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Punture di spillo. Diventa un pallido ricordo la lotta alle diseguaglianze

a cura di Pietro Terna


«Abbiamo due copertine», scriveva l’Economist[1] della scorsa settimana: «La svolta di cui ha bisogno l'IA», «Come i poveri del mondo hanno smesso di recuperare il loro ritardo». Parrebbero due argomenti disconnessi e invece sono drammaticamente uniti. Parrebbero destinati a generare un contrasto insanabile e invece – anche in questi giorni di guerra lacerante nell'est dell'Europa, in Medioriente, in tante aree del continente africano, sino al Malawy che forse è il paese più povero di tutti e soffre per la guerra interna e anche per il conflitto in Ucraina[2] – abbiamo il dovere di ragionare su progresso e povertà, per una politica che sappia conciliarli.

La copertina tecnologica, destinata al Regno Unito, introduce un’analisi[3] dei costi energetici dell’intelligenza artificiale (IA), con valutazioni terrorizzanti: «(…) i modelli più grandi di oggi costano 100 milioni di dollari per essere addestrati; la prossima generazione potrebbe costare 1 miliardo di dollari e la successiva 10 miliardi di dollari». Certo non si può procedere né in questo modo, né con questa progressione.


Ancora l’Economist:

Alphabet, Amazon, Apple, Meta e Microsoft stanno progettando i propri chip di intelligenza artificiale. Nella prima metà di quest'anno sono affluiti più soldi per finanziare le startup di chip IA che negli ultimi tre messi insieme. Anche gli sviluppatori stanno apportando modifiche al software di IA. I modelli più grandi che si affidano alla forza bruta della potenza di calcolo stanno lasciando il posto a sistemi più piccoli e specializzati.

(…) Grazie ad approcci intelligenti, come l'utilizzo di un mix di modelli, ciascuno adatto a un diverso tipo di problema, i ricercatori hanno ridotto drasticamente il tempo di elaborazione. Tutto questo cambierà il modo di operare dell'industria.

La copertina sociale, destinata all’Europa, si riferisce al mondo più povero.[4] Leggiamo che da «Dalla rivoluzione industriale, i Paesi ricchi sono cresciuti quasi tutti più velocemente di quelli poveri. I due decenni successivi al 1995 circa sono stati una sorprendente eccezione. In questo periodo i divari nel PIL si sono ridotti, la povertà estrema è crollata e la salute e l'istruzione pubblica globale sono migliorate notevolmente, con un forte calo dei decessi per malaria e della mortalità infantile e un aumento delle iscrizioni scolastiche». Tutto bene quindi? Assolutamente no.

Sempre dall’Economist:

(…) quei miracoli sono un debole ricordo. (…) la povertà estrema è diminuita a malapena dal 2015. Le misure di salute pubblica globale sono migliorate molto lentamente sino alla fine degli anni 2010, per poi subire un declino dopo la pandemia. La malaria ha ucciso più di 600.000 persone all'anno negli anni ’20 del secolo, tornando al livello del 2012. E dalla metà degli anni ’10 non c'è più stata una crescita economica capace di recuperare le distanze. A seconda di dove si traccia la linea di demarcazione tra paesi ricchi e poveri, i più poveri hanno smesso di crescere più velocemente di quelli più ricchi, o stanno addirittura perdendo terreno. Per gli oltre 700 milioni di persone che si trovano ancora in condizioni di estrema povertà – e per i 3 miliardi di persone che sono semplicemente povere – si tratta di una triste notizia.

Gli aiuti per i più poveri sono stati dirottati a altri impieghi oppure mal impiegati e sprecati o bruciati nelle guerre. La globalizzazione della produzione collaborativa è fallita perché non ha saputo distanziarsi dallo sfruttamento e dalla crescita delle disuguaglianze.

Che cosa possiamo fare nel futuro? Studiare le complementarità delle produzioni nelle catene di fornitura mondiali e spostare sempre più componenti a produzione complessa, con più valore, verso i paesi svantaggiati. Lo studio della complessità delle produzioni nel Mondo è ben rappresentato nell’Atlas Of Economic Complexity pubblicato e ogni anno aggiornato dall’Harvard Growth Lab[5]. L’Atlas dovrebbe costituire la guida fondamentale delle istituzioni che si occupano di cooperazione internazionale e di sviluppo. Nel mio piccolissimo sto studiando un modello di simulazione che permetta di valutare questo tipo di effetti alla scala del mondo, muovendo da un’idea di Mario Deaglio.

La crescita dell’IA, che abbiamo visto deve diventare sostenibile, può fortemente aiutarci in questo tipo di elaborazioni e gestioni. Ecco che allora che i contrasti da insanabili posso diventare sanabili. Lo rappresentiamo qui simbolicamente anche con alcune immagini prodotte da una intelligenza artificiale.[6]

 Il nostro piccolo baccelliere di musica che, con il suo nom de plume cita Guccini,[7] per concludere questo spillo si rifà alla musica “del più grande”. Nikolai Galitzin, principe russo, nel 1822 scrisse una lettera a Ludwig Van Beethoven in cui gli chiedeva di comporre uno, due, tre nuovi quartetti. Beethoven accettò. E andò oltre la commissione. Ne nacquero sei opere, capolavori considerati fra i punti più alti della poetica del più grande compositore classico. A titolo di esempio proponiamo ai nostri lettori un movimento dell’ultimo, il N. 135 in fa maggiore, suonato dal Tokyo String Quartet,[8] invitandoli a dedicare qualche ora all’ascolto integrale.

Beethoven compose questo quartetto nel 1826. Sarebbe morto nel 1827. I quartetti rappresentano il compimento della sua arte e costituiscono una lezione di vita. Qualunque cosa si faccia, che si sviluppi l’intelligenza artificiale o si faccia politica, si vive per arrivare a comporre qualcosa che avvicini i quartetti di Beethoven. Quello che rende speciali queste opere è la loro proiezione. Igor Stravinsky[9], a proposito della Grande Fuga N. 133 in si bemolle maggiore, il penultimo, parlava di musica contemporanea che sarebbe sempre stata contemporanea. Beethoven era malato, sordo e forse stanco. Ma non aveva smesso di cercare un senso nella musica e di trovare in essa una utilità per sé, per i contemporanei e per i posteri. Utilità che la coniugazione fra progresso e redistribuzione potrebbe rinnovare.


Note

[4] How the world’s poor stopped catching up, mie traduzioni, https://www.economist.com/leaders/2024/09/19/how-the-worlds-poor-stopped-catching-up 

[9] Igor Stravinsky, 1882-1971, oltre ad essere uno dei più grandi compositori del ‘900, fu un raffinato musicologo. Fra le altre opere citiamo Poetica della musica, Edizioni Studio Tesi - 1984.

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