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Sinodo Valdese nel ricordo di 23 "testimoni" della fede

Aggiornamento: 27 ago

di Piera Egidi Bouchard


"Una nuvola di testimoni”- secondo la potente, poetica immagine dell’apostolo Paolo nell’Epistola agli Ebrei 12,1- : così si potrebbe intitolare la prima mattinata di lavori sinodali, che tradizionalmente si apre con la commemorazione dei defunti dell’anno trascorso. Nella teologia evangelica non c’è quello che comunemente si chiama il “culto dei morti”: le tombe spesso non hanno fiori, le lapidi recano iscritti soltanto un nome e cognome, talora un ruolo, le date di nascita e di morte, ma sempre mostrano inciso un versetto biblico. Il ricordo dei defunti è un ricordo molto “laico”, e così in apertura dei lavori ad ogni Sinodo rievoca la loro vita e i loro incarichi il moderatore di turno. La commemorazione della loro esistenza terrena si conclude perciò significativamente con il canto corale di tutta l’assemblea dell’inno  della fede cristiana, “ Cristo è risorto”, sulla musica di Georg Friedrich Händel.

L’attuale moderatora della tavola valdese, Alessandra Trotta, ne ha ricordati ben ventitré, di questi testimoni: sono donne e uomini, laici, pastori e diaconi che hanno dedicato la loro vita all’impegno nella chiesa e nella società, con specifici incarichi. Nel loro percorso si riassume il fitto lavoro di tutti quei credenti che nelle varie comunità sparse in tutta la penisola hanno dato tempo, energia, disponibilità anche al più umile e invisibile “servizio”, che però fa vivere le chiese: - dal bazar all’allestimento di una sala-incontri al tradizionale banchetto-vendita dei libri - così come anche vediamo nel giardino della Casa valdese che ospita i lavori sinodali, e che ci è stato ricordato dal pastore di Torre Pellice, Michel Charbonnier nel suo saluto di benvenuto.

Di questi “23 testimoni” qui riportiamo solo qualche notizia di quelli più noti, e che anch’io ho conosciuto, e spesso anche intervistato, che hanno  lasciato a noi la traccia del loro fare e del loro vivere. Innanzitutto c’è stato il ricordo di Marco Ricca, il fratello maggiore del teologo: primario ospedaliero a Firenze, cardiologo è stato autore di 130 pubblicazioni scientifiche, attento alle esigenze della persona (denunciava la “medicina sordo-muta, in cui non si ascolta né si parla, si scruta il computer anziché il paziente”); noto  per il suo impegno professionale, oltre che ecclesiastico, come presidente tra l’altro del Centro culturale protestante cittadino, venne anche eletto al consiglio comunale.


Di Fernanda Jourdan Comba, che mi rilasciò un’intervista sulla sua vita avventurosa in Uruguay con il marito Aldo, giovane pastore, ricordo l’allegria, la combattività di protofemminista: fu tra le promotrici del “Forum ecumenico delle donne cristiane” insieme anche alle cattoliche,  svolse incarichi internazionali, ed ecumenici come membro del Comitato centrale del Consiglio ecumenico delle Chiese, oltre all’impegno per i diritti umani nel mondo  in Amnesty International.

Gian Maria Grimaldi, metodista, fu pastore negli ultimi anni in Liguria, a Savona e Imperia; grande evangelizzatore, fu molto amato dalle comunità. Studioso di filosofia oltre che di Teologia, tra i vari incarichi fece parte del Comitato editoriale della casa editrice Claudiana.

Il pastore Enrico Trobia, un bolognese innamorato della Sicilia, che “percorreva, ancora in età avanzata, lunghe distanze sulla sua grande moto, in jeans e giubbotto di pelle, lo sguardo acuto e sornione“,  dedicò agli anziani oltre trent’anni di lavoro, dirigendo la casa di riposo evangelica di Vittoria, e anche poi servizi di accoglienza per i migranti.

