Report: se l'informazione cede alla macchina del fango
Aggiornamento: 5 giorni fa
di Emmanuela Banfo
Se c’è un limite da rispettare nella cronaca è quello di tutelare la dignità delle persone. E in questo senso Report, definito dalla Rai stessa il suo programma simbolo del giornalismo d’inchiesta, ha scritto una brutta pagina trasmettendo la telefonata, del tutto privata, tra l’ex ministro Gennaro Sangiuliano e sua moglie sul tradimento di lui. Un brutto scivolone che rischia di compromettere la credibilità della testata. Non importa che la moglie in questione sia una giornalista, è innanzitutto donna, in questo contesto vittima. Vittima di un marito bugiardo e ora vittima della macchina mediatica che la tira in ballo senza che lei ne abbia la minima responsabilità.
Il tradimento in sé è disonesto, va a minare il rapporto di reciproca fiducia tra due persone e, senza cadere nel moralismo, è tale da poter compromettere una relazione, comunque da metterla in discussione. Possiamo soltanto immaginare i sentimenti di questa moglie, prima tradita e poi data in pasto al voyeurismo. Il fattaccio Sangiuliano-RosariaBoccia, nella sua parte inerente la gestione della cosa pubblica, è al vaglio della magistratura ed è di interesse collettivo. Ma la telefonata tra lui e la consorte, non lo è. Non è affare di Stato. Non è affar nostro.
Il Testo Unico dei doveri del Giornalista, legge dello Stato, che fissa le norme deontologiche della professione, lo esplicita in modo inequivocabile: non pubblica i nomi di congiunti di persone coinvolte in casi di cronaca a meno che non sia indispensabile alla comprensione dei fatti; la sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche, deve essere rispettata se le notizie, i dati che s’intende diffondere, non hanno alcun ruolo di rilievo. Ancora recentemente la Corte Europea ha riconosciuto sì la prevalenza del diritto di libertà d’espressione sulla tutela della reputazione personale, ma fissando, ancora una volta, come discrimine l’interesse pubblico. Ma se l’interesse pubblico è guardare dal buco della serratura? Se prevale la sottocultura del gossip, del pettegolezzo? Ecco che sono da prendere in considerazione altri due aspetti, uno legato all’informazione spettacolo, l’altra al diritto alla privacy.
Aver sposato la logica dell’audience, dei like, è una deriva pericolosa che mette in discussione l’autorevolezza che il giornalismo deve difendere se non vuole essere stritolato, e perciò annullato, dalle miriadi di altre forme d’informazione, pseudo-informazione, diffusa in rete, nelle emittenti televisive, nella carta stampata. Il giornalismo si può salvare soltanto con la credibilità, soltanto se evita il gossip, oltre tutto gratuito, senza scopo se non quello di una curiosità fine a sé stessa. Trasformare ogni vicenda in una soap opera, in una fiction, anche piuttosto banale, svilisce il giornalismo stesso, quello che è all’origine dell’istituzione di un Ordine professionale, ovvero il riconoscimento di una sua funzione di crescita culturale, di utilità sociale e politica, in quando strumento di esercizio democratico di controllo sui poteri pubblici. Il giornalismo non ha più questo senso se ogni vicenda finisce in operetta.
Il diritto alla riservatezza nel mondo dei social è difficile da difendere. In primis perché non lo difendono i diretti interessati, i/le cittadini/e che si espongono nelle tante vetrine messe a disposizione dalla grande rete. Non per niente il Testo Unico dei Giornalisti ha bisogno di una revisione (in fase di ultimazione) basti pensare che la Carta di Treviso sui minori è nata quando i social non c’erano e, per esempio, non fa alcuna distinzione tra un bambino di 6 anni e una ragazzo di 17 anni e mezzo. Tuttavia questo non deve consentire mano libera alla categoria, piuttosto un uso molto più ragionato sulla notizia, il suo significato, l’impatto sul pubblico, le sue conseguenze. Un giornalismo sempre più responsabile, dunque, che non va alla ricerca di scoop, di sensazionalismo, di emozioni facili. Piuttosto approfondisce, solleva problemi, interroga su iniquità e inefficienze. Fa la differenza, nel bla bla generale, per rigore d’indagine, autorevolezza delle fonti, trasparenza nel suo essere a servizio della cittadinanza.
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