Storia del Movimento5Stelle-22. Un esperimento di democrazia digitale fallito?
Aggiornamento: 23 lug
di Giorgio Bertola
Ventiduesima puntata della storia del Movimento 5 Stelle scritta da Giorgio Bertola, consigliere regionale del Piemonte (Gruppo misto-Europa Verde), uno dei fondatori di quest'esperienza a Torino, le cui vicende entrano a far parte della scena politica italiana nel 2009. In questa puntata l'autore affronta il tema centrale dell'interno sviluppo del movimento fin dalle origini: la fiducia illimitata nella rete "come strumento di trasparenza delle istituzioni, di disintermediazione e di realizzazione della democrazia diretta". E, dunque, esempio pratica di democrazia digitalizzata, aspetto però che non trova concordi più studiosi e ricercatori e, all'opposto, trova numerosi riscontri nel populismo.
L’approfondimento delle caratteristiche della democrazia digitale e di alcune sue applicazioni pratiche ci permette di confrontare le considerazioni svolte negli articoli precedenti con il percorso politico del Movimento 5 Stelle, sia dal punto di vista della sua organizzazione, sia con riferimento alla piattaforma Rousseau[1], con lo scopo di stabilire se si possa considerare la sua esperienza come un esperimento di democrazia digitale, e valutarne il grado di successo.
Il M5S nasce e si sviluppa anche come reazione alla crisi dei meccanismi di rappresentanza descritta nella sezione precedente, e nel contesto della leaderizzazione e mediatizzazione della politica, condizioni considerate anche come ambiente ideale per lo sviluppo di soggetti politici populisti. Il M5S si autodefinisce come “movimento della rete”, senza sedi e senza referenti politici. I suoi fondatori, Beppe Grillo, ma soprattutto Gianroberto Casaleggio, possono essere definiti “cyber-utopisti”; hanno una fiducia totale nella rete, come strumento di trasparenza delle istituzioni, di disintermediazione e di realizzazione della democrazia diretta.
Ideologia populista
Dal punto di vista dell’organizzazione, il M5S è caratterizzato da aspetti che lo assimilano molto ad un partito-piattaforma (o partito digitale) come teorizzato da Sorice e descritto nella sezione precedente. Si pone come obiettivo la realizzazione della democrazia diretta online, e fa uso della rete come architettura strutturale e spazio di decisione (o di conferma di decisioni prese dai vertici). Ha una piattaforma di partecipazione accessibile solo agli iscritti, e limita il diritto di voto sulle questioni più importanti a quelli di più vecchia data[2]. È privo dell’orizzontalità tipica dei movimenti sociali; ha un leader carismatico[3], che punta sul suo rapporto con la piazza anche dal vivo, non solo sul web; per molto tempo, inoltre, il M5S è sprovvisto di quadri intermedi, sostituiti dai gestori della sua piattaforma informatica, denominati “Staff di Beppe Grillo”, ma in realtà personale della Casaleggio Associati. Sulla base di queste considerazioni, e secondo l’opinione di De Blasio il M5S, in quanto partito-piattaforma, non rientrerebbe tra le esperienze di democrazia digitale.
Per quanto riguarda invece la piattaforma Rousseau, abbiamo visto come alcuni aspetti critici siano comuni a quelli elencati da Giacomini come rischi connessi alle pratiche di democrazia digitale. Come già evidenziato, inoltre, nel M5S il rifiuto della delega e della rappresentanza, come accaduto con altri movimenti sociali, è connesso ad una impostazione populista e a una scarsa democrazia interna. Alla base dello schema ideologico populista c’è la convinzione che il popolo, portatore di valori positivi e al quale spetta la sovranità legittima, debba restaurare il proprio primato, a scapito di élite corrotte e non in grado di tutelarne gli interessi. La centralità del popolo si traduce in una esaltazione della democrazia diretta. Il discorso politico populista utilizza un linguaggio semplice e diretto. Dal punto di vista organizzativo, i soggetti politici populisti sono caratterizzati da una forte centralizzazione della figura del leader, che ha un rapporto diretto con il suo pubblico di riferimento[4].