La psicologa e psicanalista Gisella Costabel, milanese, fu impegnata nell’assistenza ai tossicodipendenti e col marito Dino Giordani nell’assistenza ai primi profughi, gli albanesi, giunti in Italia dal 1991. La intervistai sulla sua esperienza di lavoro sociale - e successivamente come professionista nella formazione pastorale - per il “Decennio ecumenico di solidarietà delle chiese con le donne” (“Sguardi di donne”, Claudiana, 2000). 

Dedita al lavoro sociale (con gli emigrati italiani in Germania e in Svizzera, poi con gli immigrati dal Sud del mondo a Siena) fu anche la pastora Giovanna Pons, una delle prime studentesse alla Facoltà valdese di Teologia, coinvolta nella lunga battaglia per il pastorato femminile, a cui infine a cinquant’anni riuscì ad accedere, lasciando il suo posto di docente di matematica e fisica nei licei. Mi consegnò la sua preziosa testimonianza per il libro curato per l’Istituto Gramsci “Il cuore della memoria”, e recentemente i giovani del Collegio valdese hanno realizzato un docufilm, con la regia di Anna Giampiccoli, intervistandola in particolare sulla Resistenza (nella casa di famiglia fu clandestinamente firmato il “Manifesto di Chivasso” sui diritti delle popolazioni alpine, e lei, ragazzina, ne fu testimone). Date le due lauree, in teologia e in fisica, fu anche impegnata sui temi del rapporto fede/scienza e sui problemi etici posti dalla scienza. A Torino negli ultimi anni fu presidente dell’ "Amicizia ebraico-cristiana", associazione ecumenica fondata da Maria Vingiani dopo il Concilio Vaticano II.

Le valli valdesi ricordano in particolare un loro figlio, Bruno Bellion, che fu pastore a Bobbio, Luserna, Rorà, Villar Perosa, impegnato in tutte le opere diaconali delle Valli, eletto membro della Tavola che firmò nel 1984 l’Intesa, con lo Stato italiano, di cui quest’anno si celebra il quarantennale,  e vicemoderatore.

Impossibile dimenticare lo spirito battagliero e polemico di Marco Rostan, quel “sessantottino” rimasto tale fino agli ultimi anni (però fu anche eletto nella Tavola), che visse con la moglie Roberta Peyrot e il piccolo Davide nella comune romana di Via Mantellini e poi in quella di Cinisello Balsamo, di cui fu anche conduttore, impegnato nella scuola serale, e nella direzione della rivista “Gioventù evangelica”, nel Movimento Cristiano Studenti, di cui poi fu presidente europeo, e in un’infinità di comitati della chiesa, in cui portava sempre il suo spirito anticonformista e dissacratore.

Recentemente "si è spenta la vita terrena" di Paolo Ricca, su cui hanno scritto molti giornali, il teologo più noto anche all’estero, conosciuto e apprezzato in ambito ecumenico, docente di Storia della Chiesa e Teologia pratica alla Facoltà valdese, membro della Commissione Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese, partecipe come osservatore e giornalista al Concilio Vaticano II. Impossibile qui ripercorrere tutti i suoi incarichi e i suoi scritti: il più recente è quello di curatore delle “Opere scelte “ di Lutero.

In una lontana intervista che mi dette nel 1997, (pubblicata in “Incontri”, Claudiana, 1998), della sua esperienza ecumenica diceva: “L’ecumenismo per me è la scoperta che Cristo è più grande della mia chiesa e che Dio è più grande del cristianesimo. In fondo la coscienza ecumenica è la scoperta della grandezza di Dio, che rimpicciolisce il quadro delle nostre conoscenze, sempre molto limitate e parziali.” Grande predicatore, ricordavo la sua predicazione “che sa arrivare nel profondo: impossibile sentirlo senza lasciarsi traportare dalla sua possente spiritualità che interroga, afferra.”   Ultimamente, a proposito delle celebrazioni degli 850 anni del movimento valdese, aveva concluso in un’intervista al notiziario  evangelico NEV: “ Essere valdesi non è qualcosa di chiuso; è qualcosa di aperto. La storia che ci precede è fatta, non la puoi cambiare, la puoi interpretare e leggere in un modo o in un altro, ma la storia valdese del domani è quella che fai anche tu che entri in questa comunità e diventi nel tuo piccolo protagonista.”

 

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