Ucraina, i primi 180 giorni di guerra
di Menandro
L'operazione militare speciale decisa dal Cremlino è arrivata ai primi suoi 180 giorni. E non si vede la fine. Dal 24 febbraio e oggi, la violazione della sovranità dell'Ucraina si rinnova quotidianamente con i suoi lutti, le sue angosce e le sue distruzioni frutto della preminenza delle armi rispetto alla ricerca della Pace. Passato, presente e futuro sembrano così aver perduto quelle connotazioni su cui l'umanità poggia per credere anche nei momenti più bui in sé stessa e dare un senso alla propria esistenza. Un dramma nel dramma cui si aggiunge l'impressione che la guerra tra Kiev e Mosca sia destinata a trasformarsi in crisi endemica, di cui un giorno si perderà anche il ricordo del perché sia scoppiata.
Nei mesi scorsi, si era aperto uno spiraglio di ragionevole disponibilità alle trattative sulla scia delle intese per l'invio del grano ucraino ai paesi africani che vivono una grave emergenza alimentare. Purtroppo, quello spiraglio si è subito richiuso. Con tali presupposti, fermare questa guerra che striscia sulla pelle di tutti noi in un modo o nell'altro non è un imperativo, ma l'imperativo. E se non lo è ancora, lo deve diventare. In caso contrario, l'umanità sarà devitalizzata (e indebolita) nei suoi principi di convivenza pacifica da guerre combattute oramai quotidianamente con altri mezzi.
Guerre con altri mezzi e di altro segno che proliferano da 180 giorni senza soluzione di continuità, dissanguando donne e uomini anche spiritualmente, fiaccandone la resistenza mentale e la volontà di non voler aderire alla propaganda o alle ricostruzioni di comodo di una parte e dell'altra. Non possiamo, infatti, ignorare le guerre ordinate da pochi a scapito di molti dietro comode scrivanie. Sono guerre di speculazione sui prezzi, ossia speculazioni finanziarie sulle materie energetiche e sui prodotti di prima necessità, mentre infuria il cambiamento climatico che distrugge colture e penalizza i raccolti.
Sono guerre che non producono vittime e distruzioni materiali in tempo reale, ma che porteranno progressivamente la società nel vortice dell'instabilità economica e relazionale. Ma l’epilogo è già scritto: imprese costrette a tamponare i conti in rosso con la riduzione del personale, famiglie costrette a una politica di lesina per far quadrare i bilanci se non, nel peggiore dei casi, al ricorso all'indebitamento con le banche o a chiedere, ultima spiaggia, "soccorso" agli strozzini, tunnel al fondo del quale non esiste la luce. In questo scenario, probabilmente nessuno farà più caso a una speculazione di tradizione antiche, quasi fosse un male minore: lo sfruttamento della forza lavoro che si esalta nel "sommerso", nelle retribuzioni da fame in nero deprivate da ogni forma di sicurezza e di previdenza che assomigliano tanto alla schiavitù.
L'umanità è prossima all'anticamera della follia? Se non lo è ancora, qualcuno però ci scommette sopra, quasi pregustandosi la scintilla che scatenerà l'inferno totale con cui spera di ricostruire un nuovo ordine mondiale, la cancellazione della nozione di solidarismo e welfare all'insegna di un "ritrovato" darwinismo sociale. Tocca a noi cittadini reagire, organizzare compostamente la protesta e il dissenso, rifiutare la logica della sopraffazione e del ricorso alle armi come risoluzione dei problemi, dare alla parola pacifismo l'eco del coraggio di chi non vuole rinunciare alla vita. Non c'è alternativa. Rifugiarsi nella convinzione che non accadrà nulla soltanto perché sarebbe dannoso e ingiusto è un'illusione. Non a caso, qualcosa di terribile sta accadendo da 180 giorni.
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