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La Porta di Vetro

Un anno fa, 7 ottobre 2023: l'inizio della carneficina per continuare sulla strada dell'odio

Improvviso e terribile il fuoco ha ripreso a mietere vite in Israele e in Palestina, nella striscia di Gaza. E lo shabbat di oggi, 7 ottobre, verrà ricordato come una delle albe di festa più tragiche nella storia dei figli di Davide che sono stati svegliati da un diluvio di missili lanciati da Hamas. (https://www.laportadivetro.com/post/israele-vinceremo-la-guerra-scattata-la-reazione-spade-di-ferro-contro-hamas)



E' quanto si scrisse un anno fa, attoniti e sgomenti, comunque decisamente impreparati e spiazzati dalle notizie che sarebbero diventate il nuovo primo atto di una tragedia senza eguali in Medio Oriente. Ripercorriamo gli avvenimenti attraverso gli articoli pubblicati su questo sito.


Piangono i loro morti gli ebrei, aggrediti e massacrati per le strade con una ferocia che ha liberato così gli istinti peggiori dell'essere umano. Piangono le famiglie palestinesi su cui è piombata immediata la rappresaglia dell'IDF che ha colpito in maniera indiscriminata, secondo l'antico legge del taglione, dell'occhio per occhio, dente per dente: una vendetta cieca, sorda e inarrestabile che ha provocato circa 200 morti e oltre 1600 feriti, secondo il ministero della Sanità palestinese a Gaza, da cui arriva l'eco terribile delle stragi a del Novecento, una eco così pericolosamente sul bordo del precipizio della memoria del nazismo, con quel ritorno alla criminale proporzione di dieci morti per ogni tedesco ucciso[2].


Nel giro di poche ore, Tel Aviv ordina il richiamo di 300mila riservisti e fa scattare l'Operazione "Spade di Ferro": decine di caccia da combattimento dell'aeronautica militare israeliana si levarono in volo per attaccare obiettivi di Hamas nella Striscia di Gaza. Risposta di forza a una difesa che aveva rivelato una clamorosa sottovalutazione di Hamas e sensibili "buchi" nelle analisi dell'intelligence.


Era il 7 ottobre di un anno fa, quando mente e cuore si fusero nel sangue dell'odio da una parte e dall'altra. In quell'alba di morte, Hamas scelse in maniera irreversibile la strada del terrore per denunciare al mondo le ingiustizie e gli abusi praticati dal governo israeliano di Netanyahu; una strada che oggi è lastricata da decine di migliaia di vittime nella Striscia di Gaza. Israele, con la sua cieca caccia all'uomo - distante anni luce da una guerra contro eserciti, come nel 1967 e nel 1973 - imboccò il cammino della vendetta primitiva che oggi l'ha trasfigurata agli occhi del mondo.

In quell'alba tragica furono oltre mille le persone uccise da Hamas nei kibbutz e nelle aree di confine e al Festival Nova. Altre 250 vennero rapite e trasportate nei tunnel usati dai miliziani a Gaza; insieme ai vivi, l'odio si riversò anche sui morti esposti a Gaza, come il cadavere di Shani Louk, la 22enne tedesco-israeliana assurta a simbolo del massacro.

Il 9 ottobre le forze armate israeliane resero noto un primo parziale bilancio delle operazioni militare sulla Striscia di Gaza, messa sotto assedio - privata di elettricità, acqua e cibo, secondo i piani del ministro della difesa Galant e del primo ministro Netanyahu: 1707 obiettivi terroristici colpiti, 475 obiettivi del sistema missilistico, 22 tunnel terroristici nel profondo del territorio palestinese, 24 infrastrutture militari strategiche. (https://www.laportadivetro.com/post/le-difficili-verità-da-raccontare-su-israele-e-palestina)


La frase arriva dal Capo di Stato Maggiore dell'IDF, Generale Herzi Halevi, e ha il suono di un tuono: "gli obiettivi di guerra richiedono l’ingresso via terra". Non esistono risultati senza rischi e non esiste vittoria senza prezzi. (https://www.laportadivetro.com/post/israele-gli-obiettivi-di-guerra-richiedono-l-ingresso-a-gaza)


Nella notte tra il 26 e il 27 ottobre prende corpo l'invasione della Striscia di Gaza, mentre Hamas continua a martellare il sud di Israele con lancio di razzi. E' l'inizio dell'esodo per quei fortunati che attraversano il valico Rafah, ma la maggior parte dei gazawi è intrappolata nel territorio invaso dall'Idf.


