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Stefano E. Rossi

Trump-Harris: verdetto nitido fin dai primi fotogrammi

Aggiornamento: 7 giorni fa

di Stefano E. Rossi


Per seguire in diretta gli esiti delle operazioni di scrutinio del Big Tuesday, centinaia di militanti sono accorsi ai comitati elettorali di Kamala Harris, alla Howard University di Washington, e di Donald Trump, in Florida a West Palm Beach. L’atmosfera è eccitata e festante, ma i giganteschi monitor allestiti per la piazza di Kamala, sintonizzati sulla CNN, già alle 23:30 EST (l’ora locale atlantica, le 5:30 ora italiana), gelano i suoi sostenitori, che fino a quel momento erano ancora confidenti nei sondaggi favorevoli della vigilia. La brutta notizia arriva dalla Carolina del Nord, Stato in bilico e cruciale per la vittoria finale. Viene assegnata a Trump proprio in quel momento, insieme ai suoi sedici seggi, diventati pesantissimi per il divario che si stava iniziando ad accumulare. A marcare questo scoramento, arriverà anche l’interruzione del collegamento con la tv all-news di Atlanta, per passare a video clip musicali.

La cronologia successiva è quella di una débâcle: intorno all’una (le 7:00 per l’Italia) il voto decreta con largo anticipo la maggioranza assoluta dei Repubblicani al Senato e quasi contemporaneamente il New York Times attribuisce il 90% delle probabilità di vittoria a Trump.

Alle 2:30 (le nostre 8:30) si profila il raggiungimento del quorum dei 270 grandi elettori e arriva, puntuale, il discorso di ringraziamento e auto-investitura di Trump. È caratterizzato da un lungo elogio, che si protrae per ben cinque minuti, del suo principale finanziatore, Elon Musk, ribattezzato “nuova stella”.

Di lì a poco, si delineeranno meglio le vere dimensioni di una cocente sconfitta Democratica e di una affermazione Repubblicana, definita storica.

In questo momento albeggia a San Francisco e, ancor più che da noi, in queste ore di risveglio americano si sprecano su tutte le reti le interpretazioni dei commentatori e le loro interpretazioni analitiche del voto. Nonostante la sconfitta, pare adesso intervenire sulla figura di Kamala, riappropriandola di un certo favore, il caso dei sondaggi sbagliati della vigilia, che la proiettavano in risalita e quale probabile vincitrice. Le si riconosce come, in soli tre mesi dalla nomina congressuale, avesse raccolto consensi oltre le attese del pre-investitura, tenuto testa al tycoon negli scontri televisivi e social e mantenuto viva, fino all’ultimo, la possibilità di una vittoria finale.

Però, la realtà dei fatti è molto amara. Dalle prime analisi, rispetto alle elezioni vinte da Biden nel 2020, tutti gli indici appaiono in arretramento. Decine delle contee al voto, alcune anche storiche, sono passate dal colore blu a quello rosso dei Repubblicani. E, dalla resa delle Contee, si passa a una stessa sorte per i “Flipper States”, gli Stati chiave, come ad esempio l’Arizona (11 grandi elettori), la Georgia (16), il Michigan (10), il Wisconsin (10) e la Pennsylvania (19). Sono i loro cittadini, esprimendosi per una richiesta di cambiamento, ad essere stati decisivi per l’affermazione repubblicana. Poi, quando si passa alle categorie sociali, la storia non cambia. I Democratici non sono più il partito di riferimento dei lavoratori, la cosiddetta working class, sono scesi nel voto etnico, tra i giovani sotto i 30 anni e, tra i maschi latinos, nemmeno uno su tre li ha preferiti alle urne. Da ultimo ma non per ultimo, frase cara agli anglofoni, si attribuiva al voto femminile una legittima speranza per l’elezione della prima Presidente Usa donna. È tuttora oggetto di approfondimento, ma, anche se risulterà apprezzabile, non è stato determinante.

Infine, nei commenti non poteva non ritornare il fantasma del presidente uscente Joe Biden. L’opportunità della sua sostituzione a gara già avviata, dapprima non convinceva molti dirigenti del partito, tra essi Nancy Pelosi e adesso, dopo l’esito del voto, è uno dei quesiti irrisolti che affliggono il campo democratico. I commentatori più accreditati però ne rigettano ogni formulazione. C’è chi addirittura, per definire il profilo del Presidente uscente, usa il termine “blown up”, …scoppiato. Intendiamoci, non lo fa per irriderlo, quanto per imputargli di aver già esaurito le energie sulla linea di partenza, con sondaggi man mano sfavorevoli e difficilmente recuperabili, con un’immagine facilmente attaccabile e preda del precoce abbandono dei finanziatori. In effetti, erano proprio stati loro i veri artefici del suo ritiro, quando gli avevano tagliato le gambe anzitempo, trattenendo dichiaratamente le risorse per rilanciarle su un auspicabile candidato sostitutivo.

Adesso inizia un nuovo corso. Le guerre, il clima, i rapporti con gli alleati e, in primis, con l’Europa saranno i terreni di valutazione sui quali nei prossimi mesi giudicheremo le scelte di un’America che, commentando a caldo il voto di oggi, si è detta frustrata e in cerca del cambiamento.

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