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Un libro per voi: "Doppio livello, come si organizza la destabilizzazione in Italia"

di Vice


Quarantun anni fa, alle 8 e 05, un'autobomba piazzata in via Pipitone Federico a Palermo dilaniava il giudice istruttore Rocco Chinnici, gli uomini della sua scorta, il maresciallo Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta, e Stefano Li Sacchi, il portiere dello stabile in cui abitava il magistrato. Ad azionare il telecomando, era il boss del quartiere Resuttana, Antonino Madonia, al servizio del "capo dei capi" Totò Riina. Madonia è lo stesso sicario condannato all'ergastolo per l'omicidio dell'agente di polizia Nino Agostino e della giovane moglie Ida Castelluccio, uccisi il 5 agosto del 1989 a Villagrazia di Carini. Agostino è l'agente che insieme con il collega Emanuele Piazza sventò nel giugno del 1989 con la sua presenza in mare l'attentato all'Addaura, sul lungomare palermitano, nel quale avrebbe dovuto morire il giudice Giovanni Falcone che quel giorno ospitava nella villetta presa in affitto i colleghi svizzeri Carla Del Ponte e Claudio Lehmann.

Una ventina di giorni dopo, Giovanni Falcone mise a rumore l'Italia con l'intervista concesse a Saverio Lodato su l'Unità, in cui rendeva pubblici i suoi convincimenti su possibili mandanti "esterni" alla mafia e disse: "Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi, ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi. (...) Sto assistendo all'identico meccanismo che portò all'eliminazione del generale dalla Chiesa... Il copione è quello. Basta avere occhi per vedere".

Emanuele Piazza, invece, sparì, assassinato, il 16 marzo del 1990. Sulla sua morte, come su quella di Nino Agostino, calò il silenzio per mesi. Soltanto la tenacia dei famigliari portò alla rivelazione che Nino Agostino era un "cacciatore di mafiosi" ed Emanuele Piazza, anche lui sulla pista di "uomini d'onore", collaborava con il servizio segreto civile, il Sisde. Insomma, non erano poliziotti qualunque.

Da ciò si deduce che il 20 giugno 1989, il giorno del tentato attentato all'Addaura, la loro funzione in quel tratto di mare, con tutta l'attrezzatura da sub, non era casuale: non erano lì per diporto, ma per controllo e opera di prevenzione. E allora, c'è da chiedersi perché un collaboratore di giustizia abbia addirittura escluso che Nino Agostino sia stato ucciso su ordine della mafia. E lo stesso vale, almeno in parte, anche per Emanuele Piazza.

Più di una risposta, anche per i 75 chilogrammi di tritolo usati per Rocco Chinnici che rappresentano il filo rouge che ci porta a Capaci e in via D'Amelio, passando appunto attraverso gli omicidi di Agostino e Piazza, arrivano dal libro "Doppio livello, come si organizza la destabilizzazione in Italia" di Stefania Limiti,[1] una dei giornalisti d'inchiesta più attendibile e prolifica, che da anni si dedica alla ricostruzione dello stragismo nel nostro Paese. Uno stragismo, è la tesi di Limiti, che dall'eccidio da di Portella della Ginestra (Palermo) ad opera del bandito separatista Salvatore Giuliano il 1° maggio del 1947, alle stragi di mafia degli anni Ottanta e Novanta su cui convergono interessi internazionali, sovranazionali, il cui braccio armato è formato da apparati di intelligence nazionali e stranieri, organizzazioni militari i cui accordi sono sottratti al controllo parlamentare, che a loro volta si sono avvalsi di gruppi italiani e stranieri, e della manovalanza al comando di Cosa Nostra.

Del resto, come spiegò l'allora capo della Polizia Vincenzo Parisi, nel corso di un'audizione in Commissione Stragi il 6 dicembre del 1988, "La scelta destabilizzante delle stragi appare quindi collocabile nell'ambito di quel carattere di guerra surrogata assunto (per molteplici aspetti)dal terrorismo. Le stragi possono, quindi, essere inquadrate in una pianificazione, di ampio rilievo strategico, che tenta, per un verso, di ostacolare i paesi colpiti nella loro opera di progettazione ed elaborazione degli interventi socio-politico-economici necessari al progresso sociale e, per l'altro, di influire su equilibri politici, economici e militari di livello internazionale. All'Italia spetta il triste primato di essere il paese, a democrazia avanzata, con il più alto numero di vittime provocate dallo stragismo. Gli attentati di tipo stragistico perpetrati nel corso degli ultimi decenni si proponevano quindi di incrinare la compattezza delle istituzioni, e soprattutto di creare tensione, panico e confusione all'interno della società, con il massacro indiscriminato".

In "Doppio livello", Limiti riporta nuovi documenti e testimonianze inedite sulla strada peraltro già tracciata da suoi testi precedenti (L'Anello della Repubblica, La strategia dell'inganno, L'estate del golpe, Potere occulto") che avvalorano la tesi di un Paese che sullo sfondo della guerra fredda ha pochi e ridotti margini di sovranità non appena gli equilibri politici derivati dalle storiche sfere di influenza sono vissuti sotto attacco. Di qui, la tecnica delle False bandiere, opere camuffate il cui obiettivo è far credere qualcosa di diverso dalla realtà, per depistare. completamente.

Assumono così una particolare eco, se seguiamo in parallelo le orme dell'indagine storica con quelle dell'indagine giudiziarie, in particolare per la strage alla stazione di Bologna (2 agosto 1980) frasi come quella dell'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga che definisce la P2 "un prodotto di importazione americana", "cementata" dall'agente Cia Richard Brenneke, la cui testimonianza, non smentita, dovrebbe diradare qualunque dubbio sul grado di interferenza di Washington: "Il governo degli Usa ha mandato soldi alla P2. La somma toccò anche la cifra di dieci milioni di dollari al mese. La Cia si era servita della Loggia di Gelli per creare situazioni favorevoli all'esplodere del terrorismo in Italia". O frasi, che ci riportano all'attività omicida mafiosa come quella dell'ex Alto commissario per la lotta alla mafia Domenico Sica, che non esita ad affermare che "la funzione storica di Cosa nostra è stata quella di costituire un corpo di polizia delle strutture parallele". O, ancora, come la dichiarazione, per alcuni versi sorprendente di Luca Cianferoni, avvocato di Totò Riina, secondo cui "La strage di Capaci è al 90 per cento di mafia, il resto lo hanno messo altri. Per quella di via D'Amelio siamo 50 e 50 e per le stragi sul continente la percentuale mafiosa scende vertiginosamente".

"Entrare nei meandri del doppio livello - conclude l'autrice - non è per niente semplice. [...] nulla dentro quel mondo è trasparente, visibile e lineare. Eppure esiste. L'unico modo per cominciare a raccontarlo era quello di scomporre ciò che apparentemente è separato e poi provare a riunire qualche pezzo".



Note

Stefania Limiti, Doppio Livello, come si organizza la destabilizzazione in Italia, Milano, 2020

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