La recente dichiarazione del premier israeliano Benjamin Netanyahu non offre spiragli di speranza per un cessate il fuoco:

Siamo al culmine [dell'offensiva su Gaza] non ci fermeremo. Una volontà che trova conferma nella nota del capo di Stato maggiore delle forze armate di Tel Aviv Herzi Halev: "le nostre forze sono nel cuore del nord della Striscia, dentro Gaza city, l'hanno circondata per proseguire in profondità l'operazione militare. (https://www.laportadivetro.com/post/israele-all-assalto-di-gaza-city-la-stalingrado-del-terzo-millennio)


Il 14 novembre, l'IDF prende il controllo dell'ospedale di Al Shifa, il principale di Gaza, a circa 500 metri dalla costa mediterranea, dopo ondate bombardamenti continue, mentre incombe l'eco dei cingoli dei carri armati in avvicinamento. Davanti all'ospedale ci sono state furiose sparatorie, sono state eliminate postazioni degli islamisti, ma soprattutto, secondo i medici, si sono registrati moltissimi morti fra i pazienti e i feriti a causa della mancanza di medicine e di tutto il resto. Si alza la protesta internazionale. A Israele si contesta l'uso della forza contro gli ospedali in violazione della convenzione di Ginevra. La convenzione in proposito è chiarissima e sancisce che i luoghi adibiti alle cure mediche devono assolutamente essere risparmiati da ogni attacco. Israele si difende sostenendo che i miliziani di Hamas si nascondono proprio negli ospedali e vi hanno addirittura costruito sotto i loro bunker più importanti. (https://www.laportadivetro.com/post/israele-conquista-l-ospedale-principale-di-gaza-e-affretta-la-morte-di-centinaia-di-pazienti)

Nonostante le difficoltà tiene la tregua tra Hamas e lo Stato di Israele. Anche oggi sono stati liberati altri ostaggi, quattordici israeliani e tre tailandesi, oltre a un cittadino russo. Tra loro anche la piccola Abigail Edan, una bambina americano israeliana di quattro anni che ha perso i genitori nell'attacco del 7 ottobre.

Sono notizie che danno conforto pur tra tanto sangue versato - si pensi che il bilancio attuale delle vittime solo nella Striscia di Gaza è intorno alle 15.000 unità - e fanno sperare in ulteriori liberazioni e ulteriori accordi.


Il 24 novembre, dopo interminabili giornate di mediazione e prove di dialogo, arriva la tregua tra Israele e Hamas che rende concreta la liberazione di 105 ostaggi israeliani e circa 240 detenuti palestinesi.

Il bilancio dei morti è terribile in ogni luogo del conflitto: Hamas parla di 16.200 vittime palestinesi a Gaza, di cui un terzo bambini e minorenni; in Cisgiordania si contano circa 240 palestinesi uccisi e la cosa più preoccupante è che il governo Netanyahu sembra lasciare carta bianca ai coloni più oltranzisti che letteralmente assediano alcuni villaggi. (https://www.laportadivetro.com/post/l-annuncio-di-israele-siamo-nel-centro-del-male-ma-sono-oltre-16mila-i-palestinesi-uccisi)


A dicembre la guerra riprende. Instancabile, la voce di Papa Francesco cerca di riportare i nostri tempi alla ragione a un pensiero lucido che superi gli odi e le divisioni. Dall’inizio del suo pontificato, in un isolamento preoccupante, il Pontefice denuncia e chiede una decisa inversione di marcia di fronte a quella che ha definito la “Terza guerra mondiale a pezzi”, in atto in tutte le parti del mondo. (https://www.laportadivetro.com/post/iii-guerra-mondiale-a-pezzi-la-voce-del-pontefice-sovrastata-dalle-bombe-dei-venditori-di-morte)


Gennaio 2024. I colpi inferti a Hezbollah con le uccisioni di Hassan Tawil, il più importante capo militare eliminato con un drone in un agguato molto accurato, e quella di alcune ore fa di Ali Hussein Barij, responsabile per gli attacchi aerei nel sud Libano, in pratica uno dei più importanti dirigenti militari degli sciiti libanesi, è la dimostrazione che Israele ha ripreso il pieno controllo della sua capacità di infiltrazione. Per Hezbollah sarà chiaro e devastante nove mesi dopo.


