Punture di spillo. Povertà e fame: "Abbiamo il dovere di pensare ai rimedi"
Aggiornamento: 3 giorni fa
a cura di Pietro Terna
Il ruolo di fondatore della ricerca economica è generalmente attribuito a Adam Smith[1] che nella Ricchezza delle nazioni, [2] del 1776, cerca di comprendere l’origine di quello che chiama wealth, che si può identificare in questo caso con il concetto di abbondanza da contrapporre a scarsità.
L’inizio è illuminante:[3]
Il lavoro annuale di ogni nazione è la fonte che fornisce originariamente tutti i beni necessari e le comodità della vita che essa consuma annualmente, e che consistono sempre o nel prodotto immediato di quel lavoro, o in ciò che viene acquistato con quel prodotto da altre nazioni.
Pertanto, a seconda che questo prodotto, o ciò che viene acquistato con esso, abbia una proporzione maggiore o minore rispetto al numero di coloro che devono consumarlo, la nazione sarà meglio o peggio fornita di tutti i beni necessari e le comodità di cui ha bisogno.
Ma questa proporzione deve essere regolata in ogni nazione da due diverse circostanze: in primo luogo, dall'abilità, destrezza e giudizio con cui il lavoro viene generalmente applicato; e, in secondo luogo, dalla proporzione tra il numero di coloro che sono impiegati in lavori utili e quello di coloro che non lo sono. Qualunque sia il suolo, il clima o l'estensione del territorio di una particolare nazione, l'abbondanza o la scarsità della sua fornitura annuale deve, in quella particolare situazione, dipendere da queste due circostanze.
Che cosa determina quindi l’abbondanza o la scarsità? Il modo in cui si organizza e impiega il lavoro delle persone. Capire che cosa consegue a questa intuizione non è semplice e il librone-indagine di Smith è il primo passo in quella direzione. Smith, filosofo morale, aveva in precedenza ragionato sulla natura umana in modo molto positivo, come mostra l’inizio della sua opera forse maggiore, [4] La teoria dei sentimenti morali (1759):[5]
Per quanto egoista si possa supporre che l'uomo sia, è evidente che ci sono alcuni principi nella sua natura che lo interessano alla sorte degli altri e rendono la loro felicità necessaria per lui, anche se non ne ricava nulla se non il piacere di vederla. Di questo tipo è la pietà o compassione, l'emozione che proviamo per la miseria degli altri, quando la vediamo o ci viene fatta concepire in modo molto vivido. Che spesso traiamo dolore dal dolore degli altri è un fatto troppo ovvio per richiedere esempi per dimostrarlo; questo sentimento, infatti, come tutte le altre passioni originarie della natura umana, non è affatto confinato ai virtuosi e umani, anche se forse essi lo sentono con la più squisita sensibilità. Il più grande malvivente, il più incallito violatore delle leggi della società, non ne è del tutto privo.
Conseguenza virtuosa: il cattivo o pessimo funzionamento della realtà economica non può essere la conseguenza diretta della volontà di chi agisce al suo interno, ma è causato dal mal funzionamento del meccanismo della produzione, cui si può porre rimedio. È dal tempo di Smith che gli economisti studiano quei meccanismi e cercano di porre rimedio alle loro disfunzioni, purtroppo con poco successo, salvo alcuni momenti segnati da grandi intuizioni e dal rovesciamento di interpretazioni errate consolidate. Personalmente sono anche molto meno ottimista di Adam Smith sulla natura dei comportamenti di molti soggetti, soprattutto quelli determinanti per dimensione, come le grandi imprese oligopoliste, dove emerge la volontà di eccedere nella concentrazione della ricchezza, anche con scarsa lungimiranza, come purtroppo osserviamo in questi mesi con la vicenda della produzione automobilistica.
