Del resto, lo stesso Ratzinger raccomandava ai politici tedeschi cattolici ,[8]  quale elemento importante della buona  politica ,  la ricerca del buon compromesso : “non l’assenza del compromesso, ma il compromesso è la vera morale dell’attività politica[9].

Il contrario del compromesso è fanatismo” scrive Amos 0z.[10] E noi aggiungiamo: lo sono  anche il qualunquismo populista, l’irrazionalità al potere, il pressapochismo di chi parla all’istinto bypassando la ragione, senza porsi il problema delle conseguenze delle emozioni scatenate. Chiaramente il buon compromesso politico deve avere due caratteristiche essenziali: “è buono quel compromesso” che – lungi dall’aprire al rischio di corruzione – “porta a una soluzione utile per il Paese e del quale si può parlare liberamente”, come scrive Violante [11].

Cioè: un compromesso antiegoistico, foriero di miglioramento sociale. L’obiettivo del buon compromesso è il poter fare un passo avanti, volta per volta, e tutti assieme, raggiungendo la coesione su varie problematiche specifiche. Ne è strumento la capacità di dialogo scevra da pregiudizi – salvo sui principi non trattabili – partendo dalla “libertà mentale” del ritenere tutte legittime le opinioni diverse, se orientate ai valori costituzionali. Nessuna opinione politica costituisce il condensato del giusto, poiché nessuno detiene la verità in tutte le diverse sfaccettature.

Per mediare, infatti, occorre prima di tutto cogliere tutte le sfaccettature del “prisma” della realtà: in qualche modo mettendosi nella testa degli altri e assumendone il diverso e particolare punto di vista. Per poter comprendere, prima di parlare e trattare, per poter agire con la più ampia conoscenza e consapevolezza.

Certamente la dialettica politica è conflitto, lo è strutturalmente per la sua natura. Ma il conflitto va superato e “risolto” attraverso il dialogo orientato al raggiungimento dello scopo utile alle parti . Le quali  devono essere così “mature” da non temere “di misurare i propri valori con quelli degli avversari”, da saper mediare, da impegnarsi “a spiegare all’elettorato il senso delle scelte compiute, assumendosene la responsabilità[12].

 Tutto ciò non è semplice. Non è rapido. Anzi è faticoso. Occorre la “pazienza del contadino” - per tornare all’immagine iniziale - l’umiltà di chi sa compiere “passo per passo” un percorso sicuro: forse lento, ma solido e fruttifero, su cui fondare i passi successivi. Ciò che ha “fatto” Pino De Michele - da riformista progressista qual è -  esprime un concentrato delle qualità e degli strumenti politici che abbiamo qui indicato.


La ricerca della persuasione

Fondamentale, nel  suo modo di far politica è sempre stata la ricerca della  persuasione , piuttosto che l’imposizione di tesi che non tollerino il confronto con le antitesi.

Un’altra immagine che l’incessante lavoro di Pino evoca è quella del “cacciavite  di Prodi”: chi la ricorda? Richiama l’umiltà di approcciare con senso pratico i problemi – uno per uno, alla loro radice, per cercare di correggerli via via e poi procedere più avanti. Migliorare, superare, risolvere praticamente  volta per volta; sempre orientati ai valori costituzionali. Ma a cominciare da quanto ci è immediatamente più vicino e per quanto sia concretamente possibile:  andando dal particolare al generale. Non è un caso, a conclusione di questo scritto, il richiamo a Romano Prodi.

Il modello ispiratore dell’azione politica di Pino De Michele, anche in quel laboratorio di politica - visionario e al contempo concretissimo -  che fu Torino ai tempi dell’elezione del sindaco Castellani, è  proprio l’esperienza dell’Ulivo di Prodi. Lo stesso Professore ha voluto scrivere parole di elogio per il lavoro di Pino, di cui il libro costituisce il  rispecchiamento.

Con lui Arturo Parisi, Mercedes Bresso, Magda Negri, Giorgio Merlo, Valentino Castellani: soltanto per citare alcuni fra i suoi amici, compagni di percorso, ispiratori. Poche donne però: questo è un dato della realtà da correggere  quanto prima. Persone dalle storie diverse, ma tutte orientate al cambiamento al rialzo, al meglio, e da cui il meglio ci aspettiamo. Riformisti e progressisti.

 

Note

[1] Vito MANCUSO , La forza di essere migliori, trattato sulle virtù cardinali , 2019 , ed.Tea, 2024

[2] Fa parte della memoria di povertà dignitosa dell’Italia , la controversa narrazione sul cappotto di  De Gasperi, in occasione del suo viaggio in America.

[3]  Cit . da Massimo d’Azeglio.

[4] L. VIOLANTE – Insegna Creonte 2021 – il Mulino - Bologna

[5] L. VIOLANTE, ibidem

[6] L. VIOLANTE, ibidem

[7] Tommaso  Greco, Curare il mondo con Simone Weill, Laterza , 2023

[8] Papa Ratzingher discorso ai  parlamentari tedeschi  26/11/1981

[9] A. OZ – Contro il fanatismo – Milano – Feltrinelli - 2004, citato da L. VIOLANTE: Il dovere di avere doveri”, Einaudi – Torino - 2014

[10] A. OZ – Contro il fanatismo – Milano – Feltrinelli - 2004, citato da L. VIOLANTE: Il dovere di avere doveri”, Einaudi – Torino - 2014

[11] L. VIOLANTE – Insegna Creonte 2021 – il Mulino - Bologna

[12] L. VIOLANTE – Insegna Creonte, cit.

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