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Sistemi elettorali e popolo: eterno punto interrogativo

di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi


I laburisti, con il 32.1% dei voti conquistano 411 dei 650 seggi in Gran Bretagna ed in meno di 24 ore il loro leader Keir Starmer si reca da Re Carlo III che gli conferisce le redini del governo. In Francia, con le stesse percentuali Marine Le Pen, solo terza nelle elezioni di ieri, domenica 7 luglio, rimarrà all’opposizione: i risultati del primo turno, grazie alle desistenze, sono stati ribaltati, ma adesso occorre mantenere unita una coalizione che ha poco in comune. Da notare che se i Tories avessero fatto un patto di desistenza con i nazionalisti del Reform UK di Farage (come già nel 2019) le elezioni avrebbero avuto ben altro esito con il 23,7 per cento sommato al 14.3 per cento dei secondi.

Superata la faziosità e le simpatie politiche, occorre rilevare come la “desistenza” diventi un’arma elettorale potentissima, ma che non ha portato molta fortuna ai Tories che hanno governato male per tutta la legislatura cambiando 3 volte il leader. Chissà come andrà in Francia, dove un’alleanza non certo omogenea è riuscita a fermare il RN. Quello che emerge è che si parla sempre più di seggi attribuiti, che non di orientamento popolare.

 

L’arte di commentare i risultati elettorali

Sicuramente le scuole politiche italiane sono maestre nell’insegnare come argomentare i risultati elettorali a proprio favore, ma poi governare un Paese è un’altra cosa. Capacità che sembra essersi trasferita in Francia, già declassata dalle agenzie di rating e con un deficit ormai ai livelli di guardia, in quanto, già dopo gli exit poll, la coalizione anti Le Pen ha cominciato a dividersi, ignorando che le tendenze, in termini di voti, e non di seggi, non sono quelle che trovano spazio sui mass media: trovare le percentuali di consenso è quasi una chimera.

Al di là delle attribuzioni dei seggi, bisogna avere radicate convinzioni ideologiche (se non si vuole assistere a spericolati passaggi da un partito all’altro, un fenomeno sempre più diffuso nelle democrazie moderne), una razionale visione su come far crescere la società (se non ci si vuole limitare a proferire semplici slogan) e la capacità manageriale di rendere i programmi sostenibili (per non ridursi a semplici strumenti delle agenzie pubblicitarie).

Fare di tutto per apparire vittoriosi è consigliato dagli esperti di comunicazione (Mélenchon ha esultato e richiesto di governare, nonostante la sua formazione abbia perso tre seggi rispetto alla precedente tornata), ma si rischia di sfalsare la realtà e non capire su quali binari indirizzare la società. I laburisti, rispetto alle precedenti elezioni, sono cresciuti del 1,7% non proprio uno spostamento del corpo elettorale, ma nel sistema anglosassone garantisce una stabile maggioranza per i prossimi cinque anni e la pacatezza e serietà del nuovo primo ministro dovrebbe garantire sufficiente stabilità al sistema. In proposito, Starmer non ha insultato nessuno, ma ha in più occasioni riconosciuto il valore politico di Margaret Thatcher, la premier conservatrice che ha governato la Gran Bretagna per undici anni, dal 1979 al 1990.  

Sull’altro lato dell’Atlantico le cose non stanno meglio se ad appassionare il corpo elettorale è la risata di Kamala Harris (attuale vice-presidente degli USA, oggetto di scherno da una raccolta di sue risate: non certo un problema ideologico, ma forse in grado di far cambiare il voto a molti!). Un po’ più seria è la questione della ricerca della pace che sicuramente affascina il corpo elettorale, ma che diventa facile preda di personaggi in cerca di notorietà (come dimostrano le manovre un po’ strampalate di Orban) o di quelle formazioni che pensano che invocare la pace possa far guadagnare consensi, in Europa come in America.

 

La matematica a volte è un'opinione...

Diversi sono i Presidenti americani eletti per il gioco dei grandi elettori e non perché avessero ottenuto la maggioranza dei voti. Hillary Clinton ha preso 170.000 voti in più che il suo rivale Donald Trump ma ha perso lo stesso le elezioni contando su 227 grandi elettori contro i 304 del tycoon, accettando il risultato perché quelle sono da duecento anni le regole per eleggere il Presidente.

Ma prima ancora si ricordano i casi, in ordine, di:

John Quincy Adams (1824): anche se Andrew Jackson aveva ottenuto più voti popolari e più voti elettorali, nessun candidato raggiunse la maggioranza necessaria nel Collegio Elettorale. La decisione fu quindi demandata alla Camera dei Rappresentanti, che scelse Adams;

Rutherford B. Hayes (1876): Samuel J. Tilden aveva ottenuto più voti popolari e più voti elettorali, ma vi furono dispute sui voti in alcuni Stati. Una commissione elettorale risolse le dispute a favore di Hayes, che vinse per un solo voto elettorale;

Benjamin Harrison (1888): Grover Cleveland ottenne più voti popolari, ma Harrison vinse tra i grandi elettori, assicurandosi la presidenza;

George W. Bush (2000): Al Gore ricevette più voti popolari, ma Bush vinse nel Collegio Elettorale dopo una controversa e decisiva decisione della Corte Suprema riguardo ai voti in Florida.


Autentica rappresentanza popolare cercasi...

In America, si diceva che i voti si prendono guardando a sinistra o a destra, ma poi si governa al centro: in Europa non si sa dove si guarda e come si vuole governare. I più preoccupati sono gli ebrei, che si vedono attaccati sia da destra che da sinistra e si chiedono se, per loro, non risulti conveniente lasciare il Vecchio Continente e le dichiarazioni di alcuni esponenti accrescono ulteriormente tali preoccupazioni. Gli episodi di violenza scatenatisi nelle piazze francesi, che hanno richiesto l’intervento della polizia già subito dopo il II° turno e le turbolenze che accompagneranno le decisioni economico-finanziarie a livello comunitario di fronte ad un’instabilità palpabile, pongono interrogativi su come gestire le democrazie che non possono essere lasciate a giocatori d’azzardo, come spesso vengono definiti alcuni politici.

Quello che preoccupa è come le democrazie occidentali non sappiano dotarsi di regole per raccogliere e rappresentare il voto popolare in modo uniforme: da un lato la necessità di governare e quindi di stabilire regole che portino al potere gli esponenti della maggioranza (anche se solo relativa), dall’altra la necessità di poter dare rappresentanza a tutte le componenti politico-sociali. A ciò si aggiunge che la politica la fanno persone che possono aggiungere quel quid in più, tale da trasformare anche una pessima legge elettorale in una classe dirigente qualificata.

 

 

 

 

 

 

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