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Sanità in Calabria: cura delle persone o "spinta" alla disuguaglianza sociale?

Olga Melodia

Aggiornamento: 4 minuti fa


di Olga Melodia


Primi di dicembre 2024: "Strutture vecchie, carenze di personale e medicamenti che non arrivano. Sono i disagi che malati e disabili devono affrontare ogni giorno nella Piana di Gioia Tauro. Se la politica non ci dà risposte, lo farà la magistratura", è il grido di un gruppo di cittadini che oggi ha depositato un esposto alla procura di Palmi. Denunciano servizi inesistenti e disinteresse della politica", presentazione di un servizio della TGR Calabria.

Ieri, 29 gennaio, "Sanità vibonese al collasso, le voci dei cittadini - Dentro la notizia", denuncia LaCPlay, emittente calabrese.

Ma che cosa accade nella sanità della Regione Calabria? La riflessione di Olga Melodia che parte dalla situazione che si registra nel territorio di Gioia Tauro.

 

La sanità nella Piana di Gioia Tauro non è un semplice problema di risorse insufficienti o di strutture sanitarie carenti, ma l'indicatore acuto di una disuguaglianza che affonda le radici nella struttura stessa del nostro Stato. Il tema della salute si trasforma, in questa realtà, nel segno visibile di una disparità che si radica nella geografia, nell’economia e nelle scelte politiche di un paese che si definisce democratico. 


La sanità come strumento di giustizia sociale

La Piana di Gioia Tauro rappresenta un microcosmo di una problematica che travalica i confini regionali e si estende a molte delle aree periferiche del Mezzogiorno: l'accesso ineguale ai diritti fondamentali, primo fra tutti quello alla salute. Qui, la disuguaglianza non si limita alla carenza di strutture o alla scarsità di risorse, ma si esprime attraverso una vera e propria marginalizzazione della comunità, costretta a fare i conti con un sistema sanitario che non riesce a rispondere alle necessità quotidiane dei suoi cittadini. Questo fenomeno della “migrazione sanitaria” diventa una chiara testimonianza di un sistema che, non solo geograficamente, ma anche economicamente, rende il diritto alla salute un privilegio di pochi. 

Il diritto alla salute è universale, come sancito dalla nostra Costituzione. Tuttavia, in una realtà come quella calabrese, la sua applicazione sembra dipendere più dalla posizione geografica che dalla cittadinanza. La salute, come bene collettivo, dovrebbe essere un diritto garantito a tutti, indipendentemente dalla ricchezza, dalla classe sociale o dal luogo in cui si vive. Ma la realtà è ben diversa. In un paese che si definisce democratico, il fatto che in alcune regioni le cure di base siano trattate come un privilegio, anziché come un diritto universale è inaccettabile. 

Questa disuguaglianza non è una semplice questione tecnica, ma una questione politica e morale: se il diritto alla salute è un diritto costituzionale, perché esso non è garantito in modo equo a tutti i cittadini, senza distinzione di luogo o condizione sociale? La risposta a questa domanda è radicata in una disparità che non è solo legata alla distribuzione delle risorse, ma anche alle scelte politiche che spesso privilegiano le aree centrali e più ricche a scapito delle periferie. 


La sanità privata e l'americanizzazione del sistema 

Per comprendere le cause più profonde di questa disuguaglianza, possiamo rivolgerci al pensiero di Antonio Gramsci. Nelle sue riflessioni sulla “quistione meridionale”, Gramsci analizzava come le politiche centrali abbiano tradizionalmente ignorato le esigenze delle regioni del Sud, trattandole come terre di “seconda classe”. La sanità, come altri ambiti, non sfugge a questa logica: il Sud, nel pensiero gramsciano, è stato ridotto a una "periferia" che non solo è marginalizzata economicamente, ma subisce anche una vera e propria esclusione dal potere politico e culturale delle regioni centrali. 

