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a cura di Pietro Terna

PUNTURE DI SPILLO. "J'accuse" di Draghi sulla globalizzazione distopica

a cura di Pietro Terna


Il discorso di Mario Draghi il 16 scorso a New York è una critica impietosa della politica economica occidentale e di quella cinese. La gara a accumulare avanzi, producendo disequilibri, ha creato ancor più disuguaglianza verso il Terzo mondo e disoccupazione in quelli che erano i paesi ricchi. Bel colpo, vien da dire. Per analizzare le ragioni di chi è stato a Palazzo Chigi dal febbraio 2021 all'ottobre 2022 occorre una "versione in prosa” di quel che ha detto.

Per il dizionario Treccani, una parafrasi – o versione in prosa, per usare una terminologia un tempo molto utilizzata a scuola – è la «riformulazione di un testo, con lo scopo di facilitarne la comprensione, attraverso l’uso di sinonimi più comuni, perifrasi, digressioni, semplificazioni». Per lo più si tratta di un testo poetico, da cui l’uso del termine prosa dopo quello versione, ma ogni testo per sua natura complesso può essere riscritto in modo semplificato, anche se con il rischio di perdere rigore, nel caso di contenuti scientifici, o bellezza, per la poesia.

Nel testo[1] preparato per il suo discorso si afferma, in estrema sintesi, che la globalizzazione ha mal funzionato e che un baluardo strategico per il riequilibrio mondiale è ora l’Europa, da consolidare con la realizzazione del debito comune europeo. Queste asserzioni sono sorrette da passaggi rigorosi e mai ambigui; necessariamente – anche per via del pubblico[2] cui era destinato – assai tecnico.


Citando Draghi:

L’apertura dei mercati globali ha portato decine di Paesi nell’economia mondiale e ha fatto uscire dalla povertà milioni di persone – 800 milioni solo in Cina negli ultimi 40 anni. Ha generato il più ampio e rapido miglioramento della qualità della vita mai visto nella storia. Ma il nostro modello di globalizzazione conteneva anche una debolezza fondamentale. La persistenza del libero scambio fra Paesi necessita che vi siano regole internazionali e regolamenti delle controversie recepite da tutti i Paesi partecipanti. Ma in questo nuovo mondo globalizzato, l’impegno di alcuni dei maggiori partner commerciali a rispettare le regole è stato ambiguo fin dall’inizio. 

Fin qui chiarissimo, la legge del più forte, paese o impresa multinazionale che sia, ha prevalso, con il grande fallimento della World Trade Organization,[3] il cui obiettivo sarebbe invece di “garantire che il commercio fluisca nel modo più fluido, prevedibile e libero possibile”. Forse occorrerebbe mettersi d’accordo su che cosa significa “possibile”.


Torniamo al discorso di chi ha ricoperto la carica di Governatore della Banca d'Italia dal 2006 al 2011:

Dopo la crisi del 1997, le economie dell’Asia orientale hanno utilizzato le eccedenze commerciali per accumulare grandi riserve valutarie e autoassicurarsi contro gli shock della bilancia dei pagamenti, soprattutto impedendo l’apprezzamento dei tassi di cambio, mentre la Cina ha perseguito una strategia deliberata a lungo termine per liberarsi dalla dipendenza dall’Occidente per i beni capitali e la tecnologia. Dopo la crisi dell’eurozona del 2011, anche l’Europa ha perseguito una politica di accumulo deliberato di avanzi delle partite correnti, anche se in questo caso attraverso le errate politiche fiscali procicliche sancite dalle nostre regole che hanno depresso la domanda interna e il costo del lavoro. In una situazione in cui i meccanismi di solidarietà dell’Ue erano limitati, questa posizione poteva persino essere comprensibile per i paesi che dipendevano dai finanziamenti esterni. Ma anche quelli con posizioni esterne forti, come la Germania, hanno seguito questa tendenza. Queste politiche hanno fatto sì che le partite correnti dell’area dell’euro siano passate da un sostanziale equilibrio prima della crisi a un massimo di oltre il 3% del Pil nel 2017. A questo picco, si trattava in termini assoluti del più grande avanzo delle partite correnti al mondo. In percentuale del Pil mondiale, solo la Cina nel 2007-08 e il Giappone nel 1986 hanno registrato un avanzo più elevato.


