Punture di spillo. I conti con l’AI oppure… dell’AI?
a cura di Pietro Terna
Il mondo dell’AI è seduto su una bolla, non grande come quella del bitcoin spinto alle stelle da Trump, ma in ogni caso pericolosissima. Investimenti giganteschi, ricavi limitati, prezzi difficili da stabilire. Inoltre, il grande equivoco di che cosa è offerto open (liberamente usabile) da parte dei prodotti dell’AI e l’incombente equivoco sul plagio operato da quei sistemi rispetto al copyright di autori e editori. Equivoco, ma con cause milionarie. Il pericolo della bolla, se sapessimo reagire come Europa, sarebbe anche un’occasione da cogliere, per giocare la nostra partita. Proviamo a ragionare di economia dell’AI invece che dei suoi contenuti.
L’Economist[1] si è recentemente occupato di software open source, il cui contenuto è liberamente accessibile e il cui uso normalmente è gratuito, anche se talvolta con qualche limitazione eliminabile a pagamento. Dove sta la motivazione della produzione open source, oltre che nella indubbia passione creativa delle persone e nella soddisfazione del lavoro ben fatto? Principalmente nella vendita di servizi di consulenza, per l’uso e soprattutto per gli sviluppi collegati a quei programmi.
Scrive però l’Economist: «L'industria del software ha due facce. Una è rivolta verso l'esterno, con prodotti e servizi che portano miliardi di dollari di entrate alle aziende da un trilione di dollari. L'altra è rivolta verso l'interno, con la creazione, l'aggiornamento e la condivisione, spesso gratuita, dell'infrastruttura software di base e degli strumenti che fanno funzionare il mondo digitale.
Il software open-source – in cui uno sviluppatore rilascia il codice sorgente di un prodotto e permette a chiunque altro di riutilizzarlo e remixarlo a proprio piacimento – è alla base di Android di Google, di iOS di Apple e di tutti e quattro i principali browser web. La crittografia di una chat di WhatsApp, la compressione di uno streaming di Spotify e il formato di uno screenshot salvato sono tutti controllati dal codice open-source».
Non è però tutto oro quel che luccica. Meta, il proprietario di Facebook e di tante altre applicazioni online, dichiara con orgoglio che il suo modello linguistico di grandi dimensioni (LLM, Large Language Model), Llama 3, è “open source”, condividendo il prodotto finito con tutti, ma con vincoli sul numero di utenti di eventuali prodotti derivati. Lo stesso accade con il francese Mistral, il cinese Alibaba (la stessa azienda del commercio elettronico all’ingrosso, ma non solo). Forse solo Apple[2] sta effettivamente rilasciando open il suo materiale, offrendo risultati, struttura e base di dati, ma con prodotti strettamente dedicati alle macchine prodotto dall’azienda, iPhone, tablet o computer Mac che siano.
E allora? Un gran senso di confusione. Ho scritto[3] più volte dell’esigenza di una iniziativa europea di base per l’AI, sul tipo del CERN,[4] la grande casa comune (nella foto, vista dall'alto) della ricerca di base in fisica delle particelle. Soprattutto ne ha scritto un certo Mario Draghi, che a pag. 85 della parte seconda nel suo rapporto[5] per l’Unione Europea scrive – con la chiarezza che è solo dei grandi – che è necessaria la «Coordination of key AI verticals at the EU level via a dedicated “CERN-like AI incubator”. In the absence of EU hyperscale companies, developing AI verticals requires strong coordination between multiple actors, including AI developers, Research and Technology Organisations (RTOs), and industrial players».[6]
Serve anche un grande sforzo ulteriore, sotto forma di seri investimenti pubblici, come quando si gettarono le basi delle ferrovie, delle autostrade o delle linee telefoniche. Anche l’internet in Italia ha potuto svilupparsi grazie all’impulso del GARR,[7] consorzio di attori pubblici. Quindi, al presente, occorre trattare l’AI come una infrastruttura con un ruolo guida della presenza pubblica! Gli effetti possono essere enormi anche dal punto di vista giuridico. Ad esempio, sul tema della ricerca medicale l’Europa, con tutta la sua tradizione di sanità pubblica, potrebbe introdurre dei rilassamenti sui vincoli di utilizzazione dei dati dei pazienti se questi fossero destinati al miglioramento del benessere pubblico tramite AI.
Infine, grande riferimento pubblico la scuola. Dopo aver perso completamente il treno di internet, sta consciamente rifiutando il tema dell’AI. Le nuove generazioni non possono crescere senza che qualcuno gli insegni in modo critico, a vari livelli, come funziona e come usare le AI, siamo esse open o proprietarie. È comprensibile che la scuola non voglia sposare una big tech per fare formazione, ripetendo l’errore dell’invasione di Windows nelle scuole. Proprio per questo, la scuola dovrebbe contribuire agli investimenti pubblici in AI, con il concorso di esperti nella didattica a fronte di strumenti sempre più potenti per studiare vecchi e nuovi ambiti di conoscenza: vale la pena di rischiare dei copia e incolla e anzi premiare chi in quel modo sa cogliere aspetti nuovi.
