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Un libro per voi: "Berlinguer, i problemi globali, la priorità della pace"


Enrico Berlinguer e il tema della pace, quantomai attuale e dirompente, è il filone d'analisi che lo storico Alexander Höbel , collaboratore della Fondazione Gramsci e direttore di Marxismo oggi on line, affronta nel libro di recente uscita da lui curato per Donzelli Editori, di cui presentiamo l'introduzione[1]. La pubblicazione raccoglie scritti e discorsi di politica internazionale dell'allora segretario del Partito comunista italiano dal 1972 al 1984, tuttavia sarebbe riduttivo circoscrivere l'esperienza del carismatico leader comunista a quella dozzina d'anni. Vuoi per la sua solida preparazione di rapporti internazionali che gli derivava dal cammino intrapreso a cavallo degli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento all'interno del movimento giovanile comunista, cammino che l'aveva innalzato fino a Presidente della Federazione mondiale giovanile (70 milioni di iscritti nel 1951); vuoi per il suo ruolo di capo delegazione del Pci in numerosi viaggi all'estero, primo tra tutti quello a Mosca, il 27 ottobre del 1964, poco più di una settimana dalla defenestrazione di Nikita Sergeevič Chruščëv da segretario del Pcus, cui seguiranno le missioni in Vietnam in guerra e ancora a Mosca.

Una preparazione, dunque, che non è soltanto diretta emanazione di incontri e relazioni con figure politiche di primo piano dell'universo comunista, destinate a salire ai primi posti nei loro Paesi, ma che si avvale della conoscenza diretta di artisti, letterati, scienziati, da Nazim Hikmet, Pablo Neruda, Raymonde Diem, Fréderick Joliot-Curie, Martin Andersen Nexo. Una ricchezza culturale a tutto tondo sul piano internazionale che nel 1968 sarà decisiva nel farlo preferire a Giorgio Napolitano nella corsa a vicesegretario del Pci, anticamera alla nomina a numero uno di Botteghe Oscure, quattro anni dopo. Memorabili le parole di un "sacerdote" del Pci, Giorgio Amendola, che sancirono l'investitura di Enrico Berlinguer nella decisiva seduta dell'Ufficio Politico: "Per dirigere il Pci, occorre avere una forte esperienza e un prestigio internazionali. Berlinguer s'è fatto le ossa al tempo della Federazione mondiale giovanile e da anni è presente in difficili missioni all'estero con fermezza e misura"[2] . Parole che rendono ancora più opache e grigie le scelte dei nostri tempi, costantemente schiacciate sulla mediocrità tra cori di garrula immodestia.

Michele Ruggiero



Punto di partenza dell’elaborazione berlingueriana sui temi della pace e della politica internazionale è il cambio di fase che avviene all’inizio degli anni settanta, prima con la decisione di Nixon di sospendere la convertibilità del dollaro, decretando la fine del sistema dei cambi fissi varato a Bretton Woods; poi, con la crisi energetica del 1973, determinata dall’aumento del prezzo del greggio stabilito dai paesi produttori di petrolio dopo la guerra del Kippur. Sono due elementi che, assieme agli sviluppi di quel processo di decolonizzazione che già Togliatti aveva individuato come base di un mondo «policentrico»[3], mutavano profondamente gli assetti globali, chiedendo innanzitutto ai paesi occidentali a capitalismo avanzato di ripensare un modello fondato su consumi tendenzialmente illimitati, basato a sua volta su un’amplissima disponibilità di materie prime a basso costo. Quest’ultimo presupposto era ormai superato e cancellato dai nuovi rapporti di forza sulla scena mondiale, e ciò richiedeva non solo un nuovo modello di sviluppo che puntasse su servizi e consumi sociali piuttosto che sulla produzione illimitata di merci, ma anche una cooperazione economica internazionale che fosse paritaria e reciprocamente conveniente.

Nuovo modello di sviluppo e cooperazione Nord/Sud implicavano però a loro volta un altro presupposto fondamentale: un assetto delle relazioni internazionali non più fondato sul confronto bipolare, la guerra fredda e la corsa agli armamenti, ma sulla distensione e la coesistenza pacifica tra paesi e sistemi sociali diversi, in un quadro tendenzialmente multipolare. Berlinguer era pienamente consapevole della complessità del mondo contemporaneo e al tempo stesso della profonda unità che lo caratterizza: l’unificazione del mercato mondiale e l’emergere di problemi globali – di comune interesse per tutta l’umanità – ponevano al centro e come presupposto di ogni analisi e proposta politica la categoria dell’interdipendenza. Con qualche anno di anticipo rispetto a Gorbačëv[4], il leader del Pci utilizza esplicitamente questo concetto. Nella relazione al xv Congresso (1979) afferma: «Il mondo di oggi è più unito che nel passato, per alcuni tratti di fondo – di vita e di morte – che sono comuni a tutti i paesi e all’intera umanità. Il mondo di oggi, inoltre, è più unito per i nuovi legami di interdipendenza e reciproca influenza: nei campi dell’economia, delle ricerche e conquiste scientifiche, energetiche e spaziali, e della medicina; nel campo dell’informazione, assurta a così nuova e decisiva importanza; nel campo del costume».

Ma l’interdipendenza globale, tanto più nell’era atomica, che produce «la terribile, spaventosa “novità”» della possibilità di autodistruzione del genere umano – e qui in Berlinguer sono frequenti i richiami a Togliatti, al suo appello ai cattolici del 1954 per la salvezza della civiltà umana e al discorso di Bergamo del 1963 Il destino dell’uomo – pone la necessità ineludibile della pace. La pace, insomma, è il presupposto decisivo per la sopravvivenza stessa dell’umanità. Ecco perché essa, per entrambi i leader comunisti, viene prima di ogni altra cosa.

