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a cura di Pietro Terna

PUNTURE DI SPILLO. Il voto per una Europa di Pace e di cultura


 a cura di Pietro Terna


Sabato e domenica si voterà per l’Europa, di cui fondatori, De Gasperi, Schuman e Adenauer, tutti nella pagina dei Pionieri dell’UE,[1] sono i tre leader che all’uscita della Seconda guerra mondiale posero le basi per estirpare la guerra dal continente, dopo due conflitti così sanguinosi e secoli di morti e distruzioni. Un appuntamento che merita una eccezione (la seconda da quando esiste la rubrica) nella figura che caratterizza Punture di spillo, su precisa indicazione di chi dirige il sito: il simbolo dell'Europa.

De Gasperi, Schuman e Adenauer, ritornando ai padri fondatori, determinarono la nascita della CECA, Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Roba da mercanti, ho sentito qualcuno commentare… Ignoranti! Il trattato inizia con la solenne dichiarazione:[2]

 

CONSIDERANDO che la pace mondiale può essere salvaguardata soltanto con sforzi commisurati ai pericoli che la minacciano; CONVINTI che il contributo che un'Europa organizzata e viva può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche; COSCIENTI che l'Europa non si potrà costruire altro che mediante concrete realizzazioni che creino innanzitutto una solidarietà di fatto, e mediante l'instaurazione di basi comuni di sviluppo economico; DESIDEROSI di concorrere con l'espansione delle · loro produzioni fondamentali alla elevazione del livello di vita ed al progresso delle opere di pace; RISOLUTI a sostituire alle rivalità secolari una fusione dei loro interessi essenziali, a fondare con la instaurazione di una comunità economica la prima assise di una più vasta e più profonda comunità fra popoli per lungo tempo contrapposti da sanguinose scissioni, ed a gettare le basi di istituzioni capaci di orientare il destino ormai comune; HANNO DECISO di creare una Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio.


In quel momento, carbone e acciaio erano i motori per far rinascere le economie dopo le distruzioni della guerra.

Certo il Manifesto di Ventotene[3] è il faro cui continuamente guardare (nella foto, il faro dell’isola di Ventotene dove Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni erano al confino nel 1941), ma il trattato CECA ha un peso straordinario, firmato da Germania, Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi il 18 aprile 1951 a soli di sei anni di distanza dalla conclusione del conflitto in Europa, l’8 maggio 1945, con la resa tedesca. Solo sei anni per allontanare il peso ancora incombenti delle distruzioni e delle morti. Il nostro debito verso quegli statisti è immenso.

Ora, 2 giugno 2024, un parlamentare italiano pubblica la richiesta di dimissioni[4] del presidente Mattarella reo di aver ricordato la sovranità del Parlamento europeo, alla luce dei trattati UE che l’Italia ha liberamente e solennemente recepito come parte integrante della propria costituzione. Lo stesso parlamentare pubblica il suo microprogramma, scritto tutto in caratteri maiuscoli e quindi urlato secondo le regole del web, ma forse non lo sa: 1) PIÙ ITALIA MENO UE; 2) NO OMS, NO MES, NO PNRR2; 3) STRA NO ESERCITO EUROPEO; 4) BASTA ARMI A UCRAINA; 5) PIÙ AMICIZIA CON TRUMP; 6) STRA NO TASSE SULLA CASA. Qualche dubbio sul perché se la prende con l’Organizzazione Mondiale della Sanità: forse il signore è anche novax e non vuole i vaccini. Sono d’accordo solo su BASTA ARMI, ma in assoluto, niente armi per nessuno. Chi è? Facile trovare il nome, qui non lo scrivo.

Immagino sia anche amico di Putin, io no, neanche potrei ambire… invece della Russia non mi sento di essere nemico. Nella storia della letteratura, nella storia dell’Europa è una presenza grande, grandissima. Rileggiamo Guerra e pace[5] e soffermiamoci sull’Epilogo con cui Tolstoj, alla fine della sua opera corale, pone la grande questione su chi decide e che cosa nelle vicende che maturano in lunghi o lunghissimi periodi. Processi come quelli che precedettero la Prima o la Seconda guerra mondiale o, più recentemente, la guerra Russo-Ucraina, o lo scontro tra Israele e Palestina (o Hamas?), sono a gestazione assai lunga. La riflessione contenuta nell’Epilogo non può essere riassunta, ma mi azzardo a suggerire di leggerlo o rileggerlo.

L’Europa deve ritrovare il legame con la Russia. Recentemente la Porta di Vetro ha pubblicato un numero cartaceo della rivista dedicato a “L’Europa alle urne” e nel mio contributo su “Un voto rilevante per l'Europa, ma non solo” scrivo che il grande errore, dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, fu quello di non fare di tutto per stringere legami politici forti con la Russia. Non dimentichiamo che all’inizio degli anni ’90 ci fu un forte avvicinamento[6] tra Russia e Nato e che la strada era aperta. Una strada ancora da riprovare a percorrere, per la pace e per il superamento delle immense disuguaglianze che si registrano nel Mondo.

La mappa geoeconomica qui pubblicata ci mostra la distribuzione del valore dei prodotti, per qualità del lavoro e delle tecnologie incorporate, al 2021.

Dal massimo positivo del blu scuro al massino negativo del rosso pieno, è anche una mappa della povertà o, più precisamente, delle cause della povertà. Cause che possono essere rimosse con l’impegno lungimirante di tutti, come lo fu quello dei nostri padri fondatori.

L’Europa ha il dovere di guardare all’Africa con sentimenti di fratellanza e al mare interno Mediterraneo come spazio di collegamenti e non di immorali e crudeli blocchi navali. Ha il dovere di guardare alla Russia, che non può essere un nemico contro il quale armarsi. È un’utopia? No, è una strada da percorrere senza distrazioni.

Il nostro piccolo – così dice, ispirandosi a Guccini – baccelliere di musica, annota che se e la politica è l’arte del possibile, l’utopia è l’arte di rendere possibile ciò che si desidera, o meglio, ciò che è desiderabile sperare. Per alcuni si tratta di un castello di carte destinato a cadere ad un battito di mani. Fortunatamente non per tutti è così. Fondamentale è avere una visione. La capacità di vedere attraverso vetri opachi e di ricavarne una speranza. Senza questa capacità non sarebbero esistiti i musicisti del Novecento, artisti della ricerca, sperimentatori del nuovo, orecchi vaganti pronti a cogliere l’inaudito. Cuochi ambulanti soffriggono musica, dice Paolo Conte.

Gli affreschi sonori dei maestri francesi della prima metà del secolo scorso sono un’utopia realizzata. Un equilibrio fra elementi apparentemente contrastanti: echi di temi popolari, dissonanze, sonorità strumentali impiegate come colori, la bacchetta del direttore come un pennello. Fra questi compositori, Darius Milhaud (foto a lato), nato nel 1892, ha attraversato una parte cospicua del secolo, lasciandosi penetrare dai suoi suoni, in particolare il jazz. Nel 1922 compose La création du monde, un balletto concepito per un organico strumentale di solisti, che suggeriamo di ascoltare[7] in una brillante interpretazione di Leonard Bernstein. Sono sei movimenti per la durata di poco più di quindici minuti. Un’opera americana, quanto americano può essere il parto di un cervello francese. Milhaud aveva conosciuto il blues e il suono del sax e li aveva trattati a modo suo. A ben vedere una splendida utopia realizzata.


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