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Beppe Borgogno

Ricordo di Domenico Carpanini a ventitré anni dalla sua morte

Aggiornamento: 27 feb 2024

di Beppe Borgogno


Domani, 28 febbraio, alle 10 presso il cimitero Monumentale di Torino, si ricorderà Domenico Carpanini, scomparso esattamente 23 anni fa. Domenico morì sul lavoro, e non è retorica. E se lo è, l'ascrivo a quella retorica positiva che rende giustizia a quanti vivono la politica come totalizzante, in una dimensione univoca e senza imbarazzi nel sentirsi totus politicus. Infatti, come Enrico Berlinguer a Padova e l'allora sindaco di Roma Luigi Petroselli, Domenico Carpanini fu stroncato da un malore durante un dibattito della campagna elettorale che lo vedeva, o meglio lo voleva, candidato a sindaco dell'allora Ulivo, la coalizione di centro sinistra. Un candidato naturale. Anche se inizialmente messo nel mirino proprio dal "fuoco amico" (non un caso nella storia autolesionistica della sinistra), per capacità ed esperienza che la comunità torinese, indipendentemente dagli orientamenti politici, gli riconosceva. Domenico amava Torino perché la conosceva nei suoi interstizi, nei suoi angoli più remoti, perché era animato da una curiosità quasi primitiva, ma non rara per la politica del tempo. Dunque un riconoscimento non gratuito, ma che derivava dalla generosità profusa, appunto, senza risparmio: prima da consigliere comunale agli esordi in Sala Rossa negli anni Ottanta, poi dal 1993, numero due, vicesindaco, nella giunta Castellani.

Da quel lontano 28 febbraio del 2001, tantissime sono le cose che nel frattempo sono cambiate: nella città, nei problemi che essa deve affrontare, nella politica, non soltanto in quella locale. Anche quest’anno, domani tanti suoi amici e rappresentanti delle istituzioni si ritroveranno per ricordarlo e rendergli omaggio. Lo faranno per ciò che lui ha rappresentato, e per quello che purtroppo non ha potuto essere, il Sindaco di Torino. Anche questa volta, però, chi sarà lì a ricordare Domenico non potrà fare a meno di riflettere su quanto, a distanza di decenni, si possa ancora ritrovare nella Torino odierna l’impronta del suo lavoro e la sua idea di città. A cominciare dal ruolo da lui avuto nella costruzione della fase decisiva per avviare la grande trasformazione urbana che si è innescata dagli anni ‘90 del Novecento.

Sono davvero numerosi gli esempi concreti: il modo in cui ancora oggi a Torino si prova a legare il grande tema della sicurezza e quello della coesione, attraverso strumenti istituzionali e di lettura della città da lui creati e in gran parte ancora attuali. O ancora, passeggiando per le strade del Balon o quelle tra la spina centrale e Borgo San Paolo, luoghi a lui cari, che molto gli devono per ciò che sono diventati negli anni.

Chi domani sarà davanti alla sua tomba, non potrà fare a meno di pensare a come oggi sarebbero utili Domenico ed il suo modo di interpretare l’impegno politico ed amministrativo. Un impegno, il suo, segnato in particolare da due caratteristiche: il rigore e la passione. E dall’idea che l’opportunità di servire la comunità di cui si fa parte sia una cosa di cui sentirsi innanzitutto onorati e orgogliosi: Domenico Carpanini, infatti, non era uno che immaginasse l’impegno per la sua città come una tappa verso altri obiettivi, la fermata di un tram da prendere per poi cambiare mezzo verso altre destinazioni. Certamente no: lui conosceva ogni angolo della città, angoli dove spesso andava anche da solo e a piedi, perché pensava davvero che un buon amministratore debba vedere le cose, le persone ed i problemi, e metterci la faccia. Anzi, che questo sia il modo giusto per essere davvero un buon amministratore.

Senza mai voler dare lezioni, questi semplici ma fondamentali principi Domenico ha provato a trasmetterli a chi è arrivato in Sala Rossa dopo di lui. Insieme con l’invito, comunque, a “prenderla bassa”, e a capire che arrivare lì non era l’occasione per sedersi sugli allori e pensare al prossimo obiettivo, ma l’inizio di un percorso e di un lavoro da prendere con estrema serietà. Non per caso, indicando l’immagine di un grande amministratore del passato sulle pareti dell’aula del Consiglio Comunale, raccomandava ai più giovani umiltà “perché qui c’è stato Cavour”. Tutte cose, queste, che non sarebbero oggi affatto anacronistiche, ma invece utilissime, di fronte ad una realtà che vede la politica spesso distante, e guidata da principi e priorità così diverse.

Infine, chi anche quest’anno vorrà ricordarlo, non potrà non pensare ad altre sue grandi passioni: i libri, i viaggi, il tempo da passare con gli amici veri e, ultimo ma non meno importante, e lo scrive chi vive di fede granata, la sua passione calcistica per la Juventus, che la domenica successiva, il 4 marzo, scese in campo ad Udine con il lutto al braccio vincendo 0-2, per la cronaca.

Quando è morto, Domenico Carpanini, classe 1953, era un uomo giovane. Perciò, con un grande rimpianto, in tanti penseranno a quanti libri non ha potuto leggere, a quanti viaggi non ha potuto fare, a quanto manchi ai suoi amici. E a quanto sia mancato alla città, perché sarebbe stato, senza togliere nulla a chi lo divenne in quelle elezioni, un grande sindaco.                   

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