Riforma del Csm, per il Paese è l’uscita del guado
di Maria Grazia Cavallo|
Era ed è diventata sempre più necessaria, urgente. Improcrastinabile. Tanto da essere stata rinviata per lunghissimi anni. Stiamo rappresentando una specie di ossimoro? No: stiamo parlando della riforma della giustizia e, particolarmente, di quella penale. Richiesta con ottime motivazioni dagli studiosi di diritto, sempre giustamente e disinteressatamente polarizzati verso l’attuazione dei principi costituzionali. Spesso sbandierata nei ruvidi contrasti ideologici fra opposti schieramenti politici. Talvolta – e molto più frequentemente di quanto si pensi – evocata ipocritamente ed opportunisticamente sfruttata – nella sua mancanza – al servizio di inconfessabili convenienze del potente di turno, quando attinto da qualche imprevista “freccia” giudiziaria. Ma, con la riforma Cartabia, siamo arrivati a un punto di svolta.
Le direttrici del cambiamento s’incontreranno partendo sia dal basso che dall’alto. Dal basso, trattando della concretizzazione delle leggi astratte nella “carne viva” delle persone, quando i processi ne toccano e ne cambiano la vita. Dall’alto: procedendo – con l’approvazione ieri in prima lettura alla Camera, dopo un percorso abbastanza tormentato e che a breve arriverà in Senato – alla riforma dell’organismo apicale di autogoverno della Magistratura, il CSM. Oggi affronteremo questo, per così dire, “percorso in discesa”. I tecnicismi di questa parte della riforma Cartabia non scaldano i cuori delle persone, specialmente di questi tempi. Al più vengono superficialmente liquidati come questioni corporative, fra privilegiati che vivono in un altro mondo, in una bolla protetta, sideralmente distante dalla più complicata realtà dei più. Ma proviamo a semplificare. I magistrati devono essere soggetti soltanto alla legge per poter essere autonomi, imparziali, neutrali, incondizionabili come vuole la Costituzione. Questa protezione è uno fra i fondamenti della nostra democrazia. Criteri e meccanismi di elezione dei consiglieri
Per attuare più efficacemente le garanzie a tutela della magistratura – e per ripristinare il rispetto di principi violati nelle più alte sfere (come le cronache, ed alcuni protagonisti di certi scandali, oggi ci dicono) – occorre rivedere i meccanismi di elezione dei rappresentanti apicali della magistratura. Occorre dunque scoraggiare cordate e accentramenti di potere; favoritismi illeciti; opacità di gestione nelle procedure decisionali sulle carriere dei magistrati. Certo non esiste il meccanismo perfetto; ma l’alternativa sarebbe lasciare le cose come stanno, nonostante quanto le cronache ci abbiano costretto a vedere e a sentire. Un’altra riforma è l’ampliamento del registro delle performance, che peraltro già esiste da tempo. Questa riforma è, con tutta evidenza, orientata alla valorizzazione del merito; delle capacità professionali dimostrate; delle competenze coltivate; delle integrazioni apportate nel tempo ai curricula originari. Doverosamente tale valutazione sarà orientata e presidiata dai principi costituzionali e dalla conoscenza delle caratteristiche peculiari delle procedure giudiziarie. Le quali – com’è risaputo – contengono esse stesse meccanismi di correzione degli errori ed altresì contemplano come fisiologici, anche i contrasti fra provvedimenti di segno opposto, che tanto stupiscono i non addetti ai lavori. Chi potrebbe temere la valutazione del proprio curriculum? Non siamo forse soggetti tutti, in molte professioni, a valutazioni costanti, periodiche, talvolta addirittura quotidiane? Il rebus della separazione delle carriere in magistratura
Ci potrebbero essere strumenti più efficaci per contrastare il carrierismo; lo scambio di favorì e di posti; il mercato opaco delle conoscenze e delle accondiscendenze? Forse sì, ma tutto è perfettibile. Stiamo parlando di professioni delicate, certamente. Ma non più delicate di tante altre, naturalmente soggette a costante e attenta valutazione di “sana” performatività. Ad esempio: preferiremmo essere operati da un primario preparato o da un chirurgo collocato in quello stesso ruolo da una mano amica, da una cordata di potere, da una raccomandazione politica, o attraverso uno scambio di favorì? Sono altrettanto importanti le riforme che cercheranno di eliminare la presenza eccessiva di magistrati fuori ruolo, presso vari ministeri (e non soltanto presso quello della Giustizia) o in contesti più propriamente politici. È bene che le contiguità e gli intrecci fra potere esecutivo e magistratura siano evitati per quanto possibile. Viene anche tracciata una più netta linea di demarcazione fra magistratura inquirente e magistratura giudicante. Non si tratta della radicale “separazione delle carriere”, che esigerebbe modifiche costituzionali e relativi tempi tecnici. Ma, nell’immaginario collettivo, si vorrebbe che la maglia dell’arbitro fosse di colore diverso dalle maglie delle squadre in campo. I passaggi da una funzione all’altra saranno dunque limitati, ma non vietati. È pur vero che la preparazione professionale di un magistrato potrebbe arricchirsi attraverso l’esperienza in ruoli diversi. Ma potrebbe essere anche vero il contrario: ad esempio procedendo nelle specializzazioni. Il gesto giudiziario è “corale”
D’altro canto – portando all’estremo questo ragionamento – potremmo dire che ancor più preparati potrebbero essere i magistrati che abbiano precedentemente esercitato la professione di avvocato. Non esistono postulati affidabili a questo riguardo; ed è bene che una qualche possibilità di passaggio, ancorché limitata, possa persistere per dare al magistrato la possibilità di scegliere il ruolo che sente più consono alle proprie capacità e sensibilità.
Peraltro è bene tener presente che il gesto giudiziario è “corale”. Esso richiede l’incontro e l’interazione costante fra professionalità diverse nei diversi ruoli (accusa, difesa, giudice). Ci si confronta continuamente e necessariamente, e costantemente ci si migliora a vicenda. Soprattutto la riforma del CSM è improcrastinabile perché costituisce il necessario tentativo di rimedio alla gravissima – e sottolineo il superlativo – lesione al prestigio della Magistratura. Uno sfregio inferto da pochi ai danni dei moltissimi.
La gran parte dei magistrati, infatti, svolge quotidianamente una professione complicata, che si confronta con le sofferenze e i problemi dell’umanità più varia. La persona e il professionista si confronta col peso emotivo di scelte sofferte, con la propria coscienza. Senza spettacolarizzazioni, interpretando il ruolo come servizio e non come potere. È la solita immagine del fragore dell’albero che cade nella foresta che, frattanto, silenziosamente cresce. A questi magistrati ed ai cittadini, sconcertati, è dunque dovuta questa riforma.
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