Ricerca sul Mondo post-globale
Se guardiamo il mondo nel suo complesso, le preoccupazioni aumentano. Come ho scritto in un precedente spillo,[6] su suggerimento del professor Mario Deaglio sto lavorando a applicare le tecniche della simulazione detta agent-based[7] – che introduce nel computer elementi di calcolo capaci di riprodurre in silico delle situazioni realistiche allo scopo di studiarne le dinamiche – al tentativo di riprodurre alcune dinamiche del Mondo cosiddetto post-globale. Come risultati preliminari presento tre planisferi prodotti dal mio modello.
Nel primo, i cerchi colorati in blu indicano il prodotto – il cosiddetto PIL, prodotto interno lordo – di ogni paese, con enormi differenze nel mondo: gli Stati Uniti sopravanzano tutti, la Cina e l’India emergono, ma calcolando il loro prodotto diviso per la popolazione a ogni abitante resta una limitatissima disponibilità di beni. I cerchi in Europa sono di minore dimensione, ma sono molti. I piccoli segni all’interno di ogni paese rappresentano gli abitanti, uno ogni 500mila. Di colore chiaro o scuro a seconda del reddito, minore o maggiore. Il 10% più ricco di ogni paese è in una tinta più scura degli altri concittadini. Qualche misura: ordinando le persone in scala decrescente di reddito pro-capite, negli USA il primo 10% è titolare del 48,3% dei redditi totali, in Cina del 43,4 e in India del 57,1 (in Italia, 39,5).[8] Tutto è relativo, i più abbienti del primo 10% in Cina o in India sono ben lontani da quelli americani o dei paesi ricchi in genere e soprattutto il 90% meno favorito è ben lontano dagli analoghi soggetti nei paesi ricchi. Una sperequazione enorme tra paesi e anche all’interno dei paesi, ricchi e meno ricchi, insopportabile di fronte a un ipotetico tribunale della giustizia tra le persone. Sottolineo che si tratta di redditi corretti secondo il potere d’acquisto, tenendo ben conto che è differente avere un dollaro da spendere negli USA o in Cina o nel paese più povero di tutti.
Si è scritto che la globalizzazione, cioè il grande rimescolamento delle produzioni nel mondo, possibile grazie alla riduzione del costo dei trasporti con i container e alle comunicazioni rapide e illimitate dell’internet, ha aiutato i paesi più svantaggiati. Le persone a rischio di povertà assoluta, è vero, sono diminuite, ma non a sufficienza e il grande progetto globale è stato travolto dalla pandemia e dall’ingordigia del capitale o delle multinazionali, che poi è quasi la stessa cosa. Abbiamo così la globalizzazione dei ricchi e quella dei poveri. I primi esportano prodotti di grande valore economico e tecnologico, ad alta complessità; i secondi prodotti di minor valore e bassa complessità, che incorporano lavoro povero.[9]
Nella seconda mappa vediamo altri cerchi, ora blu se positivi o rossi se negativi, che indicano il grado di complessità/valore dei prodotti di ogni area, con dei tratti blu (soprattutto) che indicano flussi di esportazioni ricche, ciascuno per un valore superiore ai 100 miliardi di dollari all’anno. Nella terza figura compaiono molti tratti rossi, il limite è sceso a 10 miliardi e si tratta prodotti poveri; soprattutto la spaccatura tra il Nord e il Sud del Mondo è sin troppo evidente.[10] Un esempio per tutti? Esportare litio estratto a fatica e con laboriosi trattamenti a bassa tecnologia, oppure esportare sofisticate batterie a litio-ferro-fosforo: dal rosso al blu!
Sull'orlo di una grave crisi
Il raggruppamento[11] BRICS+, cioè la collaborazione volonterosa e molto disordinata tra Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa, con tanti altri paesi in arrivo, è una risposta a questa enorme disparità? Troppo presto per dirlo, ma certo è una presenza non più trascurabile.
