Silvio Berlusconi secondo la Cia, storie d'altri tempi o forse no
Aggiornamento: 12 giu 2023
di Maurizio Jacopo Lami
«Berlusconi secondo l'ottica di noi dell'Agenzia (la CIA n.d.r.) è un caso particolare, un uomo che non può essere semplicemente catalogato come amico o nemico, ma pare essere davvero intriso di mentalità italiana, riesce ad entrare nel cuore degli italiani. Oggi mentre lo osservavo col nostro presidente Bush ho notato che...»
Rapporto di agente della CIA a Roma dopo incontro fra Silvio Berlusconi e il presidente americano George W. Bush.
«Dobbiamo tener conto che ogni Paese ha la sua mentalità particolare. Ci sono cose che non arriveremo a capire nemmeno in cento anni». Allen Dulles , direttore della CIA dal 1953 al 1961, parlando a un gruppo di nuove reclute nel 1957.
La morte di Silvio Berlusconi, chiude davvero un'epoca per noi italiani. E' una morte che fa venire in mente mille immagini e mille ricordi: le televisioni private che prima di lui erano poco più di autoparlanti, il Drive in che sembrò una novità incredibile, l'elicottero che scende nello stadio di San Siro col nuovo presidente del Milan, il giornalista malevolo che diceva «non durerà sei mesi», gli scudetti clamorosi, l'immaginario dell'italiano medio profondamente colpito dalle sue reti televisive private, e poi la clamorosa discesa in campo, le inchieste della procura di Milano, le tante cadute e resurrezioni...
L'uomo ha davvero lasciato il segno. Fra i mille ritratti ne vogliamo aggiugere uno breve e particolare: l'idea che di Berlusconi si erano fatti nel «mondo delle ombre», cioè i servizi segreti. Perché quando si arriva come Berlusconi ad avere una carriera così eccezionale, diventa inevitabile che i servizi segreti facciano un dossier per i loro governi.
Alla CIA vi è l'abitudine quando un politico di grande levatura muore, di catalogare in modo definitivo (perché davvero nulla è più definitivo che entrare nella Porta dell'Ade) con la definizione «amico» o «nemico». Questo serve perché se mai in futuro qualcuno chiederà quel dossier si avrà già un'idea di come veniva considerato. Le eccezioni sono davvero poche
Con Berlusconi il rapporto fu davvero complicato ed ebbe fasi alterne. Nel 1994, l'anno della sua clamorosa vittoria elettorale (quando distrusse la «gioiosa macchina da guerra» infelicemente evocata dal segretario del Pds Achille Occhetto), negli ambienti investigativi qualcuno scrive in un rapporto che sul collaboratore di Berlusconi «Marcello Dell'Utri in odore di Mafia». Qualcuno della CIA, ben consapevole dell'importanza di quella voce (vera o falsa che sia) fotocopia il rapporto e lo porta all'esterno. Ora occorreva portarlo al suo «controllore» cioè il funzionario incaricato di dirigere le operazioni clandestine in Sud Europa. L'incontro è a Berna in Svizzera, da sempre punto di raccordo per la CIA. In un bar a Interlaken, a un'ora di macchina da Berna, avviene lo scambio: il documento in cambio, naturalmente, di soldi in contanti. Dopo tutte le varie tappe burocratiche del caso la relazione arriva sulla scrivania del 42° presidente degli Stati Uniti Bill Clinton. Alcuni sostengono che per questo Clinton fu freddo con Berlusconi e fu contento delle sue dimissioni a dicembre.
A Langley, la sede della CIA, la caduta di Berlusconi viene addirittura considerata un «proprio» successo. Bisognerà aspettare il 2001 con l'arrivo di un'amministrazione repubblicana diretta da George Bush, per assistere ad un completo cambio di atteggiamento. Silvio diventa così l'amico fedele su cui si può contare, l'alleato dei momenti difficili. Ed ecco come si spiega la citazione iniziale dell'articolo: durante una visita di Bush a Roma un agente dei servizi segreti fu colpito da un episodio particolare. Il presidente americano era in ritardo, faceva un caldo pazzesco, e Berlusconi, pur con tutti i pensieri che doveva avere, si preoccupò di mettere la banda di carabinieri all'ombra e si mise a parlare amabilmente con loro. La conclusione fu che questa «amabilità» era la spiegazione del rapporto particolare di Silvio con l'elettorato. Un giudizio positivo, insomma.
Poi però vennero tempi diversi. Su tutto i continui scambi di di informazioni e favori fra Silvio Berlusconi e il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. Questo particolare modo di fare diplomazia preoccupò moltissimo i servizi atlantici: Berlusconi non criticava mai il presidente russo e dava per scontato che avesse sempre ragione. Gli anni passarono, le fortune politiche di Berlusconi cominciarono a declinare. Poi Putin scatenò la guerra che ha creato una tremenda frattura alla speranza di creare rapporti internazionali finalmente basati su criteri di pace.
E Berlusconi, proprio alla fine della sua lunga e straordinaria esistenza, disse la frase che non avrebbe mai dovuto pronunciare: «Putin voleva mettere delle brave persone al governo di Kiev» Davvero imperdonabile. Adesso a Langley, in Virginia, qualche impiegato di alto livello, incaricato di visionare i dossier del Sud Europa, starà rileggendo i rapporti su quest'uomo dai mille volti e decidendo come chiudere definitivamente la scheda di Silvio Berlusconi.
Pulvis eras et pulvis reverteris.
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