Schlein come Sisifo o riuscirà a battere i "signori delle tessere"?
- Mauro Nebiolo Vietti
- 9 mar 2023
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di Mauro Nebiolo Vietti

Sono tra i molti che davano Stefano Bonaccini vincente e sono tra quelli che si chiedono perché abbia vinto Elly Schlein ai gazebo, dopo aver perso nel voto tra gli iscritti. Lascio ad altri riflettere sulle speranze e delusioni che l’elezione di Schlein evoca, compresa qualche valutazione velenosetta, letta e così interpretata sul sito de La Porta di Vetro, che pare più che altro ispirata al timore di una ventata innovativa che privi di ruolo qualche posizione politica marginale o secondaria; mi chiedo invece quali siano le cause che hanno premiato un candidato respinto dall’apparato di partito ma, per una spiegazione esauriente, devo andare indietro nel tempo ricostruendo una vicenda personale.
Nel 1968 ero un giovane universitario iscritto al PSDI e collaboravo con persone impegnate nel sociale (un presidente dell’Ordine dei medici, un ex dirigente del movimento Comunità di Adriano Olivetti, un avvocato membro di una precedente giunta di Torino, uno storico noto a livello nazionale, un professore universitario di Lettere antiche sui cui testi tutta la gioventù liceale di Torino ha studiato greco ed altri ancora di alto livello culturale). Li incontravo ai direttivi (partecipavo a titolo consultivo come rappresentante giovanile), nelle commissioni di lavoro ed andavo ad ascoltarli quando il partito li designava a partecipare a dibattiti o incontri pubblici. Essi occupavano altresì cariche elettive o partecipavano all’amministrazione di enti strumentali.
Già allora si rispettava un criterio di partecipazione sulla base degli iscritti e c’era già qualche piccolo raggruppamento organizzato a cui si offriva qualche spazio in seconda o terza fila; poi questa tendenza si è sviluppata e sono nati i potentati delle tessere che hanno iniziato a reclamare ed ottenere ruoli di primo piano; naturalmente emergevano persone che non portavano alcun contributo al pensiero politico e, anzi, allontanavano quelle che invece avrebbero potuto gestire ruoli di rappresentanza con competenza, ma che, ahimè, non erano capaci (o non volevano) dedicare tempo a raccogliere iscrizioni al partito.
In una ventina di anni il partito si è ridotto ad offrire ai suoi elettori soltanto “i signori delle tessere” che disponevano di sufficienti “truppe cammellate” per imporre la loro presenza, senonché l’elettorato non ha apprezzato le alchimie di potere e l’assenza di idee all'interno del partito fondato da Giuseppe Saragat.
In qualche modo quella tendenza si è sviluppata anche nel PD, ove l’operazione è stata condotta con più discrezione ed intelligenza, ma pur sempre nella stessa logica; anche nei Dem l’apparato non svolge più la sua funzione di collegamento con il territorio, ma si è trasformato in uno strumento per gestire il potere. Faccio un esempio, risalente nel tempo, ma utile a comprendere le dinamiche interne: all’epoca dell’inchiesta della magistratura sulle spese pazze dei consiglieri regionali, furono coinvolti nel Lazio due consiglieri del PD e il partito dichiarò solennemente che mai li avrebbe ricandidati nelle successive elezioni regionali... fatto e mantenuto. I suddetti sono stati eletti (rectius nominati) in Parlamento perché la corrente di cui facevano parte non poteva fare a meno del loro pacchetto di iscritti. Si tratta di un episodio modesto, ma significativo.
Un partito dovrebbe offrire ai suoi elettori personaggi in cui questi possano specchiarsi, ma oggi non è possibile perché l’apparato deve conservare e difendere i suoi portatori di voti al fine di non danneggiare qualche potentato con l’effetto di entrare in una logica di autoconservazione che determina però, come effetto negativo, l’isolamento rispetto all’opinione pubblica. E il PD oggi è un amalgama di correnti non di pensiero, ma di potere che ha scelto Bonaccini con l’evidente obiettivo di continuare come con Enrico Letta che ha governato il partito senza disturbare più di tanto la logica delle correnti.
L’errore dei potentati PD è stato quello di offrire la propria immagine al pubblico senza rendersi conto che l’elettore non ama chi esprime potere senza idee, esattamente come hanno fatto nel passato “i signori delle tessere” del PSDI ed allora ha reagito votando un’alternativa. E’ tutto da vedere se Schlein sarà in grado di innovare, per ora rappresenta soltanto una scelta antisistema e le possibilità che dia un contenuto concreto alle proprie idee non sono brillanti; i potentati interni sono stati soltanto bloccati, ma non neutralizzati e non si vedono - al momento - segnali di ripensamento.
Schlein oggi rappresenta soltanto un’aspettativa; dovrà individuare gli interessi collettivi che si vuole difendere e, conseguentemente, battersi per i relativi diritti; se lo farà dovrà superare il complesso del voto che ha bloccato i dirigenti del PD per anni. Il timore di perdere consensi elettorali li ha frenati con l’effetto di non riuscire ad esprimere una posizione netta; basti pensare che la politica della destra finalizzata a favorire l’evasione fiscale di alcuni ceti, ha provocato piccole e deboli proteste da parte del PD. E’ vero che una scelta diversa porterebbe ad un’eventuale perdita di consensi, ma probabilmente permetterebbe di recuperarne altri perché il segnale di una sinistra che torna con forza sulla scena politica è atteso dai molti che non hanno voluto dare ascolto alle indicazioni di un apparato stanco e silente.
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