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Tortorella, la Festa dell'Unità a Torino e quel piatto rovesciato...

Gaspare Enrico

di Gaspare Enrico


Il mio ricordo di Aldo Tortorella, un ricordo buffo e come tale si giustifica, è per me legato alla Festa Nazionale de L’Unità di Torino, 1981, a dieci anni dall'ultima che si era tenuta al Parco Ruffini, dedicata in apertura, la sera del 5 settembre, al Vietnam e alla quale aveva partecipato una delegazione della Repubblica democratica del paese in lotta. Nel settembre del 1981, invece, il Pci scelse un luogo simbolo della città e della storia del Paese, "Italia '61". Era una sfida portata in un momento estremamente complesso e complicato per il Pci e il sindacato, a un anno dalla vertenza Fiat culminata nella Marcia dei 40 mila e con un'azienda che cominciava a non assicurare più le certezza di un tempo. Ed anche per la pace, con i venti di guerra che spiravano dal Centro Asia al Medio Oriente, esattamente come oggi e una corsa al riarmo con l'installazione dei missili a est a ad ovest, in Italia a Comiso, che non prefigurava nulla di buono. Non a caso, quel Festival fu aperto da una manifestazione per la pace, conclusa da un discorso di Nilde Iotti.

Ma riprendo il discorso su Aldo Tortorella e sulla serata in cui era previsto il suo intervento nel programma della Festa. Fu così che decise di venire al ristorante posto nella stazione della monorotaia sopraelevata. Non un ristorante qualunque, ma "il ristorante", ovviamente per una parte di noi, perché serviva piatti tipici della Valle d’Aosta ed era gestito dai compagni valdostani e dalle sezioni del Canavese, di cui ero il responsabile di zona.

Accogliemmo Tortorella con molta simpatia e per ragioni note all'interno del Pci: l'eleganza, la cordialità, la cultura, il ruolo politico, ma permaneva anche un inspiegabile timore reverenziale. Soprattutto da parte di chi era preposto al servizio ai tavoli... Di conseguenza, visto le preoccupazione diffuse, mi assunsi la responsabilità di servirlo. Non fu una grande idea o lo fu soltanto a metà della cena, quando incespicando gli rovesciai addosso il piatto. Ero avvilito, nonostante la sua delicatezza nel rassicurarmi, nel dire prontamente che non c’erano problemi e di non preoccuparmi. Mi sono più volte chiesto come fece per il dibattito successivo e ovviamente ogni volta che lo vedevo a Torino mi tornava in mente quel fatto increscioso, soprattutto perché lui era un dirigente molto preparato, attento e... gentile.

Lo stesso intellettuale che qualche decennio dopo, in un Paese cambiato, ma non ancora profondamente come oggi, osservava che "la sinistra deve saper cercare e ritrovare un'anima, senza negare le sue diverse culture e identità". Una sorta di testamento quantomai attuale.

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