SETTIMANA FINANZIARIA Battaglia dei tassi negli Usa
a cura di Stefano E. Rossi
Ieri, giovedì 30 gennaio, i tassi di sconto delle due più influenti economie occidentali hanno subito gli effetti di decisioni opposte. La Fed ha lasciato invariato il tasso sui Federal Funds, all’interno del range 4,25-4,50%, la Bce ha invece ritoccato il tasso di riferimento sui depositi, riducendolo dello 0,25 per cento e portandolo al 2,75%. Così, si amplia ulteriormente il divario sui due tassi d’interesse. Perché…? Se lo chiede anche Trump.
A dirla tutta, il Presidente Usa era già partito in anticipo. Infatti, in campagna elettorale disse “chiederò la riduzione immediata dei tassi”. Adesso, oltre a definirsi molto più esperto della Fed in questa materia, ecco cos’altro ha scritto sulla sua pagina social, in un attacco frontale al chairman della banca centrale: “Jay Powell e la Fed hanno fallito nel risolvere il problema che avevano creato con l’inflazione, io lo risolverò…”. Pur in aperto contrasto con la realtà, come vedremo a breve, lasciamo pure a una maggioranza degli americani il piacere di sognarla.
I motivi di fondo delle due scelte di politica monetaria risiedono in differenti approcci tecnici, anche se il compito che entrambe le banche centrali devono affrontare è il medesimo: il governo delle masse monetarie rispetto alle pressioni inflazionistiche e alla velocità di espansione dell’economia.
Proviamo a spiegarlo meglio. Il primo aspetto riguarda il contenimento della crescita dei prezzi, cioè l’inflazione. Molte possono essere le cause. Può essere da domanda o da costi, interna o importata, da speculazione, da politiche fiscali o altro ancora. Sulla maggior parte delle variabili le istituzioni monetarie, come Bce e Fed, possono poco ed eventualmente in modo indiretto. Invece, sul governo delle masse monetarie hanno la possibilità e la missione d’intervenire direttamente. Quando la velocità degli scambi monetari accelera, tende a salire l’inflazione. Accade nei casi in cui la Bce immette nuova liquidità sul sistema oppure quando le banche commerciali aumentano le concessioni creditizie a vantaggio dei loro clienti, facilitate dalla minore onerosità del tasso di riferimento. In soldoni, per l’impresa e il cittadino comune di una qualsiasi economia di mercato, la convenienza o meno di accedere al credito oppure quella di risparmiare anziché spendere dipende dal livello del tasso di sconto.
Il secondo punto di attenzione attiene alla crescita economica. Se un’economia corre, significa che i cittadini e le aziende preferiscono aumentare i loro consumi o le spese per investimenti produttivi, invece di immobilizzare la liquidità incrementando i risparmi. Le imprese vendono di più, quindi crescono, e assumono. Se i percettori di reddito aumentano, perché migliorano i livelli occupazionali, lo scambio di merci e di denaro si amplifica ulteriormente. In queste condizioni, la maggior circolazione di moneta può diventare uno dei principali motori interni d’inflazione. Concludendo, una politica dei tassi espansiva (quando scendono) o restrittiva (quando salgono), da parte delle banche centrali, può indurre rispettivamente l’accelerazione o la frenata dell’inflazione.
Negli Usa, l’interpretazione dei segnali macroeconomici ha consigliato prudenza. Stanno registrando una buona crescita del Pil, pari al 2,5%, la disoccupazione resta bassa, al 4,15%, e i salari medi sono aumentati in un anno del 4%. L’inflazione è come da noi, al 2,4%, ma preoccupa la possibile tendenza futura. Si sa che a Washington quest’anno la banca centrale agirà in riduzione, ma per ora ha preferito attendere altri segnali di raffreddamento del ciclo economico.
In Europa invece molti indicatori sono differenti. Il Pil è sceso allo 0,9% (anzi, la Germania è addirittura sotto e segna un –0,2%), la disoccupazione è salita al 6,3%, la fiducia delle imprese è negativa e ancor di più quella dei consumatori. L’inflazione non preoccupa, è al 2,4% ed è considerata sotto controllo, benché sia ancora sopra l’obiettivo del 2,0%. Quindi, senza i timori di una ripresa inflazionistica e in presenza della stanchezza di tutti gli indicatori di crescita, i cordoni si sono allentati.
La scelta del taglio dei tassi della Bce, secondo gli analisti, sarebbe il primo di una serie di tre riduzioni che la banca centrale si appresterebbe a fare nei mesi a venire.
I riflessi della manovra toccano in modo più o meno marcato tre aspetti. L’andamento dei cambi tra le valute, come quello Euro Dollaro, la curva dei tassi di breve termine e, da ultimo, il corso delle azioni quotate sui mercati europei.
Andiamo subito agli effetti della variazione dei tassi sull’indebitamento dei consumatori e delle imprese che risiedono nell’area Euro. In alcuni casi ci saranno vantaggi. Riguarderanno i prestiti e i mutui, ma solo per il pagamento delle rate calcolate a tasso variabile, che sono quelle influenzate in modo più diretto dalle politiche monetarie e dai riverberi sui parametri di tasso del finanziamento.
I risvolti sui cambi sono ancora in corso e, mentre ieri non ci sono stati scossoni, la giornata di oggi vede uno scivolone dell’Euro che non trova ancora in serata un supporto per fermarsi. Ne riparleremo al prossimo appuntamento settimanale.
Ultimo punto. Le Borse Valori europee ieri sono salite tutte. L’andamento settimanale ha fatto registrare punte di circa il +3% sulle piazze di Amsterdam e Madrid. L’unica a non muoversi è stata Piazza Affari. A mangiarsi un guadagno quasi certo è stata la quotazione dell’azione ST Microelectronics. Nella sola giornata di giovedì è scesa del 10% per la diffusione degli ultimi dati trimestrali. A causa del suo peso ha determinato, da sola, un andamento anticiclico dell’intero listino di Milano rispetto alle altre piazze europee.
Questa settimana la Borsa di Milano ha avuto un andamento mollemente positivo e, come anticipato, è stata l’unica a non approfittare della riduzione dei tassi Bce. Pochi gli spunti. Le attese per i dati di bilancio sono ancora premature, anche se alcune comunicazioni relative all’ultimo trimestre 2024 hanno depresso alcuni titoli, su tutti ST Microelecronics, appunto. Dalla visione settimanale, emerge anche un ribasso di Prysmian. La società specializzata nella produzione di cavi era cresciuta notevolmente negli scorsi 40 giorni, da prima di Natale. Ma dopo uno scossone tra lunedì e martedì, pare stia riprendendo valore e gli analisti non si sono sbilanciati su interpretazioni negative, ma solo di prudenza. Quindi il movimento riflessivo settimanale potrebbe riguardare solo le conseguenti prese di beneficio degli azionisti dopo i recenti rialzi.
Il Borsino della settimana – rassegna dei migliori e dei peggiori titoli.
I Tori: IVECO +4,74%, Telecom Italia +4,16%
Gli Orsi: ST Microelectronics -10,15%, Prysmian -6,47%
FTSE MIB: +0,78% (valore indice: 36.471)
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