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Rosario Livatino, “il giudice ragazzino”, sarà Beato

Il giudice Rosario Livatino, una lunga partecipazione nell’Azione Cattolica, morì a soli 38 anni il 21 settembre del 1990, ucciso dalla mafia girgentina, su cui da anni conduceva serrate indagini. A poco più di trent’anni da quell’ennesimo sacrificio nella lotta contro la mafia, Papa Francesco ne ha autorizzato oggi la beatificazione. Livatino sarà il primo magistrato Beato nella storia della Chiesa cattolica. La cerimonia avverrà il prossimo anno ad Agrigento, dove venne posta la “prima pietra” per il processo di beatificazione. Era il 1993, quando il vescovo dell’antica Akragas, Carmelo Ferraro, istruì un’insegnante del magistrato ucciso, Ida Abate, per la raccolta di testimonianze per la causa in ambito diocesano. Diciotto anni dopo, il 19 luglio 2011, fu l’arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, a firmare il decreto per l’avvio del processo diocesano di beatificazione, aperto ufficialmente il 21 settembre 2011 nella chiesa di San Domenico di Canicattì. E sempre a settembre, ma il 6 settembre del 2018, vi fu l’annuncio della chiusura del processo diocesano: una raccolta di documenti e di testimonianze di 4.000 pagine esaminata in questi due anni presso la Congregazione delle Cause dei Santi. Ed oggi Papa Bergoglio lo ha riconosciuto martire “in odium fidei” (in odio alla fede). Rosario Livatino fu l’ultimo ucciso dalla mafia in quell’ultima decade del Novecento. Un anno tragico che si era aperto con la morte di Vincenzo Miceli, imprenditore di Monreale (Palermo) ucciso il 23 gennaio 1990 per essersi opposto al pagamento del pizzo. Seguirono le uccisioni – e le vogliamo ricordare tutte – di Giovanni Trecroci (7 febbraio 1990), vicesindaco di Villa San Giovanni; di Emanuele Piazza (16 marzo 1990), agente di polizia strangolato e sciolto nell’acido; di Giuseppe Miano (18 marzo 1990), mafioso pentito; di Nicola Gioitta (21 marzo 1990), gioielliere; di Gaetano Genova (30 marzo 1990), vigile del fuoco sequestrato e ucciso perché ritenuto un confidente della polizia; di Giovanni Bonsignore, (9 maggio 1990), funzionario della Regione Siciliana; di Calogero La Piana (31 luglio 1990), ucciso perché testimone di un omicidio. Infine, il 21 settembre ad Agrigento, sulla Strada Statale 640, cadde davanti ad un testimone oculare, Rosario Livatino. Il giudice fu freddato dai colpi di quattro assassini mafiosi al soldo della Stidda girgentina, che lo inseguirono nei campi, dopo aver speronato la sua auto. Le immagini di quella vecchia Ford Fiesta color amaranto divennero il simbolo di un giovane magistrato impegnato, capace e coraggioso, che si muoveva in un ambiente ostile e omertoso privo della scorta che gli si doveva. Livatino divenne anche l’emblema di una nuova generazione di magistrati: quei “giudici ragazzini”, come li coniarono le cronache, che qualcuno, con troppa superficialità approssimazione anche anagrafica, volle etichettare con una punta di ironia svalutante. Invece, quei giudici che tanto ragazzini all’epoca non erano, si presero sempre molto sul serio. E ancor più dopo il sacrificio di Rosario Livatino, proseguendo instancabili il lavoro giudiziario per riaffermare il senso dello Stato e la supremazia del diritto sulla violenza e sulla prepotenza.

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