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Un film per voi: "Vermiglio"

di Mariella Fassino


Vermiglio è un film della giovane regista Maura Delpero che ha vinto il Gran premio della giuria alla Mostra del cinema di Venezia, racconta una storia che si svolge nella frazione alpina di Vermiglio nella val di Sole, in una casa di pietra al limitare dei boschi tra cime aspre. La casa ha un focolare acceso ma pareti povere umide e grigie, c’è una famiglia con bambini, ragazze, ragazzi, tanti che non si contano, una madre sempre gravida e un padre, seduta al desco. Le scodelle con il poco latte, gli occhi bassi, il rispetto per l’autorità a capo tavola, richiedono il controllo reciproco anche se i più piccoli, i “poti” non sono ancora incatenati al silenzio che incombe nelle relazioni tra gli adulti. I poti fanno piccole, ingenue domande, tanto spontanee e tenere quanto aspre e evasive sono le risposte dei grandi, si meravigliano davanti alle scoperte del mondo, chiedono uno sguardo e protezione agli adulti con la giocosità dei piccoli.

Il padre è maestro elementare nella pluriclasse, gli alunni sono i figli suoi, bambini e adolescenti, e gli altri figli della frazione, quelli che hanno i padri contadini in guerra. Silenziosi, disciplinati ascoltano il maestro, cominciano a conoscere il mondo dalle sue labbra.

Il padre, il maestro, il marito è uomo del suo tempo, attento ai precetti, ai divieti, alle regole che vogliono rispetto e sottomissione al capo famiglia, all’autorità, timor di Dio, castigo per le cattive condotte, per i cattivi pensieri e gli atti impuri. Le regole sono tacite e fatte proprie dai bambini che stanno diventando ragazzi e ragazze e si induriscono in un bozzolo di silenzi e divieti. Tuttavia i corpi, anche se mortificati dalla penitenza, si ribellano, reclamano uno spazio di libertà, sfuggono al controllo. Il piacere, misterioso e indecifrabile prende per oggetto il proprio corpo e il corpo dell’altro tra gioia, speranza, vergogna e espiazione.

Le pareti di pietra della scuola risuonano degli insegnamenti e dei precetti del maestro tra i mondi nuovi scoperti sulla cartina geografica e la severità dei giudizi, ma vibrano anche delle note diffuse nell’aria dal grammofono. Il maestro ha sottratto un po’ di denaro al povero bilancio famigliare per regalarsi e regalare ai bambini il vinile con le 4 stagioni di Vivaldi. La musica scandisce il ritmo di quella natura che gli alunni conoscono bene e li rapisce in un mondo di bellezza e piacere estetico. I bambini amano le scoperte e i mondi che la scuola dischiude, ma solo qualcuno potrà continuare a studiare, le povere risorse sono destinate ai più meritevoli e la scelta del padre maestro non sarà priva di preferenze, proiezioni, ingiustizie.

C’è un mondo di donne in questo film che sono le nostre nonne, le radici di quello che ora noi siamo. Alla sera, nella stanza dove si affastellano letti e cuscini, nel tepore degli abbracci, a mezza voce, in dialetto trentino si intrecciano conversazioni, le parole sono come l’esile piuma di gallina con cui le sorelle si accarezzano sotto le coperte, parole sussurrate che nascondono domande, segreti, delusioni, speranze.

C’è una trama nel film che non è importante svelare perché non di un racconto si tratta ma dell’accenno a qualcosa che è lontano. La guerra che nel’44 c’è, ma al di la da quei monti; la felicità che è una promessa, ma forse un’illusione, il futuro delle generazioni che lasceranno i luoghi arcaici della civiltà contadina povera e dura tuttavia vicina alla natura e ai ritmi della vita. Quell’assenza diventa appartenenza per noi spettatori che si rinnova quando torniamo a salire tra i monti, a visitare le borgate abbandonate, dove è facile immaginare a occhi aperti una madre gravida con la gerla sulle spalle e una moltitudine di bambini appesi alle sue vesti.

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