Linguaggio semplice e diretto per fare presa sulle masse
Il M5S, fin dalla sua nascita, ha caratteristiche comuni ai soggetti politici populisti. Lo abbiamo già definito come partito personale-mediatico, con un leader carismatico che ha iniziato a costruire il suo movimento proprio con due rituali politico-mediatici, i V-Day, che lo vedevano presente e che hanno radunato un folto pubblico. Grillo utilizza un linguaggio semplice, oltre che colorito, e nega la complessità della politica, che è strumento delle élite per tenere i cittadini comuni lontani da essa e continuare a perseguire i propri interessi[5]. Allo stesso modo, viene posta enfasi sull’appartenenza dei candidati alla categoria della “gente comune”, contrapposta ai politici di professione. L’avvento della piattaforma Rousseau nei meccanismi decisionali del M5S ha senza dubbio in parte realizzato gli ideali di partecipazione di Gianroberto Casaleggio, dando voce a cittadini che si sentivano emarginati dalla politica, permettendo loro di esprimersi su scelte strategiche e di scegliere i candidati a rappresentarli nelle istituzioni, ma ha mostrato anche i limiti di un modello basato su votazioni non precedute da necessari spazi di discussione. E’ anzi diventato lo strumento col quale poche persone, i vertici del M5S, hanno scavalcato i gruppi parlamentari per imporre le loro decisioni, a seguito di votazioni online fortemente indirizzate verso gli esiti da loro auspicati.
I risultati delle consultazioni online vedono quasi sempre l’opzione vincente prevalere con uno scarto molto ampio. Il passaggio da una leadership carismatica come quella di Beppe Grillo, che dettava la linea dal suo blog e dalle piazze, a quella affidata ad un capo politico scelto dagli iscritti[6] non ha posto questi ultimi al centro dei processi decisionali. Il consenso della base, espresso per mezzo di votazioni, è stato invece usato come legittimazione della linea politica scelta dal leader e dalla ristretta oligarchia di cui Luigi Di Maio si era circondato.
Note
[1] Per un’analisi delle caratteristiche di Rousseau cfr. anche il cap. II, par. 2.2.
[2] Questo vale soprattutto per le votazioni per la formazione delle liste elettorali. L’anzianità di iscrizione è fissata solitamente a tre o sei mesi, cfr. anche cap. II, par. 2.2.
[3] Il M5S ha in realtà due leader: Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Il primo è senza dubbio il leader carismatico, ma la figura di Casaleggio, almeno nella cerchia degli eletti del M5S ai livelli più alti, non è meno carismatica.
[4] Sugli elementi per un minimo comune denominatore del populismo cfr. Baldini, Gianfranco, Populismo e democrazia rappresentativa in Europa, Quaderni di Sociologia [Online], 65, 2014, http://journals.openedition.org/qds/365, consultato il 18 febbraio 2023.
[5] Qui, a titolo di esempio, un estratto di un comizio della campagna elettorale del 2013 in cui esplicita questo concetto: https://www.youtube.com/watch?v=cfMuLN3ioLs, consultato il 18 febbraio 2023.
[6] Nel settembre del 2017 Luigi Di Maio viene eletto capo politico del M5S. Nel nuovo Statuto Beppe Grillo ha il ruolo di Garante, e la sua figura rispetto al passato è più defilata, anche in considerazione della mancanza del supporto di Gianroberto Casaleggio, che è scomparso l’anno precedente.
Precedenti puntate in:
https://www.laportadivetro.com/post/storia-del-movimento5stelle-7-la-morte-di-gianroberto-casaleggio
https://www.laportadivetro.com/post/storia-del-movimento5stelle-10-il-governo-conte-i-entra-in-crisi
https://www.laportadivetro.com/post/storia-del-movimento5stelle-14-piattaforma-rousseau-e-l-eredità-di-gianroberto-casaleggio;
https://www.laportadivetro.com/post/storia-del-movimento5stelle-15-piattaforma-rousseau-criticità;
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