La messa in prosa del suo discorso

È qui che serve la versione in prosa. La crisi del 1997 è quella[4] in cui molti paesi del Sud-Est asiatico furono investiti e in parte travolti da ondate speculative contro le loro monete, con enormi riflussi dei capitali investiti dalle economie più cospicue. Quella[5] del 2011, a tre anni dal grande crollo economico del 2008, mosse un’ondata di speculazione contro Grecia, Irlanda, Italia, Spagna e Portogallo. Il giuramento del Governo Monti avvenne appunto il 16 novembre 2011. La sequenza è chiara: spavento, contromisure, accumulazione di riserve valutarie che si ottengono soprattutto se si esporta più di quanto si importa, per cui gli esportatori cedono valuta estera in cambio di euro più di quanta ne chiedano gli importatori per i loro acquisti. Contano anche i movimenti di capitali, ma l’ineccepibile ragionamento di chi è stato dal 2011 al 2019 al vertice della Banca centrale europea si collega soprattutto ai movimenti reali.


Non è bene esportare più di quanto si importa. Significa che il risparmio di un paese, frutto dell’astensione dal consumo da parte di quei cittadini, per effetto del prelievo fiscale o del risparmio volontario – anche forzato da bassi salari che producono utili trattenuti dalla imprese – non si trasforma in servizi pubblici o in investimenti pubblici (ad esempio infrastrutture) o privati (ad esempio nuove imprese o imprese che crescono), ma nella consegna di più beni all’estero di quanti se ne ricevono. L’ha fatto massicciamente la Cina e ora lo “paga”; l’ha fatto stolidamente la Germani e ora lo “paga”. In Europa l’abbiamo fatto tutti, chi più chi meno.[6]

A beneficiarne sono sempre gli Stati Uniti, che importato più di quanto esportano e non hanno bisogno di riserve sino a che tutti accettano i dollari in pagamento. A soffrirne sono stati i paesi del Terzo mondo, le cui produzioni a basso costo sono diventate forniture servite a sorreggere le super esportazioni dei paesi ricchi. A soffrirne sono stati i percettori di redditi di lavoro dei paesi ricchi.

Ora Draghi invoca il cambiamento di rotta dell’Europa nel suo insieme, con il rafforzamento istituzionale tramite l’emissione di debito comune per finanziare gli investimenti, come sperimentato con la risposta al Covid, ma ora in modo generalizzato. Come ha scritto[7] l’Economist, serve un Europe’s Hamiltonian moment, ricordando Alexander Hamilton[8] che a fine ’700 unificò il debito pubblico dell'Unione e dei singoli Stati, realizzando un fondamentale passo nel processo federalista americano.


Erik Satie, padre del minimalismo

Tornando all’errore di accumulare riserve valutare, il nostro baccelliere di musica chiosa che la storia della musica è piena di accumulatori. Si accumula ciò che non serve all’attimo presente ma, casomai, aiuta a stupire. “È del poeta il fin la maraviglia” diceva il Marino. I musicisti non sono da meno dei poeti. Le note in più sono un corredo del quale i solisti, sia quelli mediocri, sia quelli più bravi, spesso non riescono a fare a meno. Erik Satie, compositore francese vissuto a cavallo fra Otto e Novecento, era diverso. Era riuscito a farsi cacciare dal conservatorio per poi farsi riammettere, ma senza entusiasmo. Per vivere suonava il piano nei locali di Montmartre. Molti lo consideravano pigro, incapace di creare grandi opere. Aveva invece una genialità speciale, che nasceva dalla sottrazione. La prima Gymnopédie,[9] composta a soli ventun’anni, è un esempio di efficace economia di mezzi ed è pervasa dalla malinconia di quello che avrebbe potuto essere e non è stato. L’importanza di Satie crebbe nei decenni successivi alla sua morte, avvenuta nel 1925. È considerato uno dei padri del minimalismo. Philip Glass e Steve Reich gli sono debitori e le avanguardie sono in qualche modo partite dalla sua sintesi.


Note

[3] https://www.wto.org dove leggiamo che: The World Trade Organization (WTO) is the only global international organization dealing with the rules of trade between nations. At its heart are the WTO agreements, negotiated and signed by the bulk of the world’s trading nations and ratified in their parliaments. The goal is to ensure that trade flows as smoothly, predictably and freely as possible.

[6] Questi ragionamenti sottintendono un po’ di consuetudine con la contabilità economica nazionale, che non è la contabilità dello stato come ente, ma quella delle vicende economiche di un paese. Segnalo il piccolo prezioso libro di Onorato Castellino e Piercarlo Frigero, Introduzione alla contabilità nazionale. Online, in inglese, si trova anche l’utile Measuring the Economy: A Primer on GDP and the National Income and Product Accounts a https://www.bea.gov/resources/methodologies/measuring-the-economy 

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