Sócrates: il calcio come rivoluzione culturale e politica
di Olga Melodìa
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Socrates, calcio e politica. Due mondi che non riesce mai a scindere, osservò il giornalista. Lui commentò: "Perché è impossibile. Perché ai ragazzini di 13 anni insegnano che il calcio è una cosa e la politica un'altra? Perché quando un calciatore sa anche pensare, diventa pericoloso per il potere. Lo scavalca e dialoga direttamente con il pubblico. I giovani di Firenze questo l'hanno capito, gli anziani non ancora. Ma è normale. Anche i processi culturali sono molto lenti. E non vi siete mai chiesti perché solo Socrates parla di politica? Ma perché la stampa è una struttura portante del potere. Vuole che il calciatore non esca mai dai binari sicuri del personaggio che sa parlare solo di calcio. Tardelli, mi sembra, è l'unico che esce dagli schemi. Si capisce, tra le righe, che avrebbe molte cose interessanti da dire. Tardelli è un uomo». Così Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, meglio noto come Sócrates a Sergio Cuti, in un'intervista apparsa sull'Unità il 14 aprile del 1985. Due mesi prima, sempre a proposito di calcio e politica, era stato ucciso il 23 febbraio a Palermo, insieme con il suo autista Giuseppe Mangano, l'ingegner Roberto Parisi, personaggio rappresentativo dell'economia e del potere politico locale, presidente della società di calcio rosanero. Il giorno dopo, la sua Fiorentina fu travolta in casa (0-3) da un'arrembante Sampdoria. Momento no di una stagione in cui alla viola accadde di tutto: la malattia del suo allenatore "Picchio" De Sisti, il grave infortunio subito da capitan Antognoni, una squadra complessivamente "anziana", variabili che forse contribuirono al crollo del rendimento di Socrates e al suo ritorno in Brasile, nonostante un contratto triennale. Questo il fronte calcio. Dietro, c'è la storia dell'uomo, scomparso il 4 dicembre del 2011, e del suo Paese, con una serie di singolari implicazioni che ci racconta Olga Melodìa.
Lo sport, e in particolare il calcio, è spesso percepito come un semplice svago, un'industria dello spettacolo o, nella sua forma più idealizzata, un’arte capace di suscitare emozioni collettive. Esistono però momenti e figure che hanno trasformato il calcio in un vero e proprio strumento di lotta politica e sociale. Tra questi, Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, noto semplicemente come Sócrates, emerge come un simbolo di fusione tra sport e impegno politico.
Nato il 19 febbraio 1954 a Belém, una delle città più povere del Brasile, Sócrates non fu solo un talento straordinario con il pallone, ma anche un intellettuale, un medico e un attivista. Con il suo stile elegante e la sua visione di gioco raffinata, ha lasciato un'impronta indelebile nel calcio mondiale. Ma il suo lascito più importante è stato quello culturale e politico: l’esperienza della Democracia Corinthiana, un modello di autogestione collettiva applicato a una squadra di calcio, rappresenta uno degli esperimenti più avanzati di democrazia partecipativa in ambito sportivo.
L'analisi del pensiero e dell’eredità di Sócrates permette di comprendere come il calcio possa essere un veicolo di emancipazione sociale e un’arena in cui si riflettono le lotte politiche del nostro tempo.
Il calcio come linguaggio universale
Il calcio è un fenomeno globale che attraversa confini geografici e barriere culturali. In contesti segnati da disuguaglianze economiche e sociali, il pallone può assumere un ruolo che va ben oltre il gioco: diventa un mezzo di espressione popolare e di costruzione identitaria. Sócrates comprese profondamente questa dimensione del calcio e decise di utilizzarlo come strumento di consapevolezza politica.
La sua visione era ispirata da un'ampia formazione intellettuale: laureato in medicina, coltivava un forte interesse per la filosofia e la politica. Era un lettore attento di Antonio Gramsci, Karl Marx e dei pensatori esistenzialisti francesi, elementi che lo portarono a interrogarsi sul ruolo dell’atleta all’interno della società.
Gramsci stesso rifletté sul calcio nel suo articolo Il foot-ball e lo scopone, pubblicato su l'Avanti! il 26 agosto 1918. Qui, il pensatore sardo mise in luce il carattere moderno e meritocratico del calcio, contrapposto ai giochi tradizionali come lo scopone. Il football, scrisse Gramsci, si fonda su regole chiare, sull’impegno collettivo e sulla competizione basata sul talento, rappresentando così un’immagine della società ideale: equa, dinamica e basata sul merito.
Sócrates sembra incarnare questa visione gramsciana, non solo per la sua intelligenza calcistica e la sua capacità di lettura del gioco, ma soprattutto per il modo in cui ha interpretato il calcio come un fenomeno sociale e politico. Nel calcio professionistico, spesso dominato da dinamiche verticistiche e da un modello di business sempre più totalizzante, Sócrates vide la possibilità di sperimentare un'alternativa: un calcio in cui i giocatori non fossero semplici esecutori, ma soggetti attivi nelle decisioni che li riguardavano.
La Democracia Corinthiana: un laboratorio di autogestione
L’esperimento più audace di Sócrates fu la Democracia Corinthiana, un modello di gestione collettiva implementato tra il 1982 e il 1984 nel Corinthians, storico club brasiliano di São Paulo. Questo progetto, portato avanti insieme a compagni di squadra come Wladimir, Casagrande e Zenon, nacque in un momento cruciale per il Brasile, ancora sotto la dittatura militare instaurata nel 1964.
L’idea alla base della Democracia Corinthiana era semplice ma rivoluzionaria: tutte le decisioni della squadra – dalle strategie di gioco agli orari di allenamento, fino alle scelte amministrative – venivano prese collettivamente attraverso votazioni democratiche. Non esisteva una gerarchia rigida tra allenatore, giocatori e dirigenti; ogni membro del club aveva pari voce in capitolo.
Questo modello si ispirava direttamente ai concetti gramsciani sulla partecipazione collettiva e alla tradizione dei consigli operai. Per Gramsci, le istituzioni autoritarie soffocano l’autonomia e la creatività dell’individuo, mentre la democrazia partecipativa permette lo sviluppo di una coscienza collettiva. La Democracia Corinthiana applicò questa idea al calcio, dimostrando che anche nel mondo dello sport era possibile costruire un modello alternativo di gestione basato sulla cooperazione anziché sulla subordinazione.
L’iniziativa ebbe anche una forte valenza politica: le partite del Corinthians divennero un palco per la protesta contro il regime, con i giocatori che scendevano in campo con maglie su cui campeggiava la scritta "Democracia".
Il calcio come strumento di lotta politica
La Democracia Corinthiana non si limitò a trasformare il funzionamento interno del club, ma divenne un simbolo di opposizione alla dittatura e un messaggio a favore della democratizzazione del Brasile. Sócrates e i suoi compagni sfruttarono la visibilità del calcio per promuovere il dibattito politico, contribuendo a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di un cambiamento.
Uno degli episodi più significativi avvenne nel 1984, durante il movimento Diretas Já, che chiedeva l’introduzione del suffragio diretto per l’elezione del presidente della Repubblica. Sócrates, durante un comizio pubblico, dichiarò che se il Parlamento avesse approvato il diritto di voto popolare, avrebbe rifiutato un’offerta già concordata per giocare in Italia e sarebbe rimasto in Brasile. Il disegno di legge fu respinto, e Sócrates partì per la Fiorentina, ma il suo gesto rimase impresso nella memoria collettiva.
L'eredità di Sócrates
Dopo il ritiro dal calcio giocato, Sócrates continuò a essere una voce critica e influente nella società brasiliana, scrivendo articoli, partecipando a dibattiti e mantenendo vivo il suo impegno politico. La sua figura è ancora oggi ricordata come un esempio di come lo sport possa essere uno strumento di cambiamento sociale e politico.
Il suo lascito risuona in un'epoca in cui il calcio è sempre più influenzato da interessi economici e logiche aziendali. L’autogestione collettiva e la partecipazione attiva dei giocatori nelle decisioni sono principi ormai marginalizzati in un contesto dominato da proprietari miliardari e multinazionali dell’intrattenimento sportivo. Tuttavia, l’esperienza della Democracia Corinthiana dimostra che un altro calcio è possibile: un calcio basato sulla cooperazione, sulla consapevolezza e sulla responsabilità collettiva.
Conclusione
Se Gramsci avesse potuto osservare la Democracia Corinthiana, avrebbe probabilmente riconosciuto in Sócrates un intellettuale organico, capace di connettere il proprio ruolo nello sport con una più ampia coscienza sociale e politica.
Gramsci vedeva nel calcio una metafora della società ideale, fondata sulla partecipazione attiva, sulla lealtà e sulla responsabilità collettiva. Sócrates non si limitò a giocare a calcio: trasformò il campo in un’arena di lotta politica, dimostrando che anche lo sport può essere un laboratorio di idee, un’arma di resistenza e un modello di democrazia partecipativa.
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