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Quando si aveva l’ansia da spread…

di Claudio Artusi|

Ricordiamo tutti che, quasi resuscitato da polverosi testi di economia, il termine (decisamente ai più estraneo) cominciò a circolare nelle nostre case come un’ombra minacciosa e sprezzante. Non era lo “spettro del comunismo” marxiano che si aggirava per l’Europa, ma divenne presto e rapidamente familiare come quelle abituali locuzioni che fanno da incipit a comuni discorsi: “che tempo fa oggi?”, “a che ora torni a casa?”. Fu così che fece capolino “come va lo spread?, nuovo elemento ansiogeno su cui calibrare il nostro umore quotidiano. Altrettanto presto e rapidamente, tutti appresero che il termine indicava la differenza tra i rendimenti dei nostri titoli di Stato e quelli della Germania. E per noi significava che, all’opposto di una nota pubblicità di una marca di caffè, più andava su e più ci tirava giù. Ricordiamo pure quando lo spead divenne la pietra angolare della nostra politica: fu con l’ultimo governo democraticamente eletto (guidato dal presidente Silvio Berlusconi), governo “dimissionato” manu militari dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in forza di uno spread a 500 che era insostenibile per l’Italia e necessitava di un nuovo esecutivo, garante dei creditori e, diciamolo, degli speculatori. Fu così che apparve sulla scena il primo dei “Supermario”, di cognome Monti, e che l’Italia si ritrovò a convivere per alcuni anni con un autentico convitato di pietra. Poi a un certo punto la forbice dello spread si è ridotta, stabilizzata ed è scomparsa dai nostri radar. Oscurata, in parte, anche da altri indici (correlati alla Covid). A parte il tono scherzosamente ironico del quadro che ho appena rappresentato, sappiamo bene che questo indice dà la percezione del rischio paese che i creditori hanno. Rispetto a prima della pandemia il nostro debito è molto aumentato e di conseguenza i nostri creditori sono più numerosi e più attenti alle nostre sorti. È pur vero che per la prima volta una parte di questa massa debitoria è controgarantita dall’Europa, ma ciò vuol dire altresì che ancor più del passato i nostri destini interessano molto da vicino oltre che alla finanza internazionale, ai principali paesi europei. Teniamo ben a mente questo quadro, perché mancate riforme, avventure politiche di nuove maggioranze, soluzioni opache di elezione del presidente della Repubblica, vedrebbero attori impliciti ed espliciti, suadenti ed arroganti interferire con le decisioni del paese. E si tornerà a guardare allo spread, termometro della credibilità dello stato. Con una finanza così interconnessa tutti i paesi sono “sotto tutela”, ma quelli più indebitati lo sono più di altri e l’Italia è fra questi. A questa situazione di “fragilità” non serve rispondere con posizioni muscolari, assolutamente velleitarie, ma con la credibilità dei fatti e l’autorevolezza della classe dirigente. Se qualcuno fosse tentato a dire “vedo” al tavolo da poker dell’economia globale, dia uno sguardo alle condizioni del popolo argentino dopo i due default e a quelle del popolo greco dopo la cura da cavallo della “troika”, cioè i rappresentanti della Commissione europea, della Banca centrale europea (il cui numero uno era Mario Draghi) e del Fondo monetario internazionale… Ciò che accadrà al futuro del parlamento, del governo, della Presidenza della Repubblica nei prossimi mesi, leggiamolo anche con questa lente e saremo più attrezzati per capire e valutare.

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