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STEEME COMUNICATION snc

Scenari e prospettive per la pace in Ucraina al Polo del '900

di Vice


Domani dalle 16,45 al Polo del '900, si discuterà con la Porta di Vetro in collaborazione con la Fondazione Gramsci su "La Pace in Ucraina. Tra realtà ed utopia". Nell'incontro, dopo l'introduzione di Gianguido Passoni, saranno presentate relazioni di Michele Ruggiero, La "travolgente avanzata" dell'idea di guerra sui sentimenti di pace; di Stefano Rossi, L'UE di fronte alla guerra. Le reazioni della società e delle istituzioni; di Germana Tappero Merlo, Ucraina e Russia. Le ragioni di una pace difficile nell'odierna civiltà degli scontri; di Michele Corrado, La resistenza ucraina al gigante russo in una guerra convenzionale; Seguirà dibattito anche alla luce degli ultimi avvenimenti sintetizzati nell'articolo.


"La controffensiva ucraina affronta un nemico scoraggiante quasi quanto i russi: il terreno. Ovvero, 21 miglia di ostacoli". Così un articolo pubblicato dal New York Times che racconta l'iniziativa ucraina di cui si è parlato per mesi, ma che non dà segnali di cambiamento dal suo inizio. Quasi una "drôle de guerre", la “strana guerra” che ci riporta all'inizio della Seconda guerra mondiale sul fronte francese, ma che potrebbe trasformarsi, come ha avvertito il capo dello Stato Maggiore Usa in un'operazione "lunga e sanguinosa". Una prospettiva che entrambi i contendenti vorrebbero evitare. Sia Putin, sia Zelensky, sebbene per ragioni tendenzialmente opposte, ma per alcuni versi simili, sanno che la situazione di stallo offre più rischi che vantaggi, soprattutto sul piano interno, perché la propaganda nazionalista (unita alla repressione) si espone sempre ai contraccolpi che derivano dalle fragilità di una società, soprattutto se in guerra. E questo vale per il presidente ucraino Zelensky, il cui popolo, entrato nel diciassettesimo mese di bombardamenti, è comprensibilmente stremato e comincia ad interrogarsi legittimamente sugli altri "vantaggi" materiali per la qualità della vita che il paradiso dell'Occidente potrebbe garantirgli oltre alle armi che il suo leader ha ottenuto con estrema generosità. E ciò si riverbera sulla Russia consapevole che non potrà vincere la guerra contro l'Ucraina se non rovesciandole addosso l'arsenale nucleare, cioè il preludio alla catastrofe generale. Del resto, l'operazione speciale si è trasformata in una guerra contro il mondo intero, contro quella parte che vi partecipare direttamente con l'invio di armi, e l'altra che sta a guardare, vuoi per prudenza, vuoi per secolare strategia. Così Putin e il suo Stato maggiore sono oggi all'angolo. Forse lo sono, senza saperlo, fin dall'inizio dell'invasione, dal 24 febbraio 2022, quando hanno scoperto con stupore che il "ventre molle" ucraino apparteneva al passato e non era certo più lo stesso dell'annessione della Crimea nel 2014. Anzi. All'operazione speciale del Cremlino si è contrapposta l'esercizio bellico che non ha eguali per potenza tecnologica e capacità di fuoco di Washington e del suo doppio Nato, da tempo mobilitati sullo scacchiere geopolitico e militare per tagliare le unghie alla Russia e alle sue mire annessionistiche sul Donbass e mandare, in sincro, anche chiari ammonimenti ai partigiani del multilateralismo.

Ora, paradosso della conseguenza, con queste premesse l'ipotesi di un negoziato tra Ucraina (sostenuta dall'Occidente) e Russia è meno remota di quanto non lo fosse appena alcune settimane fa. Ad accreditare la soluzione di un avvicinamento delle parti in guerra ha concorso la spinta alla pace in cui si è distinta la diplomazia del Vaticano con la missione a fine giugno a Mosca, su incarico di Papa Francesco, del cardinale Matteo Zuppi. Ma, al netto delle migliori intenzioni diplomatiche che in questi mesi hanno spaziato dalla Cina alla Santa Sede, gli spiragli si devono al vero dominus di questo conflitto, cioè agli Stati Uniti, a chi ha il potere di decidere in un senso o in un altro in seno all'Alleanza Atlantica e al mondo occidentale. Tutto il resto, per usare le parole di Califano "è noia".

Infatti, non appena i più importanti quotidiani statunitensi, New York Times Washington Post e Wall Street Journal, hanno messo a disposizione dell'opinione pubblica le cosiddette notizie riservate provenienti dai vertici politici, militari e dell'intelligence, secondo una prassi tempistica oramai consolidata, si è avvertito un rovesciamento del clima e la parola negoziato ha raccolto un sempre più alto indice di gradimento, di concretezza e di speranza. In particolare, dopo le rivelazioni del Washington Post sul viaggio in Ucraina settimane fa di William Burns, capo della Cia, al quale Zelensky avrebbe chiesto l'avallo per un piano di avanzata verso la Crimea, e la telefonata dello stesso al suo omologo russo Sergei Naryshkin, direttore del servizio estero dell’Fsb, per confermare la totale estraneità statunitense all'ammutinamento orchestrato dall'allora capo della Wagner Evgeny Prigozhin, gli scenari più foschi di guerra guerreggiata si sono trasformati in guerra contrattata. E la parola vittoria, anche in lingua ucraina, sebbene Biden abbia deciso di sostenere Kiev con i missili a lunga gittata Atacms, come pubblicato dal Wall Street Journal, avrebbe ora un suono un po' troppo impegnativo (e pericoloso) per quello stesso mondo che ha deciso di umiliare la Russia.

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