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SETTIMANA FINANZIARIA. Vince la strategia "Usa-exit"

a cura di Stefano E. Rossi

a cura di Stefano E. Rossi


Dopo tanti annunci, partono i dazi di Trump all’Europa. Per l’automotive è una brutta botta, impatteranno per un +25%, non è uno scherzo. Lo dimostra anche la scelta della decorrenza, posticipata di un giorno da inizio trimestre: non sarà il primo d’aprile, ma mercoledì 2. Però, per un settore come questo, già alla canna del gas e affossato dalla concorrenza cinese, certe imbeccate a facili umorismi paiono fuori luogo. Sono in gioco i posti di lavoro dei dipendenti delle case automobilistiche e di quelli che confidano nella sopravvivenza delle molte aziende dell’indotto. Per i manager delle marche europee, diventerà ancor più problematico assecondare le pressanti richieste dei vari Governi, che pretendono il rispetto dei piani d’insediamento produttivo e maggiori garanzie occupazionali. Guardando in casa nostra, se si crede ancora nell’industria e nel suo indotto è giunto il momento della verità. Occorre tornare a sostenerlo e con urgenza, finalmente con un piano serio e sostanzioso per battere la competizione con gli altri Stati. Altrimenti, anche questo si aggiungerà presto alle grandi rinunce del passato, più o meno rimpiante, come la chimica, la farmaceutica e la discussa energia nucleare.

Sul fronte del commercio internazionale, tutte le imprese italiane stanno predisponendosi a una vera e propria strategia di USA-Exit. L’export statunitense è di difficile sostituzione. Per darne la misura, rappresenta oltre il 10% del nostro interscambio estero. È di poco inferiore a quello verso la Francia o la Germania e, da tempo, stava tenendo un buon passo di crescita (+3%, la variazione nel 2024), al contrario degli altri (rispettivamente -1% e -4%, sempre nel ‘24). L’alternativa sarebbe quella di trasferire una quota delle produzioni negli Stati Uniti, assecondando le intenzioni del Presidente americano. Che lo si voglia o no, è una soluzione poco praticabile per la maggior parte dei marchi del made in Italy, specialmente quelli meno dimensionati.

Quindi, molti Consigli d’Amministrazione si stanno riunendo in questi giorni non solo per approvare i bilanci, ma anche per confrontarsi su come riorganizzare le strutture aziendali e rivedere le strategie. Non è mai parso così necessario sconvolgerle da un anno all’altro. Ma, paradossalmente, a sostituire il previsto calo dell’export con le vendite in nuovi mercati meno esplorati, potrebbero venire in soccorso proprio le mosse scoordinate di Trump.

Da un lato sulla Cina, che in questo clima punitivo indiscriminato, potrebbe essere preferita dall’Europa negli scambi, invece che danneggiata dai dazi. Dall’altro lato, le recenti aperture prospettate dall’Amministrazione americana alla Russia, che potrebbero addirittura estendersi alla revoca delle sanzioni, si rivelerebbero inaspettatamente vantaggiose per le nostre imprese esportatrici. Premesso che è da vedere se anche l’UE volterà pagina, scegliendo di allinearsi alla cancellazione delle sanzioni. Di certo, si troverebbe in contrasto con l’attuale linea di politica estera a trazione franco-tedesca, finora ostile all’avvicinamento alla Russia e vincolata alle prospettive di difesa armata, da orientare proprio sul fronte a est. Quasi sicuramente, la maggioranza degli europei non comprenderebbe il voltafaccia.

Ma se gli USA riprendessero a fare affari in Russia, difficilmente le singole nazioni comunitarie resterebbero a guardare. E allora, le giravolte della teutonica realpolitik o le pressioni lobbistiche potrebbero indurre il Vecchio Continente a evitare la disgregazione e, alla fine, consentirgli di aggirare un limite finora impensabile da valicare. In fondo, vale sempre il pragmatico business is business.

Tornando alle imprese italiane, indipendentemente dalle opportunità che si prospetteranno, cioè quelle di potersi rivolgere a un mercato piuttosto che a un altro, la flessibilità negli orientamenti commerciali e la prontezza di riallocazione delle strutture di vendita che si erano rivelate vincenti con l’applicazione delle ritorsioni a Mosca, pur con grande difficoltà, rappresentano una positiva precedente best practice da cercare di replicare al meglio a partire dal 2 aprile.

Piazza Affari: c’è chi scende e c’è chi sale. E quando l’intero listino scivola sulla solita buccia di banana lanciata dalla Casa Bianca, come giovedì, ben presto si rialza.

Va su Telecom. Prosegue a crescere, per tutta la settimana, sulle floride prospettive degli utili futuri stimati dieci giorni fa da Barclays Research. Piede sull’acceleratore anche per Ferrari, che tra giovedì e la prima mattina di venerdì corre di fino a toccare un +7,43%, perdendo però posizioni in vista del traguardo di fine giornata. È piaciuta la decisione di (ri)prezzare abbondantemente i listini, anche se è stato fatto solo negli USA. Con l’aumento dei margini, verranno annullati gli effetti del calo delle vendite causato dai dazi. Toccherà a chi può permettersi il lusso di acquistarla il "sacrificio" di pagarla più cara. Se vuoi far l’americano devi pagare dazio, verrebbe da commentare.

Penalizzata, invece, Prysmian. Il titolo inverte la perdurante tendenza di crescita, a causa della revisione delle stime sugli ordinativi dei cavi per le connessioni energetiche. Le previsioni precedenti si basavano sulla realizzazione di colossali giga-factory, esigenza a prima vista ineludibile per l’industria tecnologica digitale, ma che ora parrebbe ridimensionata. Lo shock è stato provocato da DeepSeek, la digital farm cinese che aveva risposto al lancio dei programmi evoluti di intelligenza generativa delle big tech americane, come ChatGPT. A inizio anno se n’è arrivata con un applicativo ugualmente performante, fatto senza l’impiego degli analoghi e costosi, oltre che energivori, impianti industriali. Ora Microsoft, per prima, sta abbandonando la realizzazione di alcune strutture fisse di maggiori dimensioni e si ritiene che altri competitor a breve la seguiranno.

Infine, ci sono i titoli sottili, quelli con volumi limitati e poche transazioni di borsa. Per loro caratteristica, si confermano più imprevedibili e preda di facili entusiasmi o d’improvvise depressioni. È il caso di Ambromobiliare, cresciuta la settimana scorsa del +14,15%. Questa volta, in un identico lasso di tempo, è letteralmente crollata del -11,54%. Identica sorte per SAP, dapprima su del +12,66% e poi giù del -9,47% la settimana successiva. Avendole qui trattate, le elidiamo dall’odierna rassegna dei migliori e peggiori, che si riferirà quindi alle sole quotazioni al listino FTSE MIB.

 

Il Borsino della settimana – rassegna dei migliori e dei peggiori titoli

I Tori: Telecom Italia +7,28%, Banca Mediolanum 4,04%,

Gli Orsi: Prysmian -8,41%, ST Microelectronics -7,28%

FTSE MIB: -0,76% (valore indice: 38.739)

 

 

 
 
 

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