D’altra parte, la pace da sola non basta. O meglio, non si arriva alla pace, se non sulla base di un nuovo assetto delle relazioni internazionali, non solo sul piano politico, ma anche sul terreno economico. Già nel rapporto al xiv Congresso (1975), Berlinguer sottolinea il «nesso inscindibile, di reciproca interdipendenza, tra gli aspetti economici e politici dell’affermazione di una linea e di un sistema di coesistenza pacifica», per cui «sviluppo della cooperazione e avanzata della distensione sul piano politico e militare devono camminare insieme».

In questo egli individua la necessità di un ruolo dell’Europa – dell’Europa tutta intera, ma anche della Cee, dell’Europa occidentale – la quale, collocandosi su una posizione «né antisovietica né antiamericana»[5], possa svolgere una funzione autonoma e propulsiva nell’incoraggiare gli sforzi verso il disarmo, la distensione, la cooperazione internazionale. Su questo terreno, oltre che su quello dei rapporti Nord-Sud, Berlinguer dialoga coi settori più avanzati della socialdemocrazia, da Willy Brandt a Olof Palme, coi quali condivide una concezione dinamica della distensione[6].

[…]

Anche per questo, il leader del Pci – che non lesina critiche all’Unione Sovietica e ai paesi dell’Est – esprime un giudizio severo sul nuovo corso della Nato, che con la «doppia decisione» del dicembre 1979 vara il dispiegamento sul suolo europeo di missili Pershing-2 e Cruise, avviando al contempo nuove trattative con l’Unione Sovietica per il controllo e la riduzione dei rispettivi arsenali nucleari. Il Pci si schiera in prima fila nella lotta contro l’installazione degli «euromissili» e svolge un ruolo di primo piano nella mobilitazione di massa che si sviluppa nel paese […]. L’idea statunitense di trattare con l’Urss da posizioni di forza, o comunque ponendo come presupposto il superamento di un presunto squilibrio strategico nello scenario europeo, è contestata in radice dal segretario comunista: se uno squilibrio esiste, va colmato verso il basso, riducendo attraverso la trattativa gli armamenti in eccesso, e non innescando una spirale di riarmo potenzialmente inarrestabile e incontrollabile, con tutti gli enormi rischi a ciò collegati.

[…]

I nessi tra pace e cooperazione internazionale, multipolarismo e nuovi rapporti tra Nord e Sud del mondo, nuovo modello di sviluppo e interdipendenza, austerità e governo mondiale tornano nel documento Per una Carta della pace e dello sviluppo[7]. Berlinguer li pone al centro della sua ricerca e del suo impegno per un «nuovo socialismo», per «forme di vita e rapporti fra gli uomini e fra gli Stati più solidali, più sociali, più umani, e dunque tali che escono dal quadro e dalla logica del capitalismo»[8].

Di tale cambiamento la pace è il presupposto fondamentale; più in generale, un assetto pacifico delle relazioni internazionali, fondato sul dialogo e la diplomazia, è la condizione per la sopravvivenza stessa del genere umano. La consapevolezza di questo dato di fondo, che Berlinguer avverte drammaticamente e lo spinge a un impegno instancabile e a uno sforzo estremo nell’ultima fase della sua vita, costituisce una lezione di estrema attualità proprio nella fase che stiamo vivendo e in un mondo che, a dispetto delle speranze e delle promesse che avevano segnato la fine della guerra fredda, sembra andare, con cieca incoscienza, nella direzione opposta.


Note [1] Stralci dell’Introduzione a E. Berlinguer, La pace al primo posto. Scritti e discorsi di politica internazionale (1972-1984), a cura di A. Höbel, Roma, Donzelli, 2023.

[2] Giuseppe Fiori, Vita di Enrico Berlinguer, Editori Laterza, pag. 178 [3] Cfr. C. Spagnolo, Sul Memoriale di Yalta. Togliatti e la crisi del movimento comunista internazionale (1956-1964), Carocci, Roma 2007, pp. 136-44. Mi sia consentito rinviare anche al mio Togliatti e il movimento comunista nel mondo bipolare, in A. Höbel - S. Tinè (a cura di), Palmiro Togliatti e il comunismo del Novecento, Carocci, Roma 2016, pp. 94-130. [4] Cfr. G. Vacca, La sfida di Gorbaciov. Guerra e pace nell’era globale, con la collaborazione di G. Fiocco, Salerno editrice, Roma 2019. [5] Si veda la relazione al Comitato centrale del febbraio 1973, infra. [6] Cfr. R. D’Agata, L’«altra» distensione. Brandt, Berlinguer, e la ricerca di un nuovo ordine di pace negli anni ’70, in «Contemporanea», v, 2002, 2, pp. 233-51. Cfr. F. Lussana, Il confronto con le socialdemocrazie e la ricerca di un nuovo socialismo nell'ultimo Berlinguer, in «Studi Storici», xlv, 2004, 2, pp. 461-88; M. Di Donato, I comunisti italiani e la sinistra europea. Il Pci e i rapporti con le socialdemocrazie (1964-1984), Carocci, Roma 2015, capp. iv-viii. [7] In appendice a Berlinguer, Idee e lotte per la pace cit., pp. 195-206. [8] Si veda il discorso sull’austerità come leva del cambiamento, del 15 gennaio 1977, compreso in questa raccolta.

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