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Torino, tra analisi e "sferzate" la nuova consapevolezza del sindaco Lo Russo

di Beppe Borgogno


Poco prima dell’interruzione estiva il sindaco  di Torino Stefano Lo Russo, intervistato da Repubblica Torino, aveva forse deluso le attese di chi, nel suo partito e non solo, si aspettava da lui un'analisi sulla prima parte del mandato un pochino più consapevole dei limiti, dei problemi e delle difficoltà, e un impegno sulle diverse cose da registrare. Una intervista, la sua, che seguiva di non molto tempo il risultato negativo di un sondaggio sulla popolarità dei Sindaci, quello in chiaroscuro (anche se migliore delle attese, soprattutto a Torino) delle elezioni europee e regionali. E che tutti noi abbiamo letto mentre contemporaneamente sulle cronache si leggeva delle proteste per l’erba alta, per alcune manutenzioni in ritardo e per  le ormai consuete (e tanto care alle cronache locali) notizie sullo stato della sicurezza in alcune zone della città.

Il titolo dell’intervista era proprio sul tema della sicurezza (“La sicurezza è di sinistra”), e nel rispondere alle domande dei giornalisti Lo Russo “teneva il punto”, rivendicando, giustamente, diverse delle cose fatte: sui tanti cantieri aperti e sulle loro potenzialità di cambiamento per la città, sulla concordia istituzionale, e sulla sicurezza. E da quest’ultimo argomento partiva per “bacchettare” i limiti e i ritardi in particolare del PD, come anche su diversi temi messi in luce soprattutto dalla sconfitta alle elezioni regionali.

Ma nulla (o pochissimo) sui limiti, invece, dimostrati finora, sulle difficoltà, sul rapporto con la città da irrobustire e sostanziare, sulle tante questioni aperte che dovrebbero vedere una azione forte della città, a partire dal suo futuro industriale. C’entrano anche le domande dei giornalisti, certo, ma comunque nulla su molti aspetti critici e delicati.

Al ritorno dalle vacanze la scena sembra essere cambiata piuttosto nettamente, a giudicare dagli atti ma forse anche dalle intenzioni.

Gli atti, dunque. Il Sindaco è reduce da un viaggio in Corea del Sud dove, visitando lo stabilimento Hyundai di Gwangiu (città gemellata con Torino), ha potuto apprezzare l’efficacia della partnership anche economica tra il privato e il pubblico (il governo metropolitano locale) per dare vita a uno stabilimento che produce 100.000 vetture l’anno (a Mirafiori quest’anno saranno poco più di 30.000) e dà lavoro, compreso l’indotto, a circa 1600 persone, sostenendo così i produttori e l’economia locali.

A leggere dalle cronache dei giornali, Lo Russo pare piuttosto convinto di porre sul tavolo proprio quel modello di intervento e di sostegno alla produzione dell’auto, contrapponendosi alla linea del governo (e di parte del mondo sindacale) che sembra voler invece agire attraverso incentivi per attrarre produttori esteri (le aziende cinesi?).

Sforzo sincero?  (qualche maligno dice che bastava andare in Francia, dove lo Stato francese ha da tempo una partecipazione in Stellantis, per documentarsi. Ma è un caso assai diverso). Consapevolezza e convinzione di volere dare una battaglia difficile?  Due vie che si aprono, o due visioni che rischiano di contrapporsi?

Vedremo. Intanto, che si possa finalmente tornare a discutere su questo importante problema della città, è già qualcosa. Diversamente la scena sarebbe occupata dall’offerta ai cassaintegrati FIAT (ma si, si può anche continuare a chiamarla così, giusto per non dimenticare) di andare a lavorare per un po’ in Polonia, o dalle immagini sulla  festa per il centenario del marchio, in cui, anche di fronte alle autorità locali,  si celebrava un nuovo modello prodotto in Serbia mentre i dipendenti delle carrozzerie andavano per l’ennesima volta in Cig. Insomma, l’impressione è che questo mese, forse grazie alle inevitabili riflessioni agostane, sia servito a Stefano Lo Russo anche per assumere la postura di chi vuole tentare di mettere lì i temi del dibattito, e non agire soltanto in difesa.

E veniamo allora alla consapevolezza pubblica (quella personale forse c’era già prima) delle cose che non vanno o che potrebbero andare meglio. In un articolo dal titolo “Lo Russo striglia gli assessori”, comparso sulle pagine cittadine de La Stampa, emerge l’elenco delle cose che potrebbero migliorare: partendo dalle “piccole cose” che tanto piccole non sono mai, e che spesso sono fonte di tanto disagio, passando attraverso i problemi della sicurezza urbana, delle cerniere tra le “diverse città”, per arrivare fino al complesso cammino dei grandi interventi collegati al PNRR.

