Tutto chiacchiere e distintivo: ecco il Decreto targato Meloni
di Dunia Astrologo
Il governo Meloni, se non combinerà altri e più notevoli disastri, verrà ricordato per la capacità di manipolare la realtà e per l’irrefrenabile tendenza alla provocazione. Invitare i sindacati a un incontro non per confrontarsi e discutere, ma per una formale presa d’atto dei provvedimenti relativi al mondo del lavoro, è già un grosso sgarbo, a cui i rappresentanti sindacali avrebbero fatto bene -secondo me - a sottrarsi. Farlo poi il giorno prima della Festa dei lavoratori aggiunge beffa allo sgarbo. Ma più della forma, preoccupa il contenuto di questa mossa, ovvero ciò che viene stabilito dal Decreto Lavoro.
Provvedimenti privi di analisi
Di fatto questo Decreto, ancora una volta pasticciato non si sa se per arroganza, insipienza o per la fretta di emetterlo in tempo per poter realizzare lo sberleffo al sindacato e ai cittadini italiani che lavorano o che vorrebbero lavorare, contiene misure che contraddicono quello che a chiacchiere sarebbe il suo spirito. Non c’è infatti nessuna azione in grado di promuovere lavoro dove non ce n’è, ma al contrario scarica su chi vorrebbe averne uno la responsabilità morale di questa mancanza. Come interpretare altrimenti la sostituzione del reddito di cittadinanza - mai abbastanza vituperato dalla destra, senza nessuna analisi reale del suo effettivo funzionamento impatto sociale[1] - con un fantasioso “strumento di attivazione del lavoro” che in sostanza lascia totalmente invariato il meccanismo di ricerca di impiego ma offre una miseria (350€) a chi è disoccupato o inoccupato, a patto che abbia un reddito Isee inferiore ai 10.000€?
Queste persone, in generale provviste di un titolo di studio basso (il 70% circa ha solo l’obbligo scolastico) si dovranno cercare (con quale efficacia possiamo immaginare, visto come funzionano tutte le varie agenzie pubbliche e private per l’impiego) un posto di lavoro, dopo aver fatto un corso di formazione. Non si capisce se la formazione verrà fatta in seguito all’incontro con un’offerta di impiego, e sarà quindi adeguata a una richiesta di competenze specifiche, o se sarà un’attività fatta al buio, a priori, senza il corrispettivo di una domanda specifica, né che siano chiariti gli strumenti messi in atto per coordinare e adeguare la domanda all’offerta di lavoro. Se cioè i corsi professionalizzanti siano pensati e organizzati in funzione di un’analisi delle richieste del mercato del lavoro. Ma ciò che sappiamo è che vi è un incentivo del 100%, in termini di esonero dei contributi, per le aziende che vorranno assumere, ovunque si trovino.
E che il lavoratore chiamato, qualunque sia la distanza, la tipologia, la retribuzione offerta dovrà accettarla se vorrà continuare a ricevere il sussidio di 350€ al mese. Se rifiuta un’offerta per quanto totalmente incongrua, decade dal “beneficio”. E la pacchia è comunque a termine. Dopo 12 mesi finisce il sussidio e si torna a cercare lavoro come si è sempre fatto.
Una ulteriore spinta al precariato
Si è tanto parlato della presenza di decine di migliaia di posti di lavoro vacanti e si sono fatti studi per analizzare le ragioni e le forme di questo mismatch, che sono molteplici[2]: vanno dall’assenza di qualificazione specifica, all’obiettiva indisponibilità a trasferirsi da un luogo all’altro del paese in assenza di un sostegno alla ricollocazione geografica a fronte di compensi insufficienti per sostenere trasferte brevi o medie che siano, alle proposte contrattuali che non offrono garanzie di durata, di adeguata retribuzione, sicurezza e pure di soddisfazione. Ché anche di questo si tratta. I soloni del dicastero del lavoro coltivano una visione puritana, punitiva e ristretta del lavoro, visto in termini biblici come puro “sudore della fronte”, laddove dovrebbe essere un’attività che offre a ognuno di noi la possibilità di esprimere le proprie potenzialità, creative, tecniche, manuali che siano, che ci consente di autoaffermarci e di costruire nel tempo la nostra personalità. Per la destra che ora governa, e non solo per questa, il lavoro sembra essere invece una condizione che deve venire subìta, che va imposta a chi vorrebbe invece prosperare alle spalle della società[3].
E non è un caso che questo decreto, sventolato come vera e propria promozione del lavoro, non solo non modifica in nulla i meccanismi già piuttosto inefficaci che dovrebbero promuovere l’incontro tra domanda e offerta, ma peggiora attivamente le condizioni di precarietà che caratterizzano il mercato del lavoro italiano, allargando le maglie dei contratti a tempo determinato, fonte di insicurezza e terreno fertile per abusi e ricatti nei confronti dei lavoratori, soprattutto per quelli cui viene offerto un lavoro regolato da uno dei tanti contratti pirata.
Inoltre non vi è un accenno a come rendere più ampio l’ingresso nel mercato del lavoro di donne e giovani, soprattutto meridionali, dove circa il 40% dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni è inoccupato. In sostanza questo Decreto è, come molte altre azioni di questo governo (e di diversi altri che lo hanno preceduto, in questo campo) un misto di autoritarismo e velleitarismo: tutto chiacchiere e distintivo, appunto!
[1] https://lavoce.info/archives/100578/cosi-il-reddito-di-cittadinanza-migliora-la-vita-dei-beneficiari/ [2]https://group.intesasanpaolo.com/it/research/consumi-indagini-di-mercato/scenario/2022/indagine-mismatch-lavoro-in-italia [3] https://ilmanifesto.it/un-new-deal-sulla-via-maestra-della-costituzione
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