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Piera Egidi Bouchard

Un libro per voi: “L’altra via di Aldo Capitini”

Aggiornamento: 12 gen

di Piera Egidi Bouchard


In questo presente così travagliato da mille conflitti - interpersonali, politici e internazionali - diviene oltremodo attuale una riflessione sul maggiore teorico della nonviolenza: scrittore, filosofo e promotore di famose iniziative, la cui più importante è la “Marcia per la Pace Perugia-Assisi”, da lui ideata e proposta nel lontano 1961. Si tratta di Aldo Capitini (1899-1968 ), a cui ora è dedicato un libro curato da Mario Martini[1] - dietro gli auspici del “Centro Studi Piero Gobetti”, il cui direttore, Pietro Polito, ne ha scritto una partecipe introduzione -  che è uno dei suoi più noti interpreti, e che ripercorre l’itinerario filosofico, religioso, politico e sociale del “Gandhi della cultura occidentale”, recentemente presentato al “Centro Studi Sereno Regis” di Torino, da sempre impegnato sui temi della pace.

Capitini non è un filosofo sistematico, ma - nota Martini - “appare come un autore in controtendenza, in quanto è scrittore propositivo, che si distanzia dal diffuso nichilismo e propone una visione religiosa della realtà. E d’altra parte, come estraneo ad ogni ortodossia, o, come lui dice di Mazzini ‘un credente senza tempio’, non è gradito ai credenti delle religioni positive, delle chiese istituzionali. Egli è filosofo religioso perché accoglie nella sua riflessione temi come il senso del dolore e della morte, la proposta del valore”. Infatti l’atto religioso  è “costitutivo di realtà, è immissione  di valore che orienti la realtà attuale nella direzione della liberazione, e questo in quanto apre i limiti della chiusura. L’atto religioso dell’apertura al futuro aggiunge qualcosa senza la quale la realtà non potrà mai sperare di ‘tramutarsi’.”

Le fonti e i modelli etico-religiosi di Capitini sono Kant, Mazzini, San Francesco e Gandhi, di cui fu studioso. Ma anche Leopardi, che, insieme a Kant, fu tra i suoi autori e ispiratori preferiti, tanto da autodefinirsi un “kantiano-leopardiano”. Da Kant egli trae il senso del dovere, ma anche del valore “un senso  severo dell’agire che passa attraverso la testimonianza della verità, e che si realizza soltanto nell’atto che procede da un’intima ‘persuasione ‘ al bene”. E da Leopardi gli viene “la coscienza appassionata della finitezza”, il senso della limitatezza delle cose, del dolore della condizione umana”.  Di qui lo sviluppo della sua etica, del suo impegno civile (la ‘civitas’ ), e della critica a ogni religione istituzionale, “basata su certezze dogmatiche, che si affida ai mezzi del potere, e in quanto tale fonte di violenza e discriminazione - nota Martini – a favore di una religiosità che possa essere da tutti accettata e vissuta nell’alveo democratico e con cui possa confrontarsi alla pari una piena laicità sul piano dei valori “.

Temi particolarmente affrontati nel suo forse più noto libro ”Religione aperta”(1955) che venne addirittura messo all’Indice per le sue durissime critiche alle religioni istituzionalizzate: ”Tutte le volte che la religione si fa pretesa unica e  autoritaria, sottomette l‘unità di tutti a se stessa, e perciò divide, è guerra e non pace, e capovolge la sana impostazione; invece di porre la pace con le persone e la guerra con le chiusure del mondo, fa pace col mondo e assume chiusure da esso, e conduce guerra alle persone. ”Di qui discende la convinzione della nonviolenza, il cui concetto essenziale è così definito: “La nonviolenza non può accettare la realtà come si realizza ora, attraverso potenza e violenza e distruzione dei singoli, e perciò non è per la conservazione, ma per la trasformazione”: il fine della nonviolenza non è la pace intesa come quieto vivere bensì la “liberazione”. E il potere dev’essere di tutti, secondo il concetto di  “omnicrazia”, cioè democrazia partecipativa e integrale.

Ne consegue l‘impegno nella società: Capitini fu antifascista, licenziato dal lavoro di segretario amministrativo della Scuola Normale  Superiore di Pisa diretta da Giovanni Gentile per il rifiuto di prendere la tessera del partito fascista e costretto a tornare a Perugia, sua città natale, dove vivrà poveramente con i proventi di lezioni private. Nel 1938 con Guido Calogero prende parte alla stesura del Movimento liberalsocialista, e nel 1942 viene arrestato con lui e rinchiuso nel carcere delle Murate a Firenze, insieme a un gruppo di intellettuali, come Tristano Codignola e Enzo Enriques Agnoletti; successivamente arrestato di nuovo con altri intellettuali nel ’43, è incarcerato a Perugia fino alla caduta di Mussolini il 25 luglio. Dirigerà il “Corriere di Perugia”, organo del CLN provinciale. Nel 1946 sarà reintegrato nel suo lavoro a Pisa, e successivamente diverrà docente di Filosofia morale e Storia delle Religioni nella Facoltà di Lettere e  Filosofia.

Nel 1949 partecipa al primo convegno italiano sull’obiezione di coscienza, e l’anno seguente al Congresso mondiale delle religioni per la fondazione della pace a Londra.  Negli anni ‘50 scrive di pedagogia, si batte per lo sviluppo della scuola pubblica, fonda il Movimento nonviolento  e la Società Vegetariana italiana. Intesse rapporti con Danilo Dolci, con  don Milani e nel 1962 promuove la prima “Marcia  per la pace e la fratellanza dei popoli”, sul percorso di 24 chilometri tra Perugia e Assisi, partecipando nello stesso anno al Convegno nazionale fiorentino sui problemi del disarmo. Molteplici sono i suoi libri e le riviste da lui fondate e dirette: l’ultimo saggio ”Il potere di tutti” uscirà postumo l’anno seguente alla sua morte, con un’ampia introduzione di Norberto Bobbio, con cui intrattenne un fitto confronto filosofico.


Note

[1] Mario Martini, “L’altra via di Aldo Capitini”, Introduzione di Pietro Polito, Aras Edizioni 2023.

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