Che cosa si può fare con un modello come quello cui lavoro? Almeno cercare di capire se la partita è persa oppure quali sono le azioni possibile, sapendo che nessuna situazione economica, anche se apparentemente incontrastabile, è durata più di qualche decennio. Inoltre, siamo sull’orlo di una grande crisi, con le borse enormemente sopravvalutate e il buco nero delle criptovalute, destinate a restare nella storia come la più grande bolla mai vista – beninteso, sino ad ora –, con buona pace di Mr. Trump. Una crisi che spazzerà via molte esagerazioni e aprirà nuove prospettive. Quali? Essenzialmente azioni sui dazi, per agevolare il commercio di prodotti ricchi di lavoro pregiato dai paesi meno ricchi ai più ricchi se non si tratta di semplice decentramento produttivo a basso costo, e la regolamentazione dei prodotti, per la quale l’Europa è all’avanguardia, per impedire che contengano il frutto della discriminazione e della sofferenza delle persone e i danni all’ambiente.
Il nostro piccolo baccelliere di musica osserva giustamente che questa settimana lo spillo non ha alcun tratto consolatorio. Il Natale può attendere, nonostante le luci, i mercatini e la pubblicità ce lo facciano sentire vicino. Lo spillo esce il 12 dicembre e non possiamo dimenticare che oggi ricorre un amaro anniversario, quello della strage di Piazza Fontana,[12] che segnò la fine dell’utopia sessantottesca, eravamo nel 1969, e l’inizio della Strategia della tensione (ne parliamo in un altro articolo, sempre oggi, in https://www.laportadivetro.com/post/piazza-fontana-55-anni-dopo-mattarella-verità-e-democrazia-legame-etico-inscindibile). Un sofferto omaggio al nostro martoriato Paese, che qualcuno un po’ a sproposito chiama nazione, viene da Francesco De Gregori.[13] Se invece vogliamo per forza un classico natalizio, compatibile con quest’epoca fatta di sperequazioni, interessi e diseguaglianze, allora una sponda può arrivarci dai Pogues. Band irlandese post punk, legata alla figura del cantante Shane McGowan, questi sono un concentrato di eccessi e colori, voci roche e strumenti inusuali (violini e fisarmoniche, mandolini e flauti). A fine novembre del 1987 uscì Fairytale of New York.[14] Non si tratta della tipica canzone natalizia, ma di una resa dei conti fra due dimenticati. Shane McGowan canta insieme a Kirsty MacColl. New York li circonda. Il clima di festa però non li coinvolge. È Natale per tutti, ma non per loro, vittime delle loro frustrazioni e delle loro sconfitte. Siamo una società che esclude. Lo fa con le periferie come con i paesi più poveri. Non so se quella dei Pogues sia la più bella delle canzoni di Natale, ma probabilmente non è la più falsa.
Note
[1] In inglese, https://en.wikipedia.org/wiki/Adam_Smith, migliore delle versione italiana cui, volendo, si arriva dalla pagina in inglese.
[2] Testo integrale a https://archive.org/details/in.ernet.dli.2015.207956/page/n55/mode/1up?view=theater, il brano citato sta a p. lvii.
[3] Traduzione con ChatGPT 4o da https://terna.to.it/RichezzaDelleNazionLVII.jpg
[4] The theory of moral sentiments (1759), https://catdir.loc.gov/catdir/samples/cam031/2001037390.pdf
[5] Testo originale e traduzione con ChatGPT 4o a https://terna.to.it/TeoriaSentimentiMoraliPrimoCapoverso.pdf; notare l’interazione con la macchina durante la traduzione, freccia rossa.
[6] https://www.laportadivetro.com/post/punture-di-spillo-diventa-un-pallido-ricordo-la-lotta-alle-diseguaglianze
[7] https://en.wikipedia.org/wiki/Agent-based_model e, ancora per qualche giorno liberamente scaricabile, https://www.cambridge.org/core/elements/agentbased-modelling/58E1F12692775D7711C758126AF69A9B
[8] Fonte: https://ourworldindata.org
[9] Come si calcola il contenuto dei prodotti in temini di complessità è spiegato nel lavoro pionieristico che si trova a https://www.pnas.org/doi/full/10.1073/pnas.0900943106
[10] Per approfondire, a https://www.youtube.com/watch?v=xbEjBJ7XLTU si trova una mia recente relazione sull’argomento e a https://terna.to.it/TernaEquilibri.pdf direttamente le slide di cui parlo nel filmato.
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