Febbraio. L'esercito di Tel Aviv si prepara all'assalto a Rafah, mentre il conflitto rischia di estendersi anche in Libano nello scontro tra Hezbollah e Idf. Tensioni tra Vaticano e Israele

Per la Santa Sede la scelta di campo è sempre quella di stare dalla parte di tutte le vittime e di battersi contro la guerra e gli armamenti chiedendo sempre trattative per la soluzione dei conflitti e per prevenirli. Per contrasto, le parole di Israele sono state di fuoco contro Parolin, espressione di una posizione inaccettabilmente autoritaria, cieca, provocatoria. Di fatto, l’attacco esplicito al Vaticano colpisce direttamente Papa Francesco, proprio per la sua chiara, trasparente, oggettiva spinta determinata e continua verso il rifiuto delle armi e della forza. (https://www.laportadivetro.com/post/l-attacco-di-israele-a-parolin-è-uno-schiaffo-alla-politica-di-pace)


Il 25 marzo la risoluzione dell'Onu chiede il cessate il fuoco a Gaza. Pochi giorni dopo, droni israeliani bombardano il convoglio del World Central Kitchen (WCK), ONG statunitense impegnata nella fornitura di derrate alimentari alla popolazione della Striscia di Gaza.

Sul campo sono rimasti i cadaveri di sette operatori umanitari. Dapprima i vertici militari di Israele non hanno confermato la propria responsabilità nella strage, poi il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che il convoglio è stato “colpito involontariamente”, per tragica fatalità. A smentire la versione del premier è però intervenuto il quotidiano israeliano Haaretz, che ricostruendo la vicenda ha evidenziato come i camion di WCK siano stati bombardati per ben tre volte nell’errata convinzione che al loro interno si nascondesse un combattente di Hamas. L’attacco, dunque, è stato pienamente intenzionale.


10 aprile. Un bombardamento israeliano uccide tre figli e diversi nipoti del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, 61 anni. Oltre a tre figli maschi, Hazem, Amir e Mohammed, morti almeno quattro nipoti. Secondo il quotidiano Haaretz, nel confermare la morte dei tre dei figli di Haniyeh, l'esercito israeliano ha sostenuto che erano "in procinto di compiere atti terroristici".

Il commento di Haniyeh, segretario politico di Hamas: "Ringrazio Dio per questo onore che mi ha concesso, tutte le famiglie di Gaza hanno pagato un prezzo pesante con il sangue dei loro figli e io sono uno di loro".  


14 aprile. L'Iran sferra dal cielo con missili e droni un duro attacco su Israele in risposta al bombardamento sull'ambasciata iraniana a Damasco, capitale della Siria.

Da fonti dell'intelligence israeliana, sarebbero oltre 100 i droni abbattuti fuori dalla terra d'Israele. Un massiccio attacco che ha fatto dire ad un alto funzionario dello Stato di Israele che "la reazione delle forze armate sarà molto significativa".

In una dichiarazione ufficiale all'ONU, il governo iraniano ha annunciato di aver colpito "il regime sionista in conformità con l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite (attacco per legittima difesa) dopo l’attacco a Damasco". Ha poi aggiunto: "La questione è risolta, ma il regime israeliano potrebbe commettere un altro errore, e allora la reazione dell'Iran sarà molto più dura. Questo è un conflitto tra l’Iran e il regime israeliano, gli Stati Uniti devono mantenere le distanze”.


Il procuratore della Corte penale internazionale dell'Aja il 24 maggio chiede mandati di arresto per Netanyahu e leader di Hamas per presunti crimini di guerra.

La Corte Internazionale di Giustizia ha ordinato a Israele di fermare qualsiasi offensiva a Rafah che danneggi i civili. La reazione di Tel Aviv si è affidata a un superlativo assoluto: durissima. Superlativo che si applica nelle parole e nei gesti rivolti alla comunità internazionale: un misto di arroganza e indifferenza allo sbigottimento e al dolore per ciò che i media riportano quotidianamente da Gaza. In altri termini, è il comportamento che veste in ogni circostanza il primo ministro Netanyahu dal 7 ottobre 2023, che ha trasfigurato definitivamente Israele agli occhi del mondo: non più nazione democratica in mezzo a regimi dittatoriali, ma governo di fanatismo esasperato che fa impallidire il concetto di democrazia. (https://www.laportadivetro.com/post/israele-il-mondo-ti-chiede-fermati)


La richiesta di cattura, su cui deve pronunciarsi la Corte Penale Internazionale, nei confronti del primo ministro e del ministro della difesa israeliano nonché di tre figure apicali di Hamas, non è stata per lo più percepita correttamente. Non sono stati messi sotto accusa lo Stato di Israele ed il popolo palestinese, ma solo alcuni soggetti a cui sono imputati comportamenti integranti gravi reati. Come ci ha spiegato Vladimiro Zagrebelsky, “la Corte Penale Internazionale giudica persone, non Stati e la responsabilità è personale”.


