Torino, la necessità di cambiare
Fino alle 23 di oggi e dalle 7 alle 15 di domani, Torino confida nelle urne per ricostruirsi e in un progetto che la sottragga all’immobilità che stringe il cuore, che a molti e da troppo tempo dà l’impressione di vivere sotto una tenda ad ossigeno. Un progetto da cui esca per il secondo decennio del XXI secolo, l’immagine trascinante di una città prismatica, dalle tante facce e profili, come lo sono tutte le grandi città, ma nuovamente in grado di riconoscersi in una soggettività e identità precise, visibili e, verrebbe da dire, spendibili, come lo è stata per l’intero Novecento con il suo sviluppo demografico, le sue industrie, i suoi campi di ricerca, la sua cultura, le sue concrete opportunità di emancipazione sociale, il suo cammino tra laicità e cristianità. La nostalgia non è la migliore delle compagne con cui dividere la politica. Le illusioni di norma sono fuorvianti e scarsamente curative nel lenire il dolore. I fasti del passato non ritorneranno. Lo sappiamo. Però, sappiamo anche che il passato non è tenuto a ritornare con le contraddizioni e pesantezze che si allargarono e presero corpo e ombra nel Secondo dopoguerra, sotto il tumultuoso inurbamento. Dalle ombre però non si può sfuggire. Sono il nostro doppio e si possono sempre ripresentare con altri sembianti. Uno di questi è la decrescita di popolazione attiva e non. A Torino, per ogni quattro persone in età di lavoro, ve n’è una anziana. La statistica demografica denuncia il progressivo invecchiamento di interi quartieri.
Quelli che fino agli anni Ottanta rappresentavano la parte per il tutto, simbolo di una città dinamica nella sua espansione, due quartieri contigui, Mirafiori Nord e Santa Rita, deprivati di ricambio generazionale sono oggi i più vecchi o i meno giovani, secondo i punti di vista. Un rovesciamento di immagine marcato dal raffreddamento delle attività industriali. Nel concreto, con l’aumento dell’età media si è avvertita anche una progressiva caduta di quella energia vitale e collettiva che è il volano centrale per affrontare nuove sfide, per riprovare il piacere dell’utopia e per credere anche nell’impossibile. Torino oggi va alle urne anche per chiedere una guida ferma, adulta e autorevole. Sterzate e controsterzate faranno pure spettacolo, ma rischiano di portarti fuori strada. La città chiede fermezza nelle scelte, perseguite con la tensione e il coraggio etico, morale e politico che si devono a impegni adulti promossi nelle sedi competenti con autorevolezza: dalla realizzazione e completamente delle infrastrutture alla rifondazione delle periferie con tutto ciò che di enorme vi è nel mezzo.
Sarà per il nuovo sindaco un’impresa titanica. Ma non ci si illuda: un uomo solo al comando non ha mai risolto i problemi. La città dovrà stare accanto al suo primo cittadino, senza il timore – denunciato in passato con giusta e doverosa preoccupazione, ma anche strumentalizzato come spauracchio regressivo – di contrarre nuovi debiti per gli indispensabili investimenti. Del resto, siamo tutti consapevoli che solo con il lavoro le cambiali si pagano. Senza, lo spazio è occupato dall’inerzia, dal disimpegno, dallo scoramento e dall’abbandono, fattori che spianano la strada sempre a situazioni fuori controllo, a ingiustizie e a disonestà. Con il rischio, non secondario, di perpetuare ancora il potere di gruppi ristretti, trasversali che punteggiano Torino e forse la soffocano al di là delle loro stesse intenzioni.
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