A questo punto c’è chi mi accusa di prediche inutili: tanto è già tutto deciso in capo ai giganti della tecnologia. A parte che essere accusato di prediche inutili è motivo di grande vanto,[8] ritorniamo all’economia e chiediamoci seriamente se è tutto deciso o se i giochi si possono riaprire. Goldman Sachs,[9] che non è esattamente una organizzazione sovversiva, intitolava già a giugno un suo rapporto[10] con “Gen AI: too Much Spend, too Little Benefit?” e non serve traduzione.
Warren Buffet, l’anziano multimiliardario (nella foto), che sembra avere sempre ragione in materia di soldi, vende azioni da mesi. Secondo Reuters: «Berkshire's cash soars to $325 billion, Buffett sells Apple, Bank of America». Qualcuno si è chiesto seriosamente se il personaggio «sa qualcosa che noi non sappiamo»: sa quello che tantissimi sanno e cioè con la borsa alle stelle siamo sull’orlo di un precipizio, anche alimentato dalla follia del bitcoin che mentre scrivo vale 89mila dollari e quattro ore fa era 93mila, ma questa… è un’altra storia.
Quando, non “se”, verrà giù tutto, che cosa faremo? Ci affideremo a Elon Musk e alla sua Starlink,[11] come pare pensare la presidente Meloni, e magari anche a Grok,[12] che è il modello linguistico sarcastico sviluppato dal personaggio? Meloni, quando Musk dice che i giudici italiani devono andarsene, afferma che è un libero cittadino e ha facoltà di dire quel che vuole. Ci affideremo sempre a Mattarella, chiedendo che ci difenda per l’AI?[13]
In conclusione dello spillo, il nostro piccolo (grande) baccelliere di musica annota che gli sviluppi che ha conosciuto l’intelligenza artificiale in così poco tempo fanno quasi paura. Parte di questa paura trova giustificazione nell’obiettivo sconvolgimento che lo strumento potrebbe generare. Parte invece viene dall’ancestrale diffidenza che qualsiasi innovazione porta con sé. Un recentissimo lavoro del saxofonista Kenny Garrett (foto a lato) si intitola Who killed AI? e, almeno apparentemente, sembra rovesciare i termini del problema. Non l’intelligenza artificiale come pericolo, ma il pericolo che questa grande opportunità possa essere compromessa, corrotta, uccisa. Kenny Garrett, classe 1960, è stato l’ultimo sax alto nella lunghissima sequenza di compagni di avventura di Miles Davis, aperta niente meno che da Charlie Parker. Davis è stato la quintessenza dell’apertura al cambiamento.
In questo disco Garrett ha collaborato con il produttore Svoy.[14] Si è confrontato con un’idea nuova di interazione uomo macchina. Nel linguaggio sintetico ha introdotto la voce, umanissima, del sax. Lo ascoltiamo in Transcendence[15] dialogare con l’elettronica. Ed esplorare lui stesso le possibilità della macchina, inserendo un assolo di EWI (l’Electronic Wind Instrument), in Divergence Tu-dah.[16] Chi fosse interessato, sul numero di dicembre della rivista americana Down Beat può trovarne una trascrizione.[17]
L’immagine delle connessioni dell’AI in una scatola trasparente è generata a sua volta da una AI.[18]
Note
[1] A battle is raging over the definition of open-source AI, a https://www.economist.com/science-and-technology/2024/11/06/a-battle-is-raging-over-the-definition-of-open-source-ai
[2] https://www.apple.com/it/newsroom/2024/10/apple-intelligence-is-available-today-on-iphone-ipad-and-mac/
[3] Un “CERN” dell’IA e del cervello, con Stefano Terna, cui devo anche molti spunti per questo spillo: https://mondoeconomico.eu/sostenibilita-e-futuro/un-cern-dell-ia-e-del-cervello
[5] https://commission.europa.eu/document/download/97e481fd-2dc3-412d-be4c-f152a8232961_en?filename=The%20future%20of%20European%20competitiveness%20_%20A%20competitiveness%20strategy%20for%20Europe.pdf e https://commission.europa.eu/document/download/ec1409c1-d4b4-4882-8bdd-3519f86bbb92_en?filename=The%20future%20of%20European%20competitiveness_%20In-depth%20analysis%20and%20recommendations_0.pdf
[6] Coordinamento dei principali collegamenti dell'IA a livello dell'UE attraverso un “incubatore di IA simile al CERN” dedicato. In assenza di aziende di grandi dimensioni dell'UE, lo sviluppo di integrazioni verticali per l’IA richiede un forte coordinamento tra più attori, compresi gli sviluppatori di IA, le organizzazioni di ricerca e tecnologia (RTO) e gli attori industriali.
[8] https://www.einaudi.it/catalogo-libri/scienze-sociali/economia/prediche-inutili-luigi-einaudi-9788806395452/
[10] https://www.goldmansachs.com/images/migrated/insights/pages/gs-research/gen-ai--too-much-spend%2C-too-little-benefit-/TOM_AI%202.0_ForRedaction.pdf
[12] Il nome è un riferimento a Guida galattica per autostoppisti, di Douglas Adams, in cui to grok significa comprendere in modo approfondito e intuitivo. Vedere https://x.ai
[13] https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2024/11/13/mattarella-a-musk-litalia-sa-badare-a-se-stessa_00d3e808-3c47-4dc9-a3d5-2a70b6dccf6e.html
[14] Nome d’arte del DJ e performer di origine russa Mikhail Tarasov.
[17] https://www.downbeat.com/digitaledition/2024/DB24_12/DB24_12.pdf, pagine 92 e seguenti.
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