19 luglio: la Corte internazionale di giustizia ha stabilito che le colonie israeliane in Cisgiordania sono illegali. E' un pronunciamento storico che chiude un procedimento avviato nel 2022. Reazione del premier Netanyahu: “Il popolo ebraico non è conquistatore nella propria terra”. Ancora più intransigenti i suoi alleati di estrema destra, Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, che chiedono "l’annessione” di larghe parti della Cisgiordania.

I giudici hanno così stabilito senza ambiguità che l’occupazione israeliana di Cisgiordania, Gerusalemme Est e Striscia di Gaza è illegale per il diritto internazionale e deve essere smantellata il più rapidamente possibile. Parimenti illegali sono gli insediamenti coloniali, che devono a loro volta essere evacuati e dismessi. Israele, inoltre, deve consentire il ritorno dei profughi palestinesi e fornire adeguate riparazioni per i danni arrecati dall’occupazione militare alle persone e al territorio. I giudici hanno poi evidenziato come esistano ormai sufficienti evidenze per concludere che il regime imposto da Israele al popolo palestinese sia qualificabile come segregazione razziale e apartheid. Il Tribunale, infine, ha raccomandato alle Nazioni Unite e ai paesi membri di non riconoscere come legale lo status quo di occupazione, di non fornire a Israele aiuti o assistenza che ne favorirebbero il mantenimento e di valutare, in sede di Assemblea Generale e di Consiglio di Sicurezza, l’adozione delle misure più efficaci per porre fine alla “presenza illegale dello Stato di Israele nei territori palestinesi”.


Nella notte del 31 luglio il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, è ucciso a Teheran sotto un bombardamento aereo israeliano. La sua morte segue quella del numero due di Hezbollah, Fuad Shukr, ucciso anche lui dagli israeliani a Beirut, anche lui nel mirino di missili ad alta precisione.

 

Si tratta di un "uno-due" storico che cambia completamente il quadro della situazione.  Prima di tutto è l'evidente conferma che Israele è riuscita a rimettere ordine nelle file dei servizi segreti, ed è tornata ad essere quella nazione piccola, ma estremamente capace di eliminare i nemici. Sul piano politico Israele è invece ancora in totale alto mare con Benjamin Netanyahu, il primo ministro che non sembra avere idee su una soluzione politica per i palestinesi. Ha dimostrato di essere riuscito a riorganizzare il Mossad, che era estremamente demoralizzato dopo l'attacco del 7 ottobre, anche se va ricordato che il servizio segreto ha anticorpi pluridecennali per superare le crisi e gli preesiste da tempo. Certo, aveva promesso che i principali leader nemici avrebbero pagato e in effetti ha costruito le condizioni affinché i servizi e le forze armate potessero mantenere la promessa.

(https://www.laportadivetro.com/post/shukr-e-haniyeh-eliminati-la-vendetta-di-israele-è-l-azzardo-di-netanyahu) (https://www.laportadivetro.com/post/nei-silenzi-e-nell-azione-la-superiorità-storica-di-israele)


13 settembre. Quinto bombardamento israeliano sulla scuola Al-Jacuni, nel campo profughi di Nuseirat, che ospita circa 12.000 persone. Decine le vittime. Condanna della comunità internazionale e proteste in numerosi Paesi, tra cui Germania, Francia, Gran Bretagna e Usa. Tra i più gravi precedenti, quelli dell'11 luglio, quando un missile israeliano ha colpito la scuola di Al-Awda, nella zona orientale dell’immenso campo profughi di Khan Yunis.

L'incipit di un take dell'Ansa, dopo l'ultimo raid delle forze armate israeliane contro la scuola Al-Jacuni, nel campo profughi di Nuseirat, che ha provocato 18 morti, tra i quali sei operatori dell'Unrwa (due sarebbero operativi di Hamas, secondo l'IDF), l'agenzia dell'Onu per i rifugiati palestinesi, non si presta ad equivoci: "si allarga ancora la frattura tra gran parte della comunità internazionale e Israele per la quantità di vittime civili a Gaza dopo la strage compiuta da Hamas il 7 ottobre". Germania e Francia hanno avviato una protesta ufficiale. Gran Bretagna e Usa ipotizzano una riduzione degli aiuti militari.

Danni collaterali - i 18 morti - li definirebbe, senza dubbio, il premier israeliano Netanyahu, preso dalla sua sete di potere e dalla ingordigia di collera che lo rende indifferente allo sgomento internazionale. Da questo colonne, in seguito alla potenza di fuoco dispiegata da Tel Aviv sulla Striscia di Gaza, ci si era domandati a che cosa mirasse e, soprattutto, a quale "percentuale" ambisse nella rappresaglia seguita ai fatti del 7 ottobre il governo israeliano. Incautamente, si era sperato che Netanyahu non avesse in mente un rapporto di uno a dieci, come era accaduto per le stragi naziste. Ma l'estensore di quell'articolo si sbagliava in toto. Ad oggi, secondo una stima del ministero della Sanità di Gaza, sono stati uccisi circa 40 mila palestinesi e più del doppio sono i feriti dal 7 ottobre 2023.

Danni collaterali su scala industriale li definirebbe il buon senso.

A Roma proseguono intensi  colloqui fra i servizi segreti di Israele, degli Stati Uniti, dell'Egitto insieme al primo ministro del Qatar. In teoria il soggetto principale della riunione avrebbe dovuto essere la liberazione degli ostaggi israeliani e una tregua fra Hamas e Israele. Ora, però, la riunione si è trasformata in una frenetica consultazione per convincere il governo di Israele a non attaccare il Libano.

   

17 settembre. "Telefoni" e "cercapersone" killer: un attacco che non ha precedenti ordito dal Mossad per eliminare i militanti Hezbollah. Nel pomeriggio, il bilancio è di circa 2700 feriti e dodici morti in Libano, terra che l'Israele si prepara ad invadere.

[...] la nuova beffa che davvero sembra ispirata direttamente dalla leggendaria fantasia ebraica. Pensate: Hezbollah duramente provato dai colpi ricevuti in questi mesi (quasi 450 miliziani perduti) abbandona i telefonini in favore dei cercapersone e, particolare importantissimo, se li fa mandare dall'Iran, il grande protettore. Gli israeliani con sorprendente audacia intercettano il carico, e chiaramente con l'aiuto di iraniani che odiano il regime, manomettono gli strumenti, trasformandoli in trappole mortali. Per farlo probabilmente hanno introdotto circa 10-20 grammi di esplosivo in ogni apparecchio camuffandolo da falsa seconda batteria. Così hanno falcidiato i quadri di Hezbollah e seminato il panico e soprattutto la sfiducia fra alleati.


20 settembre. Bombardamenti a tappeto sul sud del Libano. E' l'inizio di una massiccia offensiva che prosegue anche nel mese successivo.


27 settembre. Israele elimina anche Hassan Nasrallah

"I maledetti ebrei hanno ucciso il nostro grande amico Nasrallah, guida dei credenti libanesi e insieme a lui anche molti dei pochi ufficiali superstiti. Nonostante mille precauzioni hanno saputo quando visitava il quartiere generale. È un colpo durissimo per noi sciiti tanto più l che in questo anno terribile gli israeliani hanno ucciso man mano ben cinque dei più importanti dirigenti di Hezbollah, praticamente tutti quelli che erano stati indicati come validi successori.

È spaventoso, un incubo a occhi aperti. Ma io ho una sorpresa per loro: suggeriremo a Hezbollah di nominare nuovo leader Hasfem Safi Al Din, cugino di Nasrallah. È un bravo amministratore ed è fedele a noi. Questa volta gli israeliani saranno giocati". Dalla platea, il silenzio è assoluto all'affermazione dell'ayatollah Ali Khamenei, guida suprema dell' Iran. Poi con una voce mestissima, quasi da oltretomba, la risposta di uno dei suoi collaboratori: "Gli israeliani avevano previsto anche questo. Hanno ucciso anche lui".


1 ottobre. L'Iran lancia un pesante attacco di missili su Israele

Quello effettuato dall’Iran è stato appunto un “contrattacco” motivato dall’uccisione, da parte di Israele, del capo politico di Hamas Ismail Haniyeh (assassinato a Teheran nel giorno del giuramento del presidente Masoud Pezeshkian), del segretario generale di Hezbollah Hasan Nasrallah e del generale delle guardie della rivoluzione Abbas Nilforoushan.


7 ottobre. Permane il mistero su Esmail Qaani, il successore di Soleimani alla guida dei Guardiani della rivoluzione iraniani, responsabile dei rapporti con Hezbollah. Secondo il New York Times, nella notte tra giovedì e venerdì sarebbe stato ucciso insieme ad Hashem Saffieddine, probabile successore di Nasrallah, nel corso di un pesante bombardamento su Beirut. .


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