   Questa “periferizzazione” si riflette nella carenza di risorse e nella difficoltà di accesso alle cure, mentre le regioni più ricche e centrali godono di un accesso privilegiato ai servizi. La sanità, in questo contesto, non è solo un problema di disponibilità di risorse, ma un fenomeno che evidenzia una distanza politica, culturale e sociale tra centro e periferia. Il diritto alla salute, quindi, diventa un altro segno di questa disuguaglianza strutturale, che le politiche centrali faticano a riconoscere e affrontare. 

Un altro aspetto che merita attenzione in questa riflessione è la crescente espansione della sanità privata. La privatizzazione dei servizi sanitari, con la moltiplicazione delle prestazioni a pagamento, rischia di ridurre l'accesso alle cure a una mera questione economica. In un sistema sanitario pubblico che fatica a garantire servizi di qualità, l’offerta di cure private si sta facendo sempre più pervasiva, accentuando le disuguaglianze sociali e territoriali. 

Questo processo di privatizzazione, che molti definiscono come una "americanizzazione” del sistema sanitario italiano, rispecchia il modello americanista fordista descritto da Antonio Gramsci. Che nei suoi Quaderni dal carcere, parlava di americanismo-fordismo come un sistema che, partendo dal modello produttivo di massa dell'industria automobilistica americana, tende a imporsi come un paradigma che riduce i diritti sociali a merce, subordinandoli alle logiche di mercato. In sanità, questo implica la trasformazione sia del sistema sanitario a catena di prestazioni standardizzate e non centrate sull'individuo malato, sia della salute da diritto universale a servizio che dipende dalla capacità economica del singolo. La sanità privata, infatti, si adatta alla logica del mercato, rendendo la cura una questione di capacità economica piuttosto che un diritto garantito a tutti, e allargando ulteriormente il divario tra chi può permettersi cure rapide e chi è relegato a un sistema pubblico sempre più inefficiente e sottofinanziato. 

 

Il ruolo delle istituzioni locali e il supporto statale.

In questo scenario, le istituzioni locali devono svolgere un ruolo cruciale nel garantire l'accesso equo alla salute, ma non possono affrontare questa sfida senza un adeguato supporto da parte dello Stato centrale. Non si può più parlare di sanità senza riconoscere che la sua gestione deve rispondere alle necessità reali delle comunità locali: le politiche sanitarie devono essere progettate per ridurre le disuguaglianze nelle risorse e garantire che ogni cittadino, ovunque risieda, possa accedere a cure adeguate e tempestive. 

La Calabria, come le altre regioni del Mezzogiorno, non può e non deve affrontare da sola la difficoltà di un sistema sanitario sottofinanziato e disomogeneo. È fondamentale che lo Stato, nella sua funzione di garante dei diritti, fornisca risorse adeguate per supportare queste regioni e correggere le disuguaglianze storiche. Un impegno concreto a livello nazionale è imprescindibile per garantire che tutte le regioni abbiano le stesse opportunità di accesso alle cure, rispondendo così a una logica di giustizia sociale che non lasci indietro nessuno. 

La sanità, dunque, diventa una potente metafora della disuguaglianza sociale che affligge il nostro paese. La carenza di strutture sanitarie adeguate, la difficoltà di accesso alle cure e l'inefficienza del sistema pubblico sono il risultato di politiche che non solo hanno ignorato le necessità delle periferie, ma che hanno contribuito a rinforzare un modello di sviluppo che favorisce sempre di più le aree centrali. 

La giustizia sociale, oggi, passa necessariamente attraverso una riforma del sistema sanitario che veda la salute non più come un privilegio, ma come un diritto universale garantito a tutti. Ogni cittadino deve poter godere degli stessi diritti, indipendentemente dalla sua posizione geografica o dalla sua condizione economica. La salute non può più essere vista come una merce da acquistare, ma come un bene comune, che deve essere garantito a ogni individuo.

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