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Storie valdesi: Jeanne Bonnet, la "maestrina" partita per Riesi

di Piera Egidi Bouchard


Intorno ai lavori “ufficiali” del Sinodo ci sono ambienti, momenti, incontri che danno il senso di quella serenità e condivisione che è proprio di un variegato popolo di credenti. Ci si ritrova da tutt’Italia e dal mondo, ci sono gli ospiti stranieri delle varie chiese estere, con cui si può tranquillamente colloquiare sotto gli ombrelloni, ai tavolini del bar, mentre ragazzini e ragazzine sono pronti e divertiti ad offrire caffè e tè dietro il bancone. I bambini, poi, nei giardini del Collegio valdese, sono impegnati a disegnare nel “Sinodo dei bambini” che quest’anno s’intitola “Il laboratorio di fumetto”, così intanto i loro genitori possono tranquillamente partecipare ai lavori.

La storia è stata ricordata “al femminile”, con un delizioso momento in anteprima, la domenica sera, al Teatro del Forte: “Maestrine” è il titolo dello spettacolo, che reca come sottotitolo “Un viaggio dalle Valli valdesi a Riesi”. Di cosa si tratta?

Con l’unificazione italiana, nel Risorgimento, venne istituito il “Comitato di Evangelizzazione”: i valdesi potevano finalmente uscire da quello che gli storici hanno chiamato “ghetto alpino”, il territorio montano dove - tra una persecuzione e l’altra - vennero confinati per secoli, e portare in tutta Italia la loro testimonianza di fede, e, con essa, l’alfabetizzazione per poter accedere alla lettura della Bibbia: nei montanari delle Valli non ci fu mai analfabetismo, proprio per questa ragione teologica del “libero esame” dei testi sacri.

Le famose “scuolette Beckwith” (dal nome del loro patrocinatore, un colonnello inglese innamorato dell’epopea valdese) si vedono ancora adesso, sparse nei più impervi paesini, coi loro banchi in legno massiccio e le stufe, a cui le famiglie - se potevano - dovevano avere il compito di portare qualche tronchetto di legno.

Dunque l’evangelizzazione ebbe anche il compito sociale dell’alfabetizzazione, e il Comitato inviò in tutta Italia, e in particolare al Sud degli evangelisti, dei maestri e soprattutto delle giovanissime “maestrine”. Erano intrepide ragazze di 18-20 anni, che accettavano di andare ad aprire una scuola in Calabria, in Sicilia: loro parlavano il patois occitano delle Valli, l’italiano e il francese come “lingua colta” della chiesa; non capivano spesso una parola di quello che dicevano in dialetto i bambini a loro affidati e i loro genitori, vivevano in stanzoni malandati, pativano il clima diverso da quello montano a cui erano abituate, spesso erano guardate con diffidenza e osteggiate dal clero locale: che ci erano andate a fare, quelle straniere?

Io ho potuto consultare anni fa all’Archivio della Tavola valdese di Torre Pellice la corrispondenza - spesso polemica - di quelle coraggiose ragazze con il Comitato: non hanno soldi sufficienti, non hanno materiale scolastico, non hanno niente, se non la loro fede e il senso della missione a loro affidata. La loro è una storia straordinaria e perlopiù sconosciuta; è stata studiata soltanto tempo addietro in una tesi di laurea, da una studentessa, Giulia Cartini: meriterebbe una pubblicazione, magari arricchendola di aggiornamenti.

Ne è convinta la studiosa di storia e presidente della “Federazione femminile evangelica valdese e metodista “ (FFEVM) Gabriella Rustici, che al Teatro presenta lo spettacolo, inquadrandolo anche nell’esperienza pedagogica del tempo, quella “educazione del cuore” che Pestalozzi derivava dal pensiero di Jean-Jacques Rousseau.

E ora sono stati i giovani del “Coretto valdese” di Torre Pellice a farci riscoprire, con leggerezza e delicatezza, l’esperienza di una di queste ragazze, Jeanne Bonnet, la “maestrina” appena diciottenne che risponderà all’appello del Comitato, con grande autonomia e determinazione, informando i genitori solo a cose fatte, e partirà da una delle più impervie montagne valdesi, la Val d’Angrogna, dalla sua famiglia di contadini, per andare a insegnare in Sicilia, a Riesi.

Impersonata da una delle ragazze del Coretto, vestita dei vestiti chissà di quale ava, Jeanne compare filmata nello sfondo, mentre si alternano letture di brani delle sue lettere, che esprimono le difficoltà, ma anche i piccoli successi e gli affetti dei bambini e delle famiglie, e soprattutto la sua bellissima, incrollabile fede. E il Coretto di volta in volta canta canzoni tradizionali in patois o in francese, e l’antica “complainte”, la ballata tradizionale valdese “Ascoltami popolo mio” che illustra i 10 comandamenti, ancora oggi cantata nelle chiese, che si conclude con  “questa è di Dio la volontà”: frase che Jeanne ripete a sé stessa quando risponde alla sua vocazione.

E, intervallando le singole narrazioni con inni internazionali di benedizione e incoraggiamento (Irlanda, Scozia), lo spettacolo si chiude con il negro spiritual “Sometimes I feel like a motherless child”, che ci fa partecipare alla fatica e allo smarrimento che tante volte ha provato la maestrina Jeanne sola e lontana, in tante difficoltà.

Uno spettacolo prodotto con semplicità e dedizione, ma di grande significato  e bellezza.


Foto @A.V.G.


 

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