Turchia al ballottaggio: il "sultano" Erdogan è più vivo e vegeto che mai
Aggiornamento: 16 mag 2023
Angoscia! Si prova solo angoscia quando ci si rende conto del fatto che il tuo popolo vota ancora il dittatore che urla insulti e il nome di Dio. Per ottant’anni sei un paese laico e in 20 anni permetti che la religione prenda piede. Sono convinta che tutto è iniziato con la liberalizzazione del velo. Perché per voi occidentali è un diritto umano. Così lui è stato appoggiato già ai tempi di Prodi anche da voi, da tutto l’Occidente. Così oggi lo votano anche nelle zone terremotate dove sono morte più di 50.000 persone cui abbiamo aiutato noi, cittadini semplici, non lo Stato. Anzi lo Stato non c’era per tre giorni!
Il commento al primo turno elettorale in Turchia di ieri, domenica 14 maggio, è di una persona che vive in Italia. In poche righe si registra tutta la delusione di un risultato che ha riportato il presidente Recep Tayyip Erdogan (nel video, mentre in un seggio elettorale distribuisce banconote ai bambini) in una posizione di vantaggio e anche di forte pressione psicologica sull'elettorato incerto, rispetto ai sondaggi della vigilia che lo davano alle spalle del suo avversario, Kemal Kiliçdaroglu, leader del Partito Popolare Repubblicano fondato dal padre della Nazione Mustafa Kemal Ataturk.
Il 28 maggio, la Turchia dunque andrà al ballottaggio, un evento che il settantenne giornalista e accademico Mehmet Altan, messo ai margini della società turca con la falsa accusa di essere coinvolto nel fallito colpo di Stato dei militari del 15 luglio 2016, in una intervista rilasciata al Corriere della Sera, licenzia come "un brutto momento per il Paese, [perché] ci saranno attacchi, un clima di paura. Faranno di tutto"[1].
Una dittatura islamica
In venti anni di potere ha instaurato una dittatura islamica con cui ha ridotto il Parlamento ad essere il suo personale megafono, Erdogan si è costruito una corazza di impunità e di arroganza affaristica che gli ha permesso di entrare in ogni anello della società e sfera dell'economia turca. Il "Sultano" ha corrotto, comprato il consenso, condizionato la magistratura, "purgato" a seconda delle sue esigenze i corpi separati dello Stato, dalle forze armate alla polizia. Un meccanismo di potere assoluto con cui ha tenuto fuori dalla porta l'elemento con cui è arrivato al potere: la democrazia. Una delle ragioni per cui l'Unione Europea lo ha fatto accomodare in sala d'attesa, negandogli l'ingresso a Bruxelles. Con senno del poi, forse un errore. L'ingresso della Turchia avrebbe potuto temperare i deliri di onnipotenza tipiche di un tiranno, a fermare le feroci repressioni interne di cui Erdogan è responsabile (senza neppure preoccuparsi di mascherare) e il terrore portato nei territori curdi, oltre a raffreddare il sostegno offerto all'Isis (questo sì, dietro le quinte per non irritare gli Stati Uniti). Ma nel complesso, l'Occidente con Erdogan ha privilegiato il "lassez faire". E la Nato ha interpretato al meglio questa politica, al servizio soprattutto degli Usa, cui Erdogan ha fatto da supplente (o vassallo, dipende dai punti di vista) nelle questioni mediorientali, quelle zone grigie in cui e Washington ha preferito (ufficialmente) non intervenire. Un percorso lento, ma continuo, quello impostato dal presidente turco che gli ha fatto guadagnare simpatie in più governi dell'Occidente, Italia inclusa, che in lui hanno visto un elemento di forte stabilità, utile da "corteggiare" e blandire, quando si è trattato di affrontare la questione migranti per la tranquillità dell'Europa.
Le responsabilità dell'Europa
Il popolo turco peraltro è molto diviso e la stessa alternativa a Erdogan non ha tutti i carati lucenti per superare le divisioni. Kiliçdaroglu è alevita, come Assad in Siria ed è "vicino" all'Iran sciita, da cui i timori della maggioranza sunnita e il "rischio" concreto di una deriva pro Teheran che destabilizzerebbe la regione e, non ultima, la stessa appartenenza all'Alleanza Atlantica. Del resto, Erdogan ha carisma e ha finora trovato sempre le parole giuste per sedurre le classi meno abbienti e piccole borghesi. Il suo Akp è stato paragonato a una Dc islamica, che domina con Fondazioni che elargiscono denaro e la sua ambizione è considerata una qualità che ha permesso alla Turchia di diventare una potenza regionale con aspirazioni mondiali. Un esempio su tutti è la Libia, post Gheddafi, dove da una posizione di forza, una volta concorso a liberare la Tripolitania, è andato a trattare con Egitto e Russia. Un altro esempio, arriva dall'Africa subsahariana, dove domina, tipo Somalia, e dove le ambasciate in 17 anni sono passate da 12 a 41. A ciò si aggiunge, ultimo ma non meno importante, che Erdogan una visione anche di indipendenza energetica (Mediterraneo e Mar Nero) e che gode dell'appoggio di ampi settori laici, come la Marina Militare (cuore laico del nuovo esercito).
Ma la sua vera forza risiede nella debolezza di noi europei che abbiamo illuso per anni il popolo turco cui è stata sempre sbattuta la porta in faccia per i timori vari ("invasione" di turchi, supporto indiretto alla Fratellanza Musulmana, già ampiamente presente nei Balcani, in Macedonia e in Albania). Un popolo illuso, abbandonato e consolato (per via del velo, ad esempio), che ha ascoltato bacchettare o redarguire il "Sultano" a parole per violazione dei diritti umani, ma non coi fatti, perché l'Europa avrebbe dovuto a quel punto mostrare attributi politici che non ha, almeno in proprio. Così, alla fragile (ed egoista) Unione Europea non rimane che lamentarsi, mettere una toppa piccola o grande a seconda delle situazioni, consapevole di non avere né una strategia di lungo periodo, né una vera unione in grado di porre freno a dittatori come Erdogan, che sulla debolezza altrui ha edificato un potere ventennale, come farebbe chiunque, d'altronde.
Note
[1] "La via per la democrazia è lunga ma liberarci dal Sultano ci farebbe riprendere fiato", Mo.Ri.Sar, Corriere della Sera, 15 maggio 2023
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