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Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi

Sulla pelle degli ostaggi: la cinica politica dei ricatti


di Emanuele Davide  Ruffino e Germana Zollesi

Tregua addio tra Hamas ed Israele e ripresa di accuse reciproche su chi l'ha per primo violata. In Israele sono risuonate le sirene per il lancio di razzi. Per contro, Tel Aviv ha ordinato il volo dei suoi jet per martellare Gaza. Dall'altra parte, Hamas accusa il governo Netanyahu di aver bloccato i rifornimenti di combustibili al nord della Striscia di Gaza. La situazione ritorna ad essere confusa, nonostante gli sforzi di mediazione del Segretario di Stato americano Blinken. Intanto, si accende in Israele la polemica sulle responsabilità del governo dopo che il New York Times ha rivelato che l'intelligence era a conoscenza da circa un anno dei preparativi dei miliziani di Hamas. Ora, ritorna l'incubo sul destino degli ostaggi, dopo gli scambi degli ultimi giorni.


I dibattiti si concentrano, sempre più, sull’atteggiamento da assumere di fronte ad un ricatto, estremizzando posizioni contrapposte e, sempre meno, su una possibile metanalisi delle conseguenze che queste possono produrre sulla società. Interrogarsi su chi ha ragione di fronte ad un fatto di cronaca rientra nella doverosa dialettica che i fatti quotidiani devono sollecitare. Ma attardarsi su posizioni manichee rischia di compromettere la comprensione degli effetti che l'una o l’altra soluzione potrebbe provocare sugli equilibri della nostra società.

 

La riproposizione del dramma

L’Italia dovette affrontare il dilemma nel 1978, di fronte al rapimento di Aldo Moro, dove si contrapposero le posizioni di chi aborriva al pensiero di trattare con gli assassini degli uomini della scorta (Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi e Raffaele Iozzino) e chi, mosso da pietà, riteneva opportuno avviare un dialogo con le Brigate rosse. E in mezzo chi per ragioni di amicizia e vicinanza politica era emotivamente coinvolto e i tanti che, speculando sulla disgrazia, pensavano di trarne vantaggio.

Da allora purtroppo situazioni simili si sono ripetute innumerevoli volte contrapponendo falchi e colombe, senza il prevalere di una parte sull’altra nel fornire un modus operandi generalmente valido.

Concettualmente, richiamando le caratteristiche dei due volatili, il falco è colui che tendenzialmente assume posizioni intransigenti e attacca senza segnalare la propria rabbia, si avventa contro l'avversario e, o vince tutto, o perde e paga lo scotto della sconfitta. La colomba preferisce posizioni concilianti segnalando il proprio disagio (anche manifestando espressamente la sua rabbia) e se attaccato, prudenzialmente, cerca di ritirarsi, dissimulando gli effetti della sconfitta. I falchi sono considerati dei duri (e un po’ insensibili), mentre le colombe, dei buonisti, al limite dell’accondiscendenza e della complicità.

Entrambe le posizioni sono sfruttate da soggetti senza scrupoli per perseguire i loro biechi interessi: speculare sulle disgrazie degli immigrati (in ultimo, in acque spagnole sono stati scaricati dagli scafisti provocando alcuni morti col deliberato scopo di provocare reazioni solidali al fine di favorire i loro affari), oppure sfruttare le intransigenze per esasperare i conflitti (la Casa Bianca ha più volte ammonito, anche memore degli sbagli compiuti in passato, a non favorire involontariamente posizioni estremiste).

 

La bieca arte di sfruttare le tragedie

È evidente che di fronte ad un dramma, le persone dotate di un minimo di umanità tendono a sostenere soluzioni a tutela delle vittime, ma così facendo si rende “remunerativo” continuare a causare circostanze sempre più incresciose, sapendo di trovare nell’opinione pubblica un sostegno: e così anche i neonati e le strutture sanitarie vengono utilizzati come scudi umani. La pietas, di fronte ad un ricatto, rischia cioè di incentivarne altri: per non assumersi la responsabilità di un caso nell’immediato, se ne dovranno affrontare esponenzialmente molti altri. In mezzo ci dovrebbe stare la diplomazia e la politica chiamate a prevenire situazioni deprecabili e, quando si manifestano, agendo a tutela delle vittime, ma senza illudere i ricattatori di poter replicare le loro nefandezze.

Il meccanismo sottile del ricatto emotivo, in una società dominata dai social e dalla diffusione incontrollata delle notizie, tende così a manipolarci a nostra insaputa, anzi rendendoci complici con le nostre reazioni. "Menti raffinatissime" e l’intelligenza artificiale possono cioè indirizzare l’opinione pubblica rendendo sempre più effimero il confine tra percezione e realtà.

L’eccesso di informazioni e le infinite interconnessioni possono condurre a sfruttare il senso di frustrazione che deriva da congiunture create ad hoc difficilmente riconoscibili e ancor più difficili da contrastare se percepite come veritiere (se non anche dogmatiche) da una parte della popolazione.

Primo passaggio è il rendersi conto del problema e chiedersi se l’evento sia stato causato proprio per avere una reazione istintiva di disprezzo e ribellione all’evento. Le guerre in Ucraina e in Palestina possono fornire un infinità di esempi dove vittime innocenti (addirittura neonati) vengono utilizzati per sfruttare la nostra sensibilità, accrescendo odi e rancori e rendendo volutamente difficile, distinguere il bene dal male.

Sarebbe opportuno che prima dell’inevitabile avvento dell’intelligenza artificiale riflettessimo su quanto è facile provocare tragedie per sfruttarne le reazioni emotive, salvando un ostaggio, ma inducendo situazioni per cui se ne rapiranno sempre di più, generando un fiorente mercato.

 

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