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STEEME COMUNICATION snc

Riforma pensioni: ricambio generazionale addio

di Emanuele Davide Ruffino

Sulla necessità di modificare il sistema pensionistico italiano, rigido e costoso, si era tutti d’accordo (se non altro per ragioni demagogiche), su come riformarlo si è in totale disaccordo (anche qui, soprattutto, per ragioni demagogiche): risultato non si fa nulla o quasi. Addirittura c’è quasi un veto a discuterne, tant’è che a pochi giorni dalla presentazione della Legge di Bilancio alle Camere, sono più le indiscrezioni che le linee programmatiche, come ha dovuto precisare il ministro Giancarlo Giorgetti.

Atteggiamento che permette di lanciare qualsivoglia ipotesi anche oltre i limiti imposti dall’Europa, o più esattamente dalle condizioni economico-finanziarie che non permettono voli pindarici: ne consegue un clima di generale incertezza.


Tra rigidità e flessibilità

Il mondo del lavoro sta subendo significative trasformazioni e il sistema pensionistico dovrebbe adattarsi ai cambiamenti tempestivamente, affinché eventuali ritardi non gravino sull’efficienza e sulla sostenibilità della previdenza. Invece si procede a provvedimenti provvisori (attuati indifferentemente sia dai governi tecnici che politici) che lasciano operatori e lavoratori nell’incertezza, dimenticando che l’incertezza, in economia costa, e il procedere di anno in anno, modificando le quote, di per sé, presenta un costo maggiore a qualsiasi riforma.

Il sistema pensionistico, semplificando, si può reggere con una logica di tipo assicurativo-previdenziale o con una logica derivante da un accordo generazionale.

La riforma Fornero-Monti optò per un sistema contributivo, stabilendo una correlazione tra quanto versato e la speranza di vita al momento di richiedere il trattamento pensionistico. Considerato il lasso temporale su cui si sviluppa il processo, non possono essere, di certo, non considerati gli aspetti demografici, ma il citare questi (per altro ben conosciuti da anni) per bloccare il processo di riforma, appare quanto mai pretestuoso e, di fatto, inficiano il meccanismo contributivo, perché la pensione non viene più erogata in basa ai contributi, ma agli indici di natalità. In parte è anche vero, ma se si esaspera l’approccio, il singolo non è di certo invogliato ad investire nel sistema che distribuisce i benefici con parametri del tutto scollegati all’impegno profuso.

Per non affrontare il discorso si fa ricorso a condizioni sociali e casi umani: sicuramente il sistema deve considerare chi, per ragioni non dipendenti dalla sua volontà (salute, impossibilità economico-sociali, emergenze contingenti o altre giustificate ragioni) non riesce a soddisfare i parametri dei versamenti contributivi, ma il prospettare che il sistema previdenziale vada a sostituire la fiscalità generale, rappresenta una forzatura determinata da una confusione di obiettivi che rischia di creare insoddisfazione e sfiducia nel sistema, fino al punto di generare inaffidabilità.

Se il mondo del lavoro si presenterà sempre più frastagliato con pochi soggetti che potranno fruire di una carriera continuativa, agganciare l’età pensionabile non al quantum versato (effettivi incassi dell’INPS), ma a parametri rigidamente predefiniti, si creano discrepanze: a parità di età anagrafica, chi ha versato di più non può andare in pensione, mentre può, chi ha versato di meno ma in modo più centellinato. Quota 41 o 42 o quello che sarà, diventa sempre più difficile da raggiungere per le nuove generazioni, se non si riesce a realizzare un maggior ricambio generazionale.

L’unica novità tra i tanti arrangiamenti sembra essere la possibilità di riscattare i buchi contributivi: dal prossimo anno dovrebbe essere possibile per i lavoratori “contributivi” (ma non si capisce perché solo per loro, generando così altre discriminazioni e, di fatto, rinunciando ad ulteriori introiti per l’INPS) poter riscattare in maniera agevolata periodi non coperti da retribuzione con un meccanismo simile a quello del riscatto della laurea.


Tra statisti e tiriamo a campà

Sia pur in modo non automatico, ritardare oggi l’età pensionabile, ritarda la possibilità di maggior ingressi nel mondo del lavoro dei giovani. Si può affermare che per garantire una pensione discreta oggi, si compromettono le possibilità delle nuove generazioni. È evidente che attuare il sistema contributivo (già previsto dalla Legge Fornero, ma non ancora esecutivo, se non per quelli entrati nel mondo del lavoro dopo il 1995) comporta un imbarazzo elettorale, ma uno statista dovrebbe guardare alle prossime generazioni, ammesso che questo tira e molla sulle quote, sulle opzioni e sulle mancate promesse, risulti effettivamente appagante. Forse l’interesse per un singolo aspetto viene usato dalle diverse parti sociali per indicare un certo interesse alla materia, evitando così di affrontare il problema in termini generali e programmatici.

Ci sono parecchi settori del mondo produttivo italiano “vecchi” (il personale della pubblica amministrazione italiana è quello più vecchio d’Europa e non proprio quello più efficiente) e obbligare a rimanere in servizio il personale, impedisce l’ammodernamento dei processi produttivi. Non vi è certamente una soluzione valida per tutte le fattispecie, ma pensare che il legislatore, con un atteggiamento dirigista, si appropri dei contributi versati da alcuni lavoratori per favorirne altri, rischia di compromettere le funzionalità del sistema.

Se contributivo dev’essere (e al di là dei bluff, ne sono tutti convinti) prima si attua il sistema di calcolo (lasciando ai singoli la possibilità di scegliere, accettando le riduzioni, di accedere al contributo puro), meglio è per la flessibilità e la stabilità del sistema: speriamo che nel 2024 non si assista ad un ennesimo rinvio come avviene dal 2019 (quattro governi fa!).

Il ministro Calderone, sicuramente competente in materia in quanto per più di tre lustri è stata Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, conosce la materia ed ha più volte richiamato la necessità di favorire un ricambio generazionale. Tale necessità nasce dalla realtà italiana storicamente caratterizzata da lacci e laccioli che ci rendono meno competitivi verso i nostri competitor: considerazioni che però non riescono ad avere il sopravvento sulle rigidità del sistema, compromettendone sempre più l'efficienza.


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