Tutte cose giuste, ma che fanno venire in mente alcune considerazioni, ragionando sull’articolo in questione.

La prima: avere rimesso “a posto” la macchina comunale è certamente un merito che il Sindaco fa bene ad attribuirsi, ma che  rimane poco più che virtuale se non si traduce in effetti positivi visibili dalla città. Pensare di fare, o quasi, con poco più di 7.000 dipendenti, ciò che la città faceva con più di 11.000 (dallo sfalcio dell’erba alle Olimpiadi) rischia di essere inutilmente frustrante. Più che di una riorganizzazione della “macchina” forse c’è bisogno di aggiornare le priorità.

La seconda: sul tema della sicurezza urbana c’è il rischio che si continuino a far vivere troppi equivoci, utili solo a chi vuole specularci su. Intanto bisognerebbe una volta per tutte convincersi che la sicurezza è un bene comune non etichettabile, e che non si spiega solo con le statistiche. Che i risultati migliori si ottengono quando tra gli attori (i poteri pubblici, le forze dell’ordine, la magistratura, gli attori sociali) si riescono a condividere analisi ed obiettivi, e se poi ognuno fa fino in fondo la propria parte. Quella della città sta innanzitutto in almeno due momenti : la visione e la regia, e poi la messa in campo di tutti gli strumenti di cui dispone per ostacolare il degrado, la fragilità, l’abbandono, dei luoghi come delle persone. Condizioni che da sole non risolvono certo i problemi, ma di cui nessuno si occuperebbe se non lo facessero, appunto, in particolare i comuni. E infine alla città tocca dare il massimo supporto possibile agli operatori della sicurezza. Le invasioni di campo e gli scambi di ruolo servono a poco. Se c’è questa consapevolezza bene, in caso contrario nessun “tecnico della sicurezza” chiamato ad occuparsene potrà raggiungere gli obiettivi sperati.

La terza:  da una parte, forse, la ripresa del dibattito sul futuro dell’auto; dall’altra la città che può cambiare anche attraverso le opere (grandi e piccole, materiali e immateriali) in programma, col PNRR e non solo. Se è così, c’è abbastanza materiale per riaprire, finalmente, una riflessione sul futuro della città, sugli indirizzi strategici da darle, sulle vocazioni da salvare e coltivare, e su quelle da scoprire. Un po’ come è successo verso l’inizio degli anni ’90, per durare qualche lustro.

Niente di paragonabile ad allora, in una realtà così differente. Ma con la stessa ambizione, cioè quella di preparare un po’ di futuro.

Per fare tutto questo la città ha bisogno di una squadra che funzioni, e di un Sindaco che guidi questa squadra con autorevolezza. Che sappia vedere i limiti e gli errori, che sappia “metterci la faccia”, che abbia voglia di spiegare, di prendersi i meriti ma anche di chiedere scusa quando è ora. Che non si limiti perciò a fare il preside che rimprovera gli insegnanti come un po’ sembra emergere da quell’articolo de La Stampa: che intervenga anche sulle cose antipatiche, che sappia sottolineare le responsabilità e discutere di come correggere ciò che non va.

Non serve un Sindaco piacione, perché è sbagliato e Stefano Lo Russo è una persona seria. La parola che serve, per la seconda fase dell’amministrazione di Torino, forse non è, a pensarci bene, nemmeno “simpatia” o “empatia” (anche se un po’ di più non guasterebbe).

Forse le parole più utili sono confronto e condivisione. Tra il Sindaco e la sua squadra, tra la sua squadra e la macchina che insieme devono far funzionare. Soprattutto, però, tra l’ amministrazione, i suoi atti e i suoi programmi e la città: a partire dagli attori sociali ed economici, dal mondo intellettuale e dell’associazionismo, fino alle tante realtà che operano nei quartieri sforzandosi di tenere vive esperienze di partecipazione e di impegno dal basso. Confronto e condivisione, per aprire qualche orizzonte nuovo, o almeno far comprendere meglio quello che abbiamo di fronte. Cioè, per fare meglio una delle cose che forse finora è stato fatto meno bene.

Se il segno della “seconda fase” sarà questo, o qualcosa che gli somiglia, vorrà  dire che la città, forse, ha gli strumenti per ripartire